Memoria e Futuro
Due banchieri, due destini
La stampa italiana, si sa, ha il dono di trasformare ogni evento globale in una barzelletta provinciale con finale tutt’altro che a sorpresa. Ultima perla: il paragone tra Mario Draghi e Mark Carney, nuovo premier canadese ed ex banchiere centrale. “Guarda! Anche lui è un tecnocrate, anche lui ha governato una, anzi due, banche centrali!”, urlano i titoli, come se aver gestito una pure importante istituzione fosse sufficiente a rendere due persone gemelli politici. Peccato che in Canada Carney sia stato eletto, mentre da noi Draghi è finito al governo come si sceglie il capitano a calcetto: “Toh, prendi questo che almeno non litiga”.
Ma vi ricordate Draghi, fresco di BCE, che si ritrova a Palazzo Chigi nel 2021 in piena crisi Covid? E come ci si è ritrovato? E con chi ha avuto a che fare? Lui provava a spiegare il Recovery Fund, ma Salvini gli chiedeva il condono fiscale nel decreto, e il M5S minacciava crisi se non si parlava subito di ampliare il reddito di cittadinanza.
Intanto, Carney – che pure viene dalla Banca d’Inghilterra – in Canada va alla grande, perché lì per fare il premier basta vincere le elezioni, non servono patti col diavolo, preghiere ai santoni e l’approvazione di 8 partiti che si odiano ma fingono di amarsi per la foto.
Prendiamo il tentativo di Draghi di farsi eleggere Presidente della Repubblica nel 2022. Scenario surreale: dopo un anno a fare il presidente del consiglio non eletto, decide di candidarsi al Colle. No, diciamo meglio, nasce un coro di sostenitori affinché salga al Quirinale, per virtù dello Spirito Santo. Un po’ come se il tuo meccanico, dopo aver riparato la macchina in emergenza, ti chiedesse in sposa tua figlia.
I partiti all’inizio annuiscono commossi: “Sì, Draghi al Quirinale! L’uomo giusto!”. Poi, come in una vignetta di Altan o un film di Moretti, iniziano i dubbi: “Ma è troppo europeo… Ma è troppo serio… Ma non ha mai fatto un selfie con un elettore”. Alla fine, Mattarella bis, perché in Italia quando non sai che pesci pigliare, ricicli il Presidente usato. E Draghi? Rimane a guardare, con l’aria di chi ha appena capito che in politica italiana “tecnocrazia” è solo un modo elegante per dire “ti usiamo finché ci serve, poi ciao”.
Carney, invece, in Canada può oggi permettersi di fare il gradasso: il suo sistema elettorale è così semplice che persino un… canadese capirebbe le regole (tipica battuta yankee). Vinci seggi? Premiato. Perdi? Torni a casa. Nessun teatrino di fiducie revocate, emendamenti-truffa o governi zombie. Lui ha sfruttato la paura del Trump-bis per vendersi come l’eroe che salverà il Canada dall’annessione USA, mentre Draghi doveva vendere il Mes come se fosse la ricetta della nonna per il ragù, tra grillini che lo odiavano e berlusconiani che fingevano di ascoltarlo.
Paragonare Draghi a Carney è come paragonare un canguro a un piccione. Entrambi saltano, ma uno lo fa nelle praterie del sistema maggioritario, l’altro, alla fine, si è accontentato di beccare briciole in un Parlamento di fatto ostile, nei confronti del quale si vendicò una volta non eletto presidente della repubblica, chiudendo in anticipo l’esperienza del suo governo. E la stampa italiana, invece di spiegare ste cose, preferisce scrivere titoli da operetta: “Due banchieri, un destino!”. Peccato solo che uno dei due, alla fine, deve ancora spiegare ai suoi elettori perché gli hanno dato fiducia. L’altro, invece, manco sa cosa siano, gli elettori.
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