Memoria e Futuro

Al servizio dell’IA

di Marco Di Salvo 25 Marzo 2025

Chi scrive ha vissuto e si alimentato culturalmente in un’era, la seconda metà del Novecento, in cui si immaginava un futuro nel quale robot umanoidi, relegati a ruoli subalterni, avrebbero liberato l’umanità dal lavoro manuale. Basti ricordare Isaac Asimov, con le sue leggi della robotica, che dipingeva androidi come servitori devoti, mentre ancora prima film come Metropolis (1927) o, in seguito, Guerre Stellari (1977) e L’uomo Bicentenario o serie come I Jetson (1962) mostravano macchine cucinare, pulire e costruire. Queste visioni riflettevano un’ansia e una speranza: i robot avrebbero sostituito gli umani nelle fatiche quotidiane, elevando l’umanità a una vita di ozio creativo.

Oggi, l’intelligenza artificiale (IA) non corrisponde a quel modello. Invece di androidi fisici, algoritmi come ChatGPT o DALL-E generano testi, arte e musica, producendo cultura in modo autonomo. L’IA compone sinfonie, scrive articoli e crea immagini iperrealistiche, sfidando il concetto stesso di creatività come dominio esclusivamente umano. Questa svolta è radicale: la fantascienza temeva la ribellione delle macchine, non la loro capacità di competere nell’arte.

Ironia della sorte, mentre l’IA si evolve in “artista”, miliardi di persone restano impiegate in lavori umili, addirittura a servizio dell’IA stessa come fact-checker. E non solo,  rider, addetti alle pulizie o operatori logistici svolgono compiti ripetitivi, spesso in condizioni precarie. Perché? L’automazione fisica è costosa e complessa: un robot cameriere richiede investimenti maggiori rispetto a un sistema di IA che genera pubblicità. Inoltre, settori come la logistica o i servizi richiedono adattabilità e abilità motorie finora difficili da replicare. Le economie globali, poi, preferiscono spesso manodopera a basso costo anziché investire in tecnologie rivoluzionarie. E la qualità del lavoro (e il suo compenso) sfiorisce, come dimostrano anche gli ultimi dati presentati oggi dai quotidiani.

Il contrasto tra fantascienza e realtà solleva interrogativi. Se l’IA diventa creatrice, cosa definisce l’unicità umana? E perché il progresso tecnico non ha redistribuito equamente il benessere? Forse la lezione è che l’innovazione non basta: serve una visione politica che orienti la tecnologia verso l’emancipazione, non verso nuove disparità. Il Novecento sognava robot schiavi; oggi, l’umanità rischia di servirsi di algoritmi padroni della cultura (e non solo), mentre gli esseri umani faticano nell’ombra.  E la politica è in mano a soggetti incapaci di visione, o per interesse immediato o per mancanza di capacità.

Il futuro non è arrivato come previsto, ma la sfida rimane: bilanciare il potenziale dell’IA con un’etica del lavoro che valorizzi davvero ogni forma di intelligenza. Per fare quello che Bill Clinton pochi giorni fa ricordava essere il suo mantra in politica:” Se vuoi rimanere rilevante, che tu sia al potere o meno, chiediti questo. Innanzitutto: sto valutando le mie azioni in un modo che abbia senso per me? La nostra gente sta meglio ora rispetto a quando ho iniziato? I bambini hanno un futuro più luminoso? Le cose stanno andando verso l’unione invece che verso la divisione? Questo è il mio personale criterio di valutazione.” Date un’occhiata in giro e ditemi quanti degli attuali governanti fanno questa verifica sulla loro azione.

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