Se sdoganiamo l’antisemitismo, sdoganiamo l’uso politico della violenza
Un post su Noise from Amerika propone un interessante dibattito tra due autori sui ‘doppi standard’ in termini di libertà di espressione assegnati alla satira antisemita e a quella sull’Islam, o sul Cristianesimo. Il primo sostiene che vi sia appunto un doppio standard, testimoniato da episodi di censura nei confronti della satira antisemita di matrice islamica (l’autore parla della Francia), che rappresentano una forma di discriminazione nei confronti degli islamici e degli arabi, e contravvengono al principio universale della libertà di espressione; il secondo afferma invece che sì, ogni forma di censura è sbagliata (quindi anche quella sull’antisemitismo), ma che l’antisemitismo è un problema sociale concreto.
Il primo intervento – a cui per mia opinione, il secondo non risponde efficacemente – offre lo spunto a qualche considerazione. Se non altro una, piuttosto semplice, perfino ovvia, che parte dalla definizione di ‘satira antisemita’. Leggiamo bene, letteralmente queste parole: l’aggettivo accanto a “satira”, è appunto “antisemita”, derivato dal nome “antisemitismo”. Non è “satira sugli ebrei“, o “su Jahvé“, o “sui rabbini“, c’è scritto proprio così: ‘antisemita’.
E’ forse utile ricordare che l’antisemitismo non è semplicemente o solo un’opinione, ma qualcosa di molto simile a un programma politico ben preciso, con una sua storia, con i suoi teorici, leader carismatici passati e presenti, e esecutori materiali. Un programma che ha come obiettivo dichiarato l’emarginazione degli ebrei dalla società, la loro umiliazione fisica e psicologica e la loro eliminazione. Nella sua ultima versione, ha trovato un terreno assai fertile nella cultura islamista, specie quella delle periferie europee. Dunque, se prendiamo alla lettera le parole ‘satira antisemita’, esse significano nientemeno che: utilizzo di mezzi scherzosi per perseguire obiettivi politici come l’emarginazione e l’umiliazione violenta degli ebrei.
Esiste una satira ebraica sugli ebrei, che scherza su dogmi e aspetti di quella cultura, così come altre forme di presa in giro hanno come bersagli il Cattolicesimo o l’Islam, i loro costumi e le loro gerarchie clericali. Queste forme di scherzo, pur se talvolta molto offensive, non implicano obiettivi di eliminazione di queste religioni e di chi le pratica. La satira ‘antisemita’ invece sì: è caratterizzata, per definizione, dal messaggio sull’uso legittimo e auspicabile della violenza nei confronti degli ebrei.
La discussione sulla libertà di espressione suscitata dall’attentato a Charlie Hebdo ha assunto valenze talvolta surreali. Quell’episodio non ha messo in luce un problema di mancanza di libertà di espressione – che in Francia e in Occidente è ben garantita dalle istituzioni e dalla legge – ma ha evidenziato una questione grave: l’emergere, nelle società europee, di gruppi culturali che ritengono la violenza e l’uccisione di persone strumenti politici leciti per affermare i loro valori. Gruppi che forse, un giorno, riscuoteranno consenso e otterranno legittimamente potere. Mettere in galera chi usa battute e vignette per fare loro marketing politico contraddice il principio della libertà d’espressione, ma è forse utile aver chiaro che se “sdoganiamo il tabù dell’antisemitismo”, allora sdoganiamo l’uso politico della violenza, di qualunque segno culturale o ideologico – magari contro i gay, le donne, gli islamici – con relative ‘satire’.
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