Religione
Papa Francesco e la conferma della norma del celibato obbligatorio
Sono passate solo alcune settimane dalla chiusura dei lavori dell’ultimo Sinodo della Chiesa Cattolica: «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale» e sembra che per molti – media, agenzie, pronunciamenti di personaggi vari e di alti prelati – il punto centrale dei lavori sia stato quello della discussione sui «viri probati».
L’assemblea sinodale si è espressa favorevolmente ed ora l’ultima e definitiva parola è attesa dal documento post-sinodale che nei prossimi mesi vedrà la luce per mano del Vescovo di Roma.
Ed ecco alternarsi interviste, prese di posizione, fautori della proposta e voci critiche e preoccupate davanti alla probabile sua realizzazione.
Poniamoci qualche domanda.
Il Papa dovrebbe in questo momento abolire la legge del celibato obbligatorio che regola come norma la disciplina del clero cattolico di rito latino ormai da quasi un millennio?
Per chi il Papa dovrebbe portare una variazione così importante e per certi aspetti poco unanime?
Chi chiede al Papa l’abolizione del celibato?
Chi non la chiede?
Sicuramente le risposte a questi quesiti sono molteplici.
L’abolizione del celibato viene richiesta da più parti:
• da una parte della società civile che vede nel clero uxorato una categoria di persone aperte a scelte umane di coniugalità e genitorialità; scelte che permetterebbero ai preti di essere un po’ meno «separati» e un po’ più «allineati» con le altre componenti del «popolo di Dio»;
• da coloro che individuano nella norma una delle cause del crollo delle vocazioni;
• dalle donne che amano un prete od un vescovo e ritengono di essere ricambiate;
• dai figli nascosti di preti e di vescovi;
• dai preti uxorati, da quei preti cioè che, ricevuta la dispensa o meno, hanno già deciso di convolare a nozze.
Ma ai veri «protagonisti», ai preti celibi, interessa questa abolizione?
Da parte dei preti celibi pare non vengano richieste esplicite; forse da alcuni ma non dalla maggior parte del clero. Perché? Probabilmente ritengono che le cose vadano bene così?
Queste domande rimangono senza risposta certa.
Perché dunque Papa Francesco dovrebbe eliminare una norma che la maggior parte dei sacerdoti, vescovi, cardinali, religiosi e religiose non gli chiede di modificare?
Tra l’altro, a coloro che chiedono l’abolizione del celibato le risposte del diniego sono molteplici:
• a quella parte della società civile favorevole a una simile riforma viene fatto presente che, se i preti sono per definizione teologica presi dal popolo e separati da esso per il bene e a servizio dello stesso (PO 3), la rinuncia che essi compiono a vivere le esperienze della coniugalità e della genitorialità è una scelta formulata a suo tempo, quello della formazione, liberamente sottoscritta e certamente richiesta per precise motivazioni: quella della dedizione totalizzante alla missione evangelica;
• a chi invoca la possibile soluzione al calo delle vocazioni, basta sottoporre le statistiche che dicono che tale crisi riguarda, in maniera trasversale, anche Chiese delle altre comunità cristiane non cattoliche storicamente fornite di clero uxorato;
• alle donne che amano un prete o un vescovo e che spesso vivono la sofferenza di queste relazioni nel nascondimento anche per anni si risponde che l’abolizione della norma non sarebbe poi così risolutiva della loro situazione. A tal proposito vengono formulati questi quesiti: queste donne sono veramente certe che chi è accanto a loro le ami e non trascini la relazione prendendole in giro? Sono certe che questo sentimento sia realmente ricambiato o forse potrebbe essere una loro illusione? Sono certe che, una volta eliminata la norma, colui che loro amano non potrebbe decidere comunque di porre fine alla relazione? Ma soprattutto, se il sentimento di lui è sincero, profondo e vero, perché non ha già deciso di lasciare il ministero per unirsi alla sua amata? In altre parole: queste donne sono certe che il vero motivo per cui vivono una relazione nascosta sia quella dell’obbligo del celibato, per il quale il sacerdote si dice impedito a sposarle per non rinunciare al ministero?
• Per quanto concerne i figli nascosti di preti e di vescovi, si prende atto che se un uomo, sacerdote o laico che sia, mette al mondo un figlio, dovrebbe assumersi la responsabilità civile e morale della paternità con tutto ciò che questo comporta. Tale responsabilità non prevede però necessariamente che quest’uomo sia obbligato ad unirsi in un vincolo coniugale, nel caso in cui egli non riconosca un legame affettivo con la madre del minore. Quindi la risposta che viene data a chi chiede l’abolizione del celibato obbligatorio mette in risalto l’assenza di correlazione tra l’obbligo del celibato e il dovere di genitorialità. Raccontando la testimonianza di Vincent Doyle, figlio di un prete e fondatore di Copyng International (http://www.copinginternational.com/) e le ammissioni del portavoce vaticano Alessandro Gisotti, il New York Times sostiene l’esistenza di linee guida che fanno parte di un “documento riservato” interno al Vaticano che richiederebbero al ministro che abbia concepito un figlio di assumersene la paternità e di lasciare il ministero (https://www.nytimes.com/2019/02/18/world/europe/priests-children-vatican-rules-celibacy.html). É chiaro che, pur distinguendo la legge del celibato obbligatorio dalla responsabilità genitoriale, è utile chiedersi se l’invito a lasciare il ministero risulti un vantaggio reale per il bene del figlio; le attuali linee guida potrebbero non aiutare un ministro ad arrivare al riconoscimento in quanto questo sfocerebbe simultaneamente in un suo stato immediato di precarietà reddituale con tutte le problematiche che ne potrebbero derivare, inclusi i doveri genitoriali di mantenimento verso i figli minori.
• Infine ci sono le risposte che si danno ai preti che hanno già fatto la scelta di sposarsi, con dispensa o meno, che vengono comunemente detti «preti uxorati» i quali, anche se sono sospesi dal ministero a norma del CJC, Can. 1333, rimangono sempre tali nel Sacramento. Le risposte/domande che si danno a questi sono le seguenti: perché il Papa dovrebbe rispondere alle loro richieste e a quelle di alcune decine di Associazioni che li rappresentano in parte nel mondo, di abolire il celibato obbligatorio? Perché essi possano tornare a «dir messa»? E una tale «pretesa» non potrebbe essere figlia di quella stessa mentalità inficiata dal «clericalismo» più volte denunciato (cfr. Francesco, Lettera al popolo di Dio, 20.08.2018), desiderio che rimarrebbe nell’imprinting degli stessi preti uxorati, non sazi di amore coniugale e familiare, ma desiderosi di continuare ad esercitare il ministero e nostalgici di un ruolo che faceva di loro un «Alter Christus» fino al momento della scelta profusa? Il Papa ha già dato una risposta, amara, netta, dolorosa: «Facciano i bravi laici!» (22.05.2017 risposta data all’Assemblea della CEI alla domanda di mons. Meloni). Sono sempre preti, si, ma ora si preoccupino di vivere il loro ministero nella famiglia, nella società civile, nel mondo «laicale».
Torniamo ai preti celibi: gli unici a non chiedere l’abolizione del celibato. Perché?
Convenienza, interessi, carrierismo, malcelata omosessualità, paura ad esporsi? Vocazione, dedizione, eroismo, sacrificio, dono?
Ognuno conosce le sue motivazioni. Di sicuro il fatto di non chiedere l’abolizione è già una presa di posizione.
Il Papa, con questo Sinodo, ha voluto dare voce ai bisogni della Chiesa Cattolica che è in Amazzonia, chiedendo un ascolto sulla situazione di questa realtà. Se per altre questioni Papa Francesco ha dato indicazioni demandando discernimento sulle situazioni locali agli Episcopati Nazionali, si osserverà tale linea anche per questi argomenti?
In Amazzonia i preti non ci sono e quindi la proposta avanzata è che siano ordinati laici diaconi di provata fede all’interno delle comunità. E se questa assenza di clero è presente in altro luoghi, vedremo se anche qui si darà voce alle Chiese locali.
In Italia il clero italiano e la CEI chiedono preti uxorati? No. Dunque non ha senso che ci siano.
La conclusione a cui si giunge dopo questa lunga disamina è che anche se l’obbligo del celibato è una legge e non un dogma, quindi come tale può essere mutata, non si scorge una urgenza effettiva di abolire tale legge per quel che riguarda il clero della Chiesa Cattolica di rito latino.
Ad un prete e ad un vescovo che decidono di voler contrarre un vincolo matrimoniale, rinunciando dunque al loro ministero, sarebbe necessario garantire una continuità lavorativa retribuita in modo da evitare che la precarietà della condizione economica in cui verrebbero a trovarsi una volta sospesi, possa trasformarsi in motivazione che induce a preferire una non- scelta che, protraendo nel tempo nascondimenti e legami affettivi importanti, finisce con il generare inevitabili situazioni dolorose per se stessi e anche per la comunità ecclesiale.
E se è vero che l’abolizione della legge sul celibato non è una priorità nell’agenda della Chiesa di rito latino, al tempo stesso è vero che non si può più ignorare l’urgenza di gestire queste condizioni all’interno della Chiesa Universale e non può essere più ignorata la responsabilità di voler trovare soluzioni adeguate non solo al clero ma anche ai consacrati e alle consacrate, che vivono simili dinamiche e sofferenze.
Se la Verità rende liberi (Gv 8, 32) è proprio la Verità che sta dietro ogni vita, in special modo se si tratta di clero e consacrati, che deve guidare oggi le scelte della Chiesa e del Vescovo di Roma.
Alessandro Manfridi
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