I 5 motivi per cui Ignazio Marino non si è ricandidato sindaco di Roma
Ignazio Marino, tra una presentazione e l’altra del suo libro ‘Un marziano a Roma’ in cui spiega la sua versione di come è stato cacciato […]
I grillini oggi festeggiano loro candidata che nella tarda serata di ieri si è presentata in conferenza stampa enfatizzando (con l’ormai celebre recitazione da attrice di telenovela sudamericana, di quelle che piacevano tanto a mia nonna) lo storico risultato ottenuto nella capitale, cosa che hanno fatto un po’ tutti gli esponenti del partito della Casaleggio Associati, dai parlamentari all’ultimo profilo fake su twitter. Sarebbe sbagliato, quindi, sminuire un risultato giudicato da molti sopra le aspettative, ma forse è altrettanto sbagliato dare per certa una sconfitta di Giachetti a Roma.
In primo luogo, bisogna tener conto del fatto che i voti del Movimento 5 Stelle e quindi quelli della loro candidata che non aveva altre liste a sostegno, sono tendenzialmente finiti. Ciò significa che l’unica certezza che ha oggi Virginia Raggi è quel 35% che di certo non basta per diventare sindaco di Roma. Ne consegue che tutto dipenderà da quanti degli elettori del trio Meloni, Marchini e Fassina andranno a votare e ovviamente da cosa sceglieranno di votare in quel caso.
Bisogna dire che le indicazioni di voto dei candidati rimasti fuori dal ballottaggio, così come quelle dei leader dei partiti a loro sostegno peseranno assai poco nelle scelte degli elettori. Ricordiamo che si tratta di un ballottaggio dove peserà quanto e come i due sfidanti entreranno in sintonia con la città e saranno credibili come persone in grado di saperne governare i tanti problemi.
A favore della candidata grillina c’è oggi l’effetto novità (che indubbiamente ha giocato la sua parte) e una perdita di consensi registrata dal Partito Democratico a gestione Leopolda s.p.a. non solo a Roma, dove le vicende di Mafia Capitale, unite alla crisi in cui versa la città e alla prematura fine dell’esperienza di Ignazio Marino hanno fortemente accentuato il fenomeno, ma a macchia di leopardo in tutto il paese. I motivi del calo de PD sono da un lato sistemici e dall’altro dovuti a una scelta politica. Sui partiti che governano pesa infatti un’impopolarità conseguente alla loro azione (specie in periodi di crisi). Ma nel caso del Pd renziano, a questo si aggiunge un voluto distacco con l’elettorato “storico” a favore di un bacino potenzialmente più ampio e trasversale (ma proprio per questo assai più volatile) che di fatto lo sta rendendo sempre più un cartello elettorale d’opinione, sempre più esposto al clima e alle “intemperie” del momento in cui si misura con le urne.
Altro punto a favore della Raggi e del Movimento 5 Stelle è che al ballottaggio ci sia Roberto Giachetti, un candidato fortemente identificabile con la sua appartenenza politica (e su cui pesano gli orientamenti degli elettorati sulle questioni nazionali) e che non ha le caratteristiche per potersi imporre con una personalità dominante e trascinatrice. È bastato ascoltare il suo intervento e subito dopo quello di Walter Veltroni in una delle ultime uscite prima del voto, per rendersi conto di ciò: da una parte un buon Sassuolo (squadra rivelazione del campionato di serie A), dall’altra i palleggi di Messi e Neymar con la casacca blaugrana. Il giudizio non venga letto come uno sminuire il candidato del centrosinistra, ma è evidente che abbia altre caratteristiche. Come già detto, Giachetti era poi (insieme a Giorgia Meloni) il candidato politicamente più connotato. Per questo i sondaggi che davano l’Alfio Marchini precedente all’abbraccio mortale di Berlusconi, seppur debolissimo al primo turno, come unico in grado di giocarsela al ballottaggio contro i 5 stelle, non erano così peregrini.
Ma veniamo al punto. La Raggi può perdere? Certamente sì, ma solo in parte dipenderà da lei.
Premessa: Roma è una città di variegato ceto medio, più sofferente nelle zone più popolari delle borgate e dell’extra GRA e meno nella città consolidata, dove infatti il voto di protesta non sfonda.
Certamente la candidata del Movimento 5 Stelle perderà consensi se commetterà altri grossolani errori come menzionare il famigerato staff che decide i destini di ogni cosa, le improbabili funivie, i baratti e le monete alternative. Più farà la “grillina” e più spaventerà quel ceto medio ancora un po’ “sbardelliano” nell’animo, tenuto spesso a bada con panem et circenses. Altra cosa che potrebbe penalizzarla, saranno gli inevitabili confronti diretti con Giachetti, dove il candidato del centrosinistra può vantare una maggiore esperienza amministrativa e un background immensamente superiore, ben rappresentato dalle donne e dagli uomini che ha indicato per la sua eventuale giunta, vera svolta della sua campagna elettorale che gli ha spalancato le porte del ballottaggio.
E qui veniamo a Giachetti. Se vorrà giocarsela, non dovrà commettere l’errore di cercare a tutti i costi un’empatia con i romani (come già detto, non ha il piglio del leader) e soprattutto dovrà evitare di farsi trascinare nel tritacarne del “tutti contro Renzi”. Certo non sarà facile, parte da dieci punti abbondanti di svantaggio e sulla carta è solo contro tutti. Ma se sarà in grado di aprire le porte del suo comitato alla città, di porsi come un candidato di servizio che rappresenti la supremazia della buona politica sull’avventura, della capacità di governare su chi si nutre del caos, della forza di chi è in grado si unire una comunità sulla debolezza di chi vuole lacerarla, a quel punto l’ex allievo di Pannella potrà giocarsela e persino vincere.
In fondo, la maggioranza dei romani, come tutte le maggioranze, cerca la force tranquille, che non è solo lo slogan con cui Jacques Séguéla portò al trionfo Mitterrand, ma l’umano e taciuto bisogno di tutte le comunità che chiedono ai loro capi e ai loro governanti protezione e serenità. Un tempo chiedevano loro anche il carisma e la capacità di guidarle in battaglie più o meno sanguinarie, più meno ideali. Ma quelli erano altri tempi, ma quelli erano altri capi…
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