Papa Francesco e la diversità culturale
Tra gli aspetti più interessanti ed apprezzabili dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco c’è l’affermazione del valore della diversità culturale e della necessità di preservarla. […]
Nell’enciclica Laudato si’, papa Francesco presenta una visione dell’ecologia che definisce più volte integrale. In cosa consiste l’integralità? Nel fatto che comprende le dimensioni interrelate dell’ambiente, dell’economia, della cultura, della società, considerando le conseguenze che i cambiamenti in ciascuna di queste dimensioni hanno su tutte le altre, ma non solo. L’ecologia di papa Francesco è integrale anche perché contempla tutti gli aspetti della visione del mondo cattolica. Utilizzando un termine di Raimon Panikkar, possiamo dire che l’ecologia cattolica di papa Francesco è cosmoteantrica. Se l’ecologia è la scienza dei rapporti, l’ecologia integrale di papa Francesco va intesa come la disciplina che si occupa dei rapporti tra l’essere umano, la natura e Dio. Riguardando anche Dio, una tale ecologia non potrà essere una scienza, ma dovrà risultare dal dialogo tra scienza e religione.
Che rapporti ci sono tra Dio, l’essere umano e la natura? Secondo la Genesi, Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza e gli affidò il compito di dominare la terra. Il testo biblico dice, esattamente:
וַיְבָרֶךְ אֹתָם, אֱלֹהִים, וַיֹּאמֶר לָהֶם אֱלֹהִים פְּרוּ וּרְבוּ וּמִלְאוּ אֶת-הָאָרֶץ, וְכִבְשֻׁהָ; וּרְדוּ בִּדְגַת הַיָּם, וּבְעוֹף הַשָּׁמַיִם, וּבְכָל-חַיָּה, הָרֹמֶשֶׂת עַל-הָאָרֶץ.
E Dio li benedisse, e Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra e dominatela, e soggiogate i pesci del mare, gli uccelli del cielo e ogni vita che si muova sulla terra” (Genesi, 1, 28).
I verbi adoperati in questo passo sono inequivocabili. Il verbo che ho tradotto con “dominatela” è kabash, che Gesenius, autore del più autorevole dizionario dell’ebraico biblico, traduce come segue: pedibus conculcavit, pedibus subiecit, e per estensione subegit (1). Letteralmente dunque si tratta di mettersi qualcosa o qualcuno sotto i piedi. L’altro verbo, che riguarda specificamente gli animali, è radah. Gesenius traduce: (pedibus) calcavit; subegit, dominatus est (2). Sono due verbi che esprimono una grande violenza: l’essere umano ha da Dio il mandato di mettere il proprio piede sulla terra e su tutti gli esseri viventi, compresi quelli che sono in cielo.
In questa violenza originaria, in questo primo mandato violento, che ha in occidente un valore fondante, pur appartenendo al mito, molti hanno visto le radici della violenza umana sulla natura. Tra i primi, lo storico della scienza Lynn White, che in un articolo pubblicato su Science nel 1967 sostenne, appunto, che la crisi ecologica ha radici cristiane. Il suo ragionamento era basato su un semplice sillogismo: la scienza e la tecnica sono nate in Occidente e poi si sono diffuse in tutto il mondo; l’occidente è cristiano; la scienza e la tecnica non esisterebbero senza il cristianesimo. “Specialmente nella sua forma occidentale – scriveva – il cristianesimo è la religione più antropocentrica che il mondo abbia mai visto” (3). Il cristianesimo distingue l’essere umano, creato a Dio a sua immagine, da tutte le altre creature, sulle quali ha il mandato di dominare e che può usare per i propri scopi. La natura non è più sacra, come nel paganesimo. E tuttavia la natura è stata creata da Dio, e dunque è una via per mettersi in contatto con lui. Se la prima teologia ha interpretato la natura simbolicamente, dal tredicesimo secolo in poi si cerca Dio nella natura studiando il suo modo di funzionare e le sue leggi. E’ così che la scienza scaturisce dalla teologia. Purtroppo, questa tecnoscienza che intendeva conoscere la natura per conoscere Dio ha finito per devastare la natura.
Secondo papa Francesco si è trattato di un equivoco. Il mandato biblico non dà all’uomo alcun potere assoluto sugli animali e sulla natura, poiché la terra appartiene solo a Dio. L’essere umano è chiamato da Dio a custodirla, ad esserne non il padrone, ma l’amministratore. Scrive papa Francesco:
Molte volte è stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli. Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile (4).
Non c’è nulla di particolarmente nuovo in questa idea dell’essere umano quale “amministratore responsabile” della natura. E’ la formula individuata da quando la teologia cattolica ha cominciato ad occuparsi delle problematiche teologiche (il passo citato del resto è seguito da una nota che richiama una dichiarazione dei vescovi dell’Asia del 1993). Parole molto simili si trovano in papa Ratzinger, non particolarmente noto per le sue aperture teologiche o politiche. In un messaggio per la giornata mondiale della pace del primo gennaio del 2000, Benedetto XVI affermava che l’uomo e la donna sono stati creati “ad immagine e somiglianza del Creatore per ‘riempire la terra’ e ‘dominarla’ come ‘amministratori’ di Dio stesso (cfr Gen1, 28)” (5). E, oltre che non nuova né originale, non è nemmeno particolarmente rivoluzionaria. Si tratta di nulla più che di una sfumatura, che non muta in nulla l’aspetto fondamentale della questione: la posizione dell’uomo nel cosmo.
Per White, come per altri critici del cristianesimo (compreso il cattolico Eugen Drewermann, sospeso a divinis e ridotto allo stato laicale nel 1992)(6), l’antropocentrismo è il problema culturale da cui deriva la crisi ecologica, che non potrà essere superata fino a quando non si giungerà a considerare l’essere umano come una parte della natura. Quello proposto da papa Francesco è, per così dire, un antropocentismo moderato. L’essere umano resta il centro del creato, unica creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio, ma il suo potere non va inteso come potere assoluto. Il papa rifiuta risolutamente la prospettiva del biocentrismo, perché “Non si può esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità” (7); vale a dire: se non si riconosce la sua unicità di creatura fatta ad immagine di Dio.
Papa Francesco non si limita a riaffermare l’antropocentrismo, garantito dal teocentrismo – l’essere umano è unico perché c’è Dio -, ma rilancia:
Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui senza conoscere limite. Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi (8).
Altrove, nell’enciclica, si legge che “non si può proporre” una relazione con l’ambiente che prescinda dalla relazione con l’altro e con Dio, perché ciò sarebbe “un individualismo romantico travestito da bellezza ecologica e un asfissiante rinchiudersi nell’immanenza”(9). Il che vuol dire che tutti coloro che non credono in Dio non possono essere autenticamente ecologisti, e che l’ateismo, sia pure religioso (ad esempio il buddhismo, che è una religione ateistica che ha molto da dire sui temi ecologici), è necessariamente violento ed antiecologico. Con questa enciclica, in sostanza, il cattolicesimo si arroga l’ecologismo.
Il citato Lynn White riteneva che all’interno del cristianesimo fosse presente una sorta di antidoto alla violenza verso la natura: il francescanesimo. Francesco d’Assisi è, per lo storico americano, “il più grande radicale nella storia cristiana dai tempi di Cristo”. Egli ha istituito una sorta di democrazia tra le creature, una fratellanza che supera e cancella il dominio. Ma la rivoluzione francescana ha fallito, ed è prevalsa “l’arroganza cristiana ortodossa verso la natura” (10).
Ora, papa Francesco si richiama apertamente a Francesco d’Assisi, al suo amore per la natura, alla sua fratellanza verso gli esseri non umani. Ad un certo punto, giunge a sfiorare una affermazione importantissima: quella della sacralità della vita non umana. Come è noto, per la Chiesa cattolica la sola vita umana, anche quando è ancora in embrione, è sacra; nessuna altra vita lo è. Con una formula nella quale appare evidente la sua formazione gesuitica, papa Francesco afferma:
Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento (11).
Il che dovrebbe significare che gli esseri non umani hanno un valore intrinseco, se non una loro sacralità. Nella stessa enciclica, però, il papa sottolinea che il pensiero ebraico-cristiano “ha demitizzato la natura” e, senza smettere si ammirarla, “non le ha più attribuito un carattere divino” (12). E questo significa invece ribadire che l’essere umano è l’unico essere divino della natura, in quanto imago Dei, e che la vita di nessuna altra creatura è sacra. Da ciò dovrebbe scaturire una cura nei confronti del creato, fragile ed imperfetto nella sua non-divinità.
Nessuna orizzontalità, dunque; nessuna reale fraternità tra le creature. Papa Francesco ribadisce la tradizionale visione cattolica del cosmo: in alto Dio; sotto Dio l’essere umano; sotto l’essere umano, la terra e le creature. Questo “essere sotto” del mondo e delle creature non è più un “essere schiacciato”, ma resta la visione gerarchica.
Uno che di ecologia se ne intendeva, Murray Bookchin (tra parentesi: è il creatore dell’ecologia sociale, espressione che il papa usa senza citarlo), sosteneva l’urgenza di “estirpare l’orientamento gerarchico della nostra psiche” (13), quella disposizione mentale che ci porta a creare realtà inevitabilmente disuguali, in qualsiasi campo della nostra esperienza. La stessa opzione etico-economica per gli ultimi ed i poveri – a proposito della quale papa Francesco in questa enciclica ed altrove dice cose importanti ed assolutamente condivisibili – può restare parziale, senza una rivoluzione psichica e culturale che ci conduca a cercare ovunque relazioni orizzontali, aperte, democratiche, a rigettare la cultura dell’alto e del basso, del primo e dell’ultimo, del sacro e del profano. La crisi ecologica richiede una rivoluzione culturale, un nuovo sguardo sul mondo che re-immerga l’essere umano nella natura e che porti in primo piano, anche dal punto di vista etico, la vita non umana. Quella proposta da papa Francesco è, su questo punto (che non è marginale, ed al quale si collegano tutti gli altri temi economici, sociali, etici) una riforma, più che una rivoluzione.
Note
(1) W. Gesenius, Lexicon Manuale Hebraicum ed Chaldaicum in Veteris Testamenti Libros, Vogelii, Lipsiae 1833, p. 465.
(2) Ivi, p. 924.
(3) L. Whyte, The Historical Roots of Our Ecologic Crisis, in Science, vol. 155, n. 3767, 10 march 1967.
(4) Lettera enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune, Tipografia Vaticana, Roma 2015, p. 91.
(5) Benedetto XVI, Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione della XLIII Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2010, http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/messages/peace/documents/hf_ben-xvi_mes_20091208_xliii-world-day-peace.html
(6) La critica di Drewermann all’antropocentrismo è in Der tödliche Fortschritt: Von der Zerstörung der Erde und des Menschen im Erbe des Christentums, Pustet, Regensburg 1981.
(7) Lettera enciclica Laudato si‘, cit., p. 93.
(8) Ivi, pp. 59-60.
(9) Ivi, p. 93.
(10) L. White, The Historical Roots of Our Ecologic Crisis, cit.
(11) Lettera enciclica Laudato si’, cit., p. 55.
(12) Ivi, p. 61.
(13) M. Bookchin, L’ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, tr. it., Elèuthera, Milano 2010, p. 518.
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Bello l’articolo e ricco di suggestioni del mio amico Antonio Viugilante, fine conoscitore di questioni legate alla filosofia della religione e all’etica ambientale….vorrei dialogare con lui sapendo che molto diverse sono le nostre posizioni. Per quanto concerne la centralità dell’uomo, direi che nel cristianesimo essa non va intesa come un centro che domina e che fa violenza. Questa è la curvaturra baconiana, prima, con la nacita delal ecnica moderna come strumento di dominio sulla natura, e di quelal caresiana, dopo, con il primato dell’io ridotto a pura res cogitrans rispetto a tutto ciò che è pura res extensa, o che non ha la cosiddetta coscienza. Che poi l’antropocentrismo sia una prerogativa del cristianesimo, il cristiano non lo nega e non se ne vergogna, nè lo usa però come una giustificazione teologico-religiosa ad una ideologia di potere, ma nella consapevolezza che si trattqa di un antropocentrismo di tipo crisotcentrico e trinitario, quindi relazionale e non autoireferenzile o egotistico ( e queste due realtà, la dimensione crisgtocentrica e quela gtrinitaria, sono strettamente collegate con la visione dell’uomo come “essere fatto poco men o degli angeli come dice il salmo 8). L’antropocentrismo cristiano non è una forma di prometeismo, altrimenti non ci spiegheremmo un Feuerbach o un Marx, le cui critiche sono nare priprio nel vedere la eligione cristiana come alienzaiuzone e come una deprivazione di ciò che è solo e tutto umano. Il cristianio sa che il creato è un dono è non una proprietà: un dono da restituire e da custodire. Nella logica biblica i doni responsabilizzano. Che l’antropocentrismo sia all’origine dela tecnica è uan tesi sostenuta anche da Galimberti nel suo “Psiche e tekne” e da S. Natoli nel suo “Progresso e catastrofe” e nel suo “I nuovi pagani”, ma è una forzatura perchè si riferisce ad un uso storico (fuorviante aggiungo io) di un certo cristianesimo, e non al messaggio originario. Questo significa che la centralità dell’uomo nel cristianesimo non è una centralità di dominio ma di servizio e di custodia, di resposnabilità e di cura, di promozione e di conduzione verso il compimento del progetto di Dio il quale consiste nel fatto che tutte le cose trovino il proprio ultimo compimento in Cristo (è questa la bella interpretazione di J. Moltmann in “Dio nella creazione”, Ed. Queriniana). Non un antropocentrsimo di sfruttamento o di manipolazione (quesfta è stata la cattiva interpretazione da parte del calvinismo da cui come diceva Weber è nato la logica capitalistica di oggi che asservisce il creato a logiche di profitto). Per il credente il fatto che l’uomo sia più vicino a Dio ( per il fatto che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio) n on è un privilegio soltanto, ma un’investitura di responsabilità, in quanto Dio lo rende partecipe della sua stessa opera creatrice, della sua cura e della sua custodia. Ecco il valore dell’uomo e la sua dignità: partecipare, da uomo libero, all’opera creatrice di Dio. Non una dignità che autorizza a dominare (questa arroganza è una deriva scaturita da quella rottura con la creazione quale frutto del peccato che ferisce sia l’uomo che la creazione). Quindi solo in quanto creato rispetto al creatore e alle creature che sono opera di Dio e non dell’uomo l’uomo esercitq la propria centralità e la propria respossnabilità.Che poi tale centralità sia stata intepretata come dominio e come violenza,come abuso e come potere di poter ferire la terra, beh questo è il rischio delle concretizzazioni storcihe a cui il cristianesimo è esposto…..concretizzazioni che sono delle deformazioni che si gnerano quando il cristianesimo si lascia sviare da altri interessi o contaminare da visioni che non gli appartengono e dalle quali l’enciclica a mio parere vuole prendere le distanze….con stima Michele Illiceto.
– Discutiamo un attimo la centralità. Che l’uomo sia qualcosa come un “amministratore responsabile” della natura è una affermazione che, a pensarci un attimo, risulta irresistibilmente comica. Perché, cos’è il creato? Un universo di cento miliardi di galassie, ognuna delle quali ha cento miliardi di stelle. L’uomo, in questo universo, occupa una posizione assolutamente irrilevante: è una delle migliaia di specie di un pianeta minuscolo che gira intorno a una stella. Se l’essere umano scomparisse, nell’universo non cambierebbe nulla. Chi parla dell’essere umano come “amministratore responsabile” del creato, evidentemente ha una Weltanschauung tolemaica: pensa al creato come alla terra con il sole che le gira intorno e le stelle che stanno a fare scena. E’ chiaro il dialogo tra ragione e fede, auspicato anche in questa enciclica, diventa impossibile partendo da questi presupposti. Davvero un fisico può dialogare con chi ha una visione ancora tolemaica? Una fede adulta dovrebbe partire, qui, da Copernico. Almeno.
– Un po’ facile prendersela col povero Cartesio – che, sia detto di sfuggita, era peraltro vegetariano. Esiste una linea evolutiva del pensiero occidentale. Il cogito cartesiano non sarebbe possibile senza Agostino, per dire; e naturalmente Agostino non sarebbe possibile senza il Vangelo (e ancor di più senza Paolo di Tarso).
– Mi fa piacere che citi Moltmann. Mi sarebbe piaciuto parlarne nell’articolo, ma il discorso sarebbe diventato troppo lungo. Ritengo “Dio nella creazione” di Moltmann uno dei migliori libri di teologia cristiana su tema dell’ecologia, se non il migliore in assoluto. Ma con Moltmann siamo molto al di là di papa Francesco. Rivedo le mie annotazioni di lettura, risalenti al ’97, quindi quasi vent’anni fa. Annotavo che “Moltmann spinge il cristianesimo al punto di maggiore prossimità alla concezione pagana del mondo”. Aggiungo, oggi, che lo fa riprendendo un figura del pensiero ebraico che papa Francesco sembra ignorare: la שכינה. Lo Spirito di Dio è la שכינה che abita nell’universo; Dio è dunque presente nel mondo, abita (שכינה deriva da “abitare”) nel mondo. E dunque il mondo è permeato da Dio. La conclusione di Moltmann è bellissima: “Dicendo che lo Spirito Creatore penetra nel mondo, intendiamo dire che noi comprendiamo ogni singolo come parte del tutto ed ogni realtà limitata come una rappresentazione dell’infinito. Tutte le creature sono individuazioni della comunione creaturale e manifestazioni dello Spirito divino” (J. Moltmann, “Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione”, tr. it., Morcelliana, Brescia 1992, p. 125). Moltmann riprende da Krause il termine panenteismo per indicare questa approssimazione del monoteismo al panteismo. Certo, siamo molto al di là delle prudenti e un po’ gesuitiche aperture di papa Francesco sul valore della vita non umana.
Rispondo non tanto per avere ragione, ma per cercare di comunicare le ragioni del mio credere. Penso che la centralità dell’uomo non sia legata per forza di cose alla centralità del pianeta terra rispetto a l resto dell’universo. L’antropocentrismo non è legata ad una prova di natura cosmologica, anche se per un certo periodo si è sentita la necessità di avallare l’antropocentrismo anche con l’idea prescientifica di mettere la terra al centro. Per tale ragione l’antropocentrismo biblico non è di natura cosmologica, ma assiologia. Per questo non è corretto dire che la visione antropocentrica è legata ad una visione tolemaica e che di conseguenza in un visione copernicana essa è destinata ad essere superata. Questo è quanto ha cercato di fare un certa filosofia, non cogliendo le differenze tra le due coordinare che ho richiamato prima
L’insegnamento di Galilei (il padre della fisica e della’astronomia moderna che è rimasto credente nonostante tutte le incomprensioni della chiesa del suo tempo) è stato proprio questo: il fatto che la terra non fosse più al centro non toglieva valore all’uomo per il semplice fatto che biblicamente tale centralità non dipendeva affatto dalla centralità della terra. La prospettiva biblica è teologico-antropologico (cioè volta a definire il rapporto uomo-Dio) e non cosmologico (cioè a descrivere la struttura dell’universo).
Che poi l’uomo, percependosi come un essere infinitamente piccolo di fronte allo sterminato universo di infinite galassie, debba conseguentemente autopercepirsi come insignificante, inutile, e non più coronato di alcuna dignità, vista la sua infima natura rispetto alla potenza e immensità del cosmo, non sta scritto da nessuna parte. Certo si può arrivare a tale conclusione come hanno fatto molti autori. Penso a Sartre che definisce l’uomo come un a”passione inutile”, o a Cioran che dice che l’uomo è passato di moda, o a Foucault che afferma che l’uomo è un invenzione recente, etc….
Ma come si può concludere ad una visione negativa, si può anche concludere ad una visione positiva, come si registra nell’antropologia biblica o in altre versioni filosofiche. Penso che una tale autopercezione renda problematica la posizione nel mondo, e ripropone la vecchia domanda di Pascal: «Che cos’è in fondo l’uomo nella natura? Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla; un qualcosa di mezzo tra il niente e il tutto. Infinitamente lontano dall’abbracciare gli estremi, la fine delle cose e il loro principio gli sono invincibilmente nascosti in un impenetrabile segreto, ed egli è ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto e l’infinito dal quale è inghiottito». (Pensieri, n. 43, 1994).
E ancora meglio in questo passo:
«Non so chi mi abbia messo al mondo, né che cosa sia il mondo, né che cosa io stesso. Sono in un’ignoranza spaventosa di tutto. Non so che cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quel che dico, che medita sopra di tutto e sopra se stessa, e non conosce sé meglio del resto. Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo, che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di questa immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove, né perché questo po’ di tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Da ogni parte vedo soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo e come un’ombra che dura un istante, e scompare poi per sempre. Tutto quel che so è che debbo presto morire; ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte, che non posso evitare». (Pensieri, n. 194, 1994)
Tale situazione suscita in noi uomini grande stupore (da cui è nata la filosofia) e come diceva Kant ci fa vivere l’esperienza del sublime nelle sue diverse coniugazioni.
Nel salmo 8 la grandezza dell’universo è motivo per l’uomo di scoperta della propria dignità per il fatto che Dio, che ha creato un universo immenso e bello, si occupi dell’uomo:
O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Ha ragione a mio parere E. Bloch quando dice che l’uomo non è passato di moda, come voleva il grande Cioran, ma è una terra in cui non siamo ancora nati (sulla stessa scia è Levinas).
Perdonami, ma l’affermazione che l’antropocentrismo biblico non è di natura cosmologica, è semplicemente falsa. Potrai dire che non è di natura cosmologica l’antropocentrismo della Chiesa attuale, ma che nella Bibbia vi sia un ingenuo antropocentrismo cosmologico mi sembra innegabile. Gli elementi del cosmo, nella Genesi, solo la terra, al centro, i cieli (ha-shamaim) e le stelle a far da contorno. Interessante è il fatto che nella Bibbia non c’è solo questo antropocentrismo. Nel libro di Giobbe in particolare ci sono elementi importanti per un superamento dell’antropocentrismo. Il povero Giobbe chiede conto a Dio delle sue disgrazie. I suoi interlocutori cercano di dimostrargli che Dio è buono, e che se gli sono capitate tante disgrazie, vuol dire che ha compiuto del male, o offeso Dio. YHWH interviene alla fine del libro per parlare direttamente con Giobbe. Non gli dà ragione né torto; gli spiega solo che l’essere umano è insignificante, rispetto ad altre creature come il Leviathan ed il Behemot.
Sono fermamente convinto che in Giobbe vi siano gli elementi per il passaggio ad una fede adulta, che è appunto una fede non narcisistica, la posizione religiosa di chi non ha bisogno di ritenersi – sia pure non in senso realmente cosmologico, come dici – al centro del mondo, al centro delle attenzioni di Dio, fine ultimo della creazione; la fede di chi può sapersi come essere infinitesimale, senza tuttavia smarrirsi. Bisognerebbe rileggersi la parte finale del libro di Ricoeur su Freud, lì dove il filosofo francese parla proprio di Giobbe come una posizione “più vicina al ‘terzo genere’ della conoscenza di Spinoza che non a qualsiasi religione della Provvidenza” (“Della Interpretazione. Saggio su Freud”, tr. it., il melangolo, Genova 1991, p. 505).
Insomma, se l’antropocentrismo è assiologico, come dici, lo è anche l’antiantropocentrismo. Assiologico e religioso. Assiologico, perché non è possibile affrontare realmente la crisi ecologica se non ci si pensa come semplici parti della natura, specie tra le specie, deponendo qualsiasi forma di arroganza, compresa quella implicita nell’idea dell\'”amministrazione responsabile”; religiosa, perché ogni vera esperienza religiosa comincia lì dove l’io – sotto la sferza del dolore o dell’eros – si spacca e cede ad altro.