Questioni di genere

“L’identikit della donna vittima di violenza di genere non esiste”

24 Novembre 2023

Di violenze di genere, stigma e società abbiamo parlato con Cristina Carelli, coordinatrice di Cadmi, centro antiviolenza attivo da 35 anni nella realtà milanese e parte della Rete antiviolenza del Comune di Milano insieme ad altri 13 centri operativi sul territorio nell’accoglienza e nel sostegno delle donne nei loro percorsi di uscita dalla violenza di genere. “Come il Tribunale di Milano, anche noi abbiamo registrato come trend positivo il progressivo aumento delle richieste di assistenza da parte di donne under 30 e, in particolare, nella fascia 18 – 30 anni. Questo vuol dire che, sempre di più, le ragazze si sentono sicure nel rivolgersi a noi, e sanno che qui saranno accolte senza giudizio. Già nel 2021 la percentuale di giovani donne che entravano in contatto con noi era alta (circa 20%), e quest’anno abbiamo raggiunto il 25% già solo con i dati di fine ottobre. Secondo la nostra esperienza, entro la fine dell’anno questo dato continuerà a salire: nel tempo abbiamo imparato che, spesso, dopo casi drammatici come quello di Giulia Cecchettin molte donne vittime di violenza si decidono finalmente a denunciare gli abusi che subiscono nel quotidiano, non soltanto per paura, ma anche perché sentono che non sono sole”.

“Un’altra tendenza positiva che abbiamo registrato, poi, riguarda l’aumento delle donne migranti e straniere che ci contattano: se nel decennio precedente a rivolgersi a Cadmi sono state soprattutto donne italiane (80% circa), ora siamo quasi a un fifty-fifty (59% italiane e 41% straniere). Questo dato è un chiaro segnale di integrazione, e di maggiore accessibilità dei nostri servizi – ai quali stiamo comunque lavorando perché, nei casi di violenze che nascono in contesti culturali diversi dal nostro, occorre avere metodologie adeguate e competenze specifiche.”.

Complessivamente, insomma, stando a Cristina Carelli si può dire che la consapevolezza in materia di violenza di genere nell’area di Milano stia, pian piano, aumentando, così come quella a proposito della rilevanza di certe condotte dal punto di vista penale. Anche se, ricorda Carelli, occorre tenere a mente una verità importante: non sempre da un contatto con un centro antiviolenza da parte di una donna nasce una denuncia penale per le condotte subite. “Non bisogna pensare che l’emersione di una violenza di genere, che sia essa domestica, sul luogo di lavoro o nata in un contesto amicale (dato questo in aumento, e soprattutto tra giovani si sente più spesso parlare di serate alcoliche finite male) comporti necessariamente una denuncia. Al contrario, solo una parte dei casi di violenza di cui Cadmi si occupa arriva in Tribunale. La denuncia è un percorso, e spesso i tempi e le procedure della giustizia possono rappresentare un ostacolo per chi viene da una situazione di violenza nata in un contesto relazionale. Spesso, le donne che si rivolgono al nostro centro hanno bisogno di del tempo per distaccarsi dagli uomini autori delle violenze. Siamo parlando di famiglie, luoghi di lavoro, gruppi di amici: molto spesso ci sono delle dipendenze legate a questi contesti, delle quali occorre tener conto quando si lavora su questi temi” E in merito alle dipendenze, precisa Carelli: “si tenga a mente che, quando si parla di dipendenze, ci si riferisce più che altro a dipendenze economiche, e non a dipendenze affettive. Ogni tanto si sente parlare di ‘dipendenza affettiva’ come se questo fosse un fenomeno caratterizzante, che riguarda esclusivamente le donne e in un certo senso giustifica situazioni inaccettabili. Teniamo sempre presente che la dipendenza affettiva è un’altra cosa, e interessa sia le donne che gli uomini sul piano relazionale. Ma qui non stiamo parlando di dinamiche di relazione, stiamo parlando di violenze, e le violenze non devono essere mai considerate come parte di una relazione sentimentale. Mai”.

Su un punto in particolare si sofferma, poi, Cristina Carelli: “C’è un altro elemento che vale la pena sottolineare, perché ogni tanto ci si accorge di come questo dato non sia scontato. Bisogna tenere sempre a mente questo: non è possibile tracciare l’identikit della donna vittima di violenza di genere. Ne’ a Milano, ne’ altrove: il profilo della vittima di violenze non si può identificare a priori.” Al contrario, continua Carelli, negli anni di esperienza e di lavoro sul territorio ci si è accorti di quanto il fenomeno della violenza di genere sia trasversale, e di come nessun contesto sociale, nessuna dinamica relazionale possa considerarsi esente. La donna vittima di violenza può lavorare come manager, come può essere disoccupata; può essere plurilaureata, come non aver completato la scuola dell’obbligo. Può essere italiana, può essere straniera; madre di famiglia o giovane ragazza. Nessuna “categoria” (fermo restando che, nel caso delle violenze di genere come in generale, “non c’è niente di più sbagliato, e oltretutto inutile, di etichettare a priori situazioni e contesti nel tentativo forzato di far risultare omogeneo un fenomeno che omogeneo non è”) di donne è esente da questo rischio, così come nessuna di esse è esposta più delle altre. Quanto all’autore della violenza, poi, va detto che nemmeno questo è identificabile. Anche qui, infatti, è più che mai sbagliato definire a priori gruppi di uomini da ritenersi a priori “pericolosi” o possibilmente tali – perché la violenza di genere è un fenomeno complesso, che unisce il contesto sociale alla realtà relazionale vissuta da ciascuno di noi, e trova le sue forme di espressione attraverso i canali più svariati. Revenge porn, molestie sul lavoro, dinamiche di sottomissione e stalking: questi sono soltanto alcuni dei modi in cui una violenza di genere si può manifestare, e questi comportamenti sono tutte facce della stessa medaglia, della stessa situazione drammatica che spesso le donne, tutte le donne, pensano di esser costrette o destinate ad affrontare da sole.

“Perché non si pensi che una donna italiana, istruita e con un lavoro stabile sia esente da questo fenomeno: anzi, spesso ci capita di accogliere donne italiane, per condizione privilegiate, che non hanno nessuno con cui parlare degli abusi che subiscono. Ci vogliono più prevenzione e più formazione su questi temi, e la formazione deve essere trasversale”.

Ed è su questi due aspetti, entrambi importanti, che chiude Cristina Carelli: “Dobbiamo sempre ricordare che, spesso, la violenza di genere è frutto di un’escalation. Per questo è davvero importante svelare quali sono i suoi primi segnali, in modo da interromperla immediatamente. In che modo? Su questi temi, la formazione è importantissima. E deve riguardare tutti: sulla violenza di genere occorre formare gli agenti di polizia, il personale sociosanitario, gli avvocati, i giudici e i magistrati. Bisogna fare formazione nei luoghi di lavoro”. A questo proposito, ricordiamo che Cadmi collabora da tempo con una rete di aziende fornendo servizi di formazione e assistenza. “Infine, la formazione nelle scuole è fondamentale. Essa, però, non deve riguardare solo gli studenti: bisogna coinvolgere anche insegnanti e famiglie, per non creare cortocircuiti. Quando si parla di violenza di genere, tutti devono sapere di cosa stiamo parlando. Così come ognuno di noi può contribuire alla lotta contro questo fenomeno. Quanto parliamo di questi temi, e soprattutto, come ne parliamo? Questo è essenziale: parliamo tanto di questione culturale, e ogni tanto ci dimentichiamo che alla cultura del luogo in cui viviamo siamo noi a contribuire, e in prima persona”.

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