Questioni di genere

Francesco prepara la rivoluzione del diaconato femminile

4 Agosto 2016

Papa Francesco ha nominato la Commissione di studio sul diaconato femminile: parità di genere, sei uomini (tutti sacerdoti ma neppure un porporato) e sei donne (due suore e quattro laiche) e a presiederla il Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor Ferrer.

I diaconi nella Chiesa cattolica sono i ministri del culto che hanno ricevuto il grado iniziale dell’Ordine sacro (seguono il sacerdozio e l’episcopato). Non è una notizia secondaria, quindi, rispetto al rapporto donne-Chiesa che è sempre stato il tallone d’Achille di ogni magistero progressista e a pochi mesi dalle conclusioni “aperte” del Sinodo sulla famiglia e dall’esortazione “Amoris Laetitia” che tanto sta facendo discutere dentro e fuori i sacri palazzi.

L’aveva annunciata il 12 maggio, Francesco, all’udienza con le religiose dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali. «La Chiesa ha bisogno che le donne entrino nel processo decisionale», aveva ribadito nelle sue conclusioni. E specularmente, in un’intervista del giorno dopo, una delle più prestigiose tra le partecipanti aveva chiarito: «Non ci interessa arrivare lì dove sono arrivati uomini, ma dare il nostro apporto specifico come donne. La autorevolezza delle donne deve prescindere da modelli maschili. Non è una simile identificazione che ci fa essere veramente donne. Altrimenti sarebbe come riconoscere una nostra inferiorità». Era Suor Mary Melone, Teologa francescana, Rettore del Pontificio Ateneo Antonianum, nominata tra i componenti della Commissione istituita due giorni fa.

Il mandato della Commissione è quello di studiare nelle Sacre Scritture il tema del diaconato, cioè della presenza delle donne al seguito di Cristo, impegnate nel servizio alla comunità, nel processo di evangelizzazione e nell’aiuto alla celebrazione dei sacramenti.

Se ne discute da 17 secoli nella Chiesa, e la questione era stata riproposta in epoca contemporanea al Concilio Vaticano II, dopo il ripristino del diaconato permanente anche per gli uomini sposati, ma le decisioni finali non erano andate oltre l’apertura alle donne degli studi di teologia e dell’insegnamento nelle facoltà teologiche.
Il fondamento biblico della questione è proprio il suo punto di forza: nel Vangelo di Luca (8,1-3) se ne parla chiaramente: «In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunciando la buona novella del regno di Dio. (Camminavano) con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni». (Lc 8,1-3).

Il riferimento a un ruolo non ancillare è nel nome delle donne che viene citato, nel loro status (anche la moglie dell’amministratore di Erode), e soprattutto nel riferimento ai beni e alle proprietà delle donne che erano stati messi a disposizione della prima comunità cristiana, mentre non erano presenti le mogli degli Apostoli sposati (come Pietro), a cui Cristo aveva chiesto di lasciare famiglie e proprietà per dedicarsi al discepolato.  Non dimentichiamo la rottura dirompente con la tradizione e l’etica del suo tempo rappresentata dalla scelta di Cristo di ammettere le donne al discepolato, al dialogo e all’ascolto del suo insegnamento, ricambiata dalle donne, uniche a seguirlo fin sotto la croce.

San Paolo, nella Lettera ai Romani, aveva utilizzato il termine “diacono” applicato ad una donna: «Vi raccomando Febe, nostra sorella, diacono della Chiesa di Cencre» (16,1). La posizione delle donne nella Chiesa arretrava poi nei secoli in cui si affermava il cesaropapismo, e l’Impero romano, ad opera di Costantino, chiuse la fase delle persecuzioni e pretese di gestire politicamente la nuova religione di massa.

Il Concilio di Nicea del 325, convocato e presieduto da Costantino, negava l’esistenza dell’ordinazione delle diaconesse e le omologava ai semplici laici. Ma un secolo dopo, nel 451, il Concilio di Calcedonia rinominava l’ordinazione delle diaconesse, stabilendo: «Non si ordini diacono una donna prima dei quarant’anni, e non senza diligente esame. Se per caso, dopo aver ricevuto l’imposizione delle mani e avere esercitato per un certo tempo il ministero, osasse contrarre matrimonio, disprezzando con ciò la grazia di Dio, sia scomunicata insieme a colui che si è unito a lei».

Per niente scontata quindi l’assenza di precedenti storici del diaconato femminile, e l’aver voluto, da parte di Francesco, una Commissione di Studi, manifesta l’impostazione di un percorso non di tipo proceduralistico-amministrativo, ma radicato nel fondamento della Parola come fonte di legittimazione di un “ripristino”, non di una moderna istituzione, del diaconato per le donne. I fondamentalisti sarebbero così serviti.

Già nel 1994, il biblista più autorevole della Chiesa italiana dell’ultimo secolo, il cardinal Martini, aveva parlato della possibilità di studiare l’istituzione del diaconato per le donne: “Nella storia della Chiesa ci sono state le diaconesse, possiamo pensare a questa possibilità”.  Ma, nel settembre 2001, il cardinal Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, aveva firmato una lettera, approvata dal papa Giovanni Paolo II, nella quale si affermava che “non è lecito porre in atto iniziative che in qualche modo mirino a preparare candidate al’’ordine diaconale”, in linea con la Ordinatio sacerdotalis, in cui si negava negava la possibilità per le donne di accedere al sacerdozio.

La discussione ai vertici della Chiesa sul diaconato femminile però rimaneva aperta: nel 2003 la Commissione teologica internazionale aveva affrontato il problema dal punto di vista storico e non aveva escluso la possibilità di un suo ripristino. Il cardinal Walter Kasper, aveva aperto allora alla possibilità dell’istituzione delle diaconesse, e molti prelati tedeschi si sono poi rivelati possibilisti in merito: da Zollitsch, ex presidente della Conferenza episcopale tedesca, a monsignor Bode, già presidente della commissione pastorale della stessa conferenza. E in Germania è stata costituita anche la rete per il diaconato femminile (Netzwerk Diakonat der Frau).

La proposta di Papa Francesco quindi incontra questo dibattito con una nuova apertura. Non a caso, già il 13 maggio, il card. Ravasi, in un’intervista ad Aldo Maria Valli, ha sostenuto questa possibilità con tutta l’ufficialità del suo ruolo di presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura: «Significherebbe dare un rilievo formale ufficiale alla donna all’interno delle strutture ecclesiali, con funzioni ben precise, ben delineate. Sarebbe un modo per riportare il volto femminile nella comunità ecclesiale in maniera incisiva, come, a quanto pare, avveniva nelle comunità cristiane dei primi secoli».

Intanto, da Papa Francesco, un altro segnale importante: il 3 giugno ha istituito la festa liturgica di Santa Maria Maddalena, e il Segretario della Congregazione per il culto divino, mons. Roche, ha precisato che Maddalena faceva parte del gruppo dei discepoli di Gesù, prima testimone della resurrezione, ed «è giusto che la celebrazione liturgica di questa donna abbia il medesimo grado di festa dato alla celebrazione degli apostoli nel Calendario Romano Generale».

Oggi si riparte con la Commissione di studio, con le presenze paritarie e la nomina di autorevoli studiose laiche, bibliste e teologhe di tutti i continenti.  Il cammino di Papa Francesco con le donne prosegue, senza strappi ma con coerenza, proprio in nome di quell’esigenza di “umanizzare” la società e la Chiesa che già Giovanni Paolo II aveva individuato come la missione universale delle donne. Lui che per primo aveva valorizzato teologicamente la differenza di genere, sin dai suoi studi filosofici prima del pontificato.

Con buona pace di chi cerca di costruire lo stereotipo mediatico della divergenza di magistero tra il Papa Santo, citato come tutore della tradizione più conservatrice e il Papa sudamericano “contaminato” dalla teologia della liberazione. Gli stereotipi funzionano in assenza di pensiero, questa volta sembra che il pensiero non manchi a sostenere il cammino.

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