Questioni di genere

Le nuove frontiere del tribalismo cattolico: il movimento femminile

23 Ottobre 2017

Uno dei fenomeni più divertenti di questa nostra tardo- modernità social è che finisce per ripescare elementi premoderni, ovviamente con forme nuove, regalandogli nuovo smalto: uno di questi, tipicamente, è la tribù. La vita dei social è una vita tribale, violenta e settaria, e all’interno di questo ampio fenomeno virtuale, trova posto tra gli altri anche il tribalismo cattolico. In realtà nella Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II, ci sono sempre state differenze e anche contrapposizioni, ma mai un antagonismo così consistente e virulento. Il Papato di Francesco ha fatto saltare molti equilibri, colpendo al cuore –con la sua insistenza sui poveri e le periferie – la rassicurante comodità che caratterizzava molti ambiti della Chiesa cresciuta con Giovanni Paolo II. Le tribù si sono rinserrate e incattivite, le parole contrappositive e offensive nei confronti del Pontefice hanno iniziato a fluire senza controllo e gli stessi ambienti che invocano la tradizione e il rigore della correzione, non si fanno problemi a criticare, svilire quando non insultare l’operato del Papa. Si spingono anche oltre, però, auspicando un ritorno al passato non solo nella liturgia, ma anche nelle relazioni umane e – chissà perché – principalmente nella relazione uomo-donna.

“Tutto molto interessante” direbbe Rovazzi.

In effetti si potrebbe lasciar andare, lasciar fare e dire, “tanto alla fine la Chiesa è gerarchica e ci penserà il Papa a correggere chi vuol correggere lui”, come ha fatto proprio nei giorni scorsi col Cardinal Sarah sulla liturgia, se non fosse che a volte accadono cose che riescono a irritare perfino i più pigri tra noi.

Personalmente mi  è successo ultimamente quando ho scoperto l’esistenza di un non meglio definito Movimento Femminile delle donne cristiane, fondato da alcune signore vicine all’esperienza dei Neo Catecumenali impegnate nelle varie sigle (ormai troppe per ricordarle) che combattono l’avvincente battaglia contro lo spettro del gender, oltre che dalla onnipresente Miriano, e che evidentemente afferiscono a quell’area conservatrice e critica verso Papa Francesco.

Quando una donna credente normale, come la sottoscritta, legge cose come “ il dramma che ha colpito e colpisce la famiglia – l’aborto, il divorzio, la distruzione del rapporto uomo-donna che oggi vive un momento di grande conflitto e che porta anche a tragiche conseguenze come la violenza – è iniziato dalla confusione nata con il femminismo radicale” o che “la donna è fabbrica della vita” è difficile restare zitta e zen come il ritornello di Rovazzi. E non perché non sappia che la maggior parte delle donne cattoliche si sente profondamente lontana da questa visione riduttiva e svilente del femminismo e della missione della donna nel mondo, ma perché per qualche ragione questa voce trova molto spazio nelle comunità e nei media cattolici e così sempre più sorelle, magari in momenti di fragilità e alla ricerca di stampelle emotive, si lasciano affascinare da questo modello che è in odore di sacrificio umano, perché sacrifica l’essere pienamente persona delle donne.

In troppi contesti cattolici sembra tornato in auge il mito della donna angelo del focolare e questo nonostante  il Papa abbia avviato un profondo cammino di riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa dicendo chiaramente, tra le altre cose, che devono aprirsi anche “spazi di responsabilità” e non solo di servizio… o forse proprio per questo!

È avvilente, avvilente per quelle donne che cercano di porsi in maniera adulta e non ancillare a fianco dei pastori, che non invocano il loro essere madri come una bandiera e un merito, che condividono con i loro sposi la gioia e la responsabilità di essere genitori e-  come loro- concorrono, con le forze e capacità che hanno, alla crescita della società.  A ben vedere è avvilente per la maggior parte di quelle che frequentano le nostre chiese, eppure questo modello cresce, affascina, convince. Forse perché in questa società liquida, fluida, finanche gassosa, fa gola poter attingere a un immaginario ben preciso: la moglie-madre devota e sottomessa, che guida il marito dal suo stato quasi bestiale a uno pre-angelico e che porta i segni esteriori (a metà tra il pagano e il fashion) di “braccialetti da preghiera”, mette in mostra il rosario e possibilmente ascolta solo musica cristiana. So che questo ritratto sembra piovuto qui direttamente da qualche canale pentecostale della tv via cavo americana degli anni ’90, eppure è così, ci sono migliaia di donne cattoliche che si presentano così. Che cercano di aderire a questo immaginario che le rassicura e consente di identificarsi.

E allora, vien da dire, non è più il tempo di fare spallucce e pensare che passerà, che non vale la pena parlare di queste sciocchezze, no! Perché un altra proposta femminile è possibile, ma ha bisogno di uscire dalle sale conferenze e dalle biblioteche delle facoltà teologiche e incontrare tutte.

È venuto il momento di raccogliersi e unire la voce perché farsi rappresentare come donne cattoliche da questi movimenti è veramente troppo. Troviamo i canali e i modi, nei luoghi in cui siamo (che siano parrocchie, movimenti, associazioni), ma alziamo la voce come donne consapevoli del proprio valore, delle proprie capacità, del proprio posto nel mondo e cerchiamo di renderci degne del nostro modello, Maria, che non temette di tener testa al proprio figlio nel chiedere ciò che voleva. Lo so, saremo poco rassicuranti per i preti e forse inizialmente ci terranno a distanza, ma non importa, prima o poi anche loro si rassegneranno all’idea che le donne non sono immaginette accoglienti e glitterate, ma che siamo invece interlocutori autorevoli e potenziali rompiscatole.

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