Deja vu all’italiana: da Pinelli a Charlie Hebdo
Dai tempi di Piazza Fontana, quando in Italia succede una tragedia la priorita’ e’ una sola: trovare il capro espiatorio per evitare di cercare i […]
Nessun conflitto – soprattutto se etico – dovrebbe essere risolto da una delle parti in causa a colpi di kalashnikov; questo è scontato quanto doveroso dirlo, visto il terrificante attentato all’urlo “Allah Akbar” appena avvenuto a Parigi contro la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, che aveva più volte raffigurato e dissacrato violentemente Maometto. E però quanto avvenuto oggi ci riporta inevitabilmente a parlare di un conflitto tra due diritti, come già si era fatto ai tempi delle vignette su Jyllands-Posten e ai tempi del duecentesimo episodio di South Park.
I due diritti in questione sono, ovviamente, quello dei musulmani a non volere che venga raffigurato Maometto (è un diritto, non ci piove) e quello dei non-musulmani (o dei musulmani che la pensano diversamente) a esigere che la libertà d’espressione, che è il punto cardine del nostro modello sociale laico, non si debba fermare davanti a nulla.
C’è un diritto che può prevalere sugli altri? Chiariamoci, la libertà d’espressione sopra ogni altra cosa è un diritto tipicamente occidentale, e come tale va difeso, senza pretendere che venga accettato anche da chi non è parte della nostra cultura. Allo stesso tempo, il fatto che la raffigurazione di Maometto (tanto più se a scopo satirico) venga vissuta come un’offesa gravissima se non una provocazione pura e semplice andrebbe ugualmente capito e discusso (e sarebbe più facile farlo se non ci fossero attentati come quello di oggi, che porterà a una nuova escalation di tensione). La richiesta che arriva da alcuni settori islamici è semplice e chiara: “Mi offende vedere raffigurato Maometto, quindi pretendo che voi non lo facciate”. Dall’altra parte, però, se sono le hadith a vietare la raffigurazione di Maometto, queste dovrebbero valere solo per chi è musulmano e non si dovrebbe pensare di poter estendere il divieto a tutti, prevaricando il nostro diritto di pensare e agire diversamente.
Il punto è uno: la libertà d’espressione è un diritto della nostra cultura, laica ma con innegabili radici giudaico-cristiane; il divieto alla raffigurazione di Maometto è un dovere di ogni musulmano, che diventa il diritto di chiedere che Maometto non venga raffigurato anche dai non musulmani. Il cortocircuito è inevitabile nel momento in cui due culture diverse si trovano a convivere – per via della globalizzazione e dell’immigrazione – senza che prima ci sia stato un chiarimento profondo e totale sui punti di conflitto.
Un chiarimento che potrebbe suonare così: quando si vive in un paese si rispettano i valori di quel paese, anche se non li si condivide. E quindi un immigrato musulmano che vive in Francia deve accettare che Maometto in quel paese venga raffigurato, che gli piaccia o meno (e per questo, davvero, l’attentato di oggi è un attentato al cuore dell’Europa); allo stesso modo una occidentale che si reca in visita in Arabia Saudita dovrebbe accettare di indossare il velo, anche se lo vive come una costrizione (la pratica, facilmente osservabile a Istanbul, di togliersi il velo indossato all’ingresso di una moschea non appena messo piede dentro è sicuramente incivile).
Da occidentale, laico, amante della satira anche più violenta, non posso che ritenere la libertà d’espressione più importante dei valori religiosi. Ma questi sono i miei ideali, non posso pretendere che altri li condividano. Quello che posso pretendere è che tutti coloro che vivono in una società rispettino gli ideali di questa. I musulmani conservatori che vivono in Europa dovrebbero una volta per tutte mettersi l’animo in pace: la nostra è una società laica. Una lezione che anche noi occidentali di radici cristiane a volte fatichiamo a imparare – come viene dimostrato ogni volta che un settore conservatore radicale insorge contro qualche film, serie tv, libro, ecc – ma che mai si trasforma nell’orrore cui abbiamo assistito oggi.
Ancora non si sa con precisione chi fossero gli attentatori, secondo la testimonianza di uno dei vignettisti di Charlie Hebdo, però, “parlavano perfettamente francese”. Il che fa pensare (ma non è detto, data la diffusione della lingua francese nel mondo arabo) a terroristi appartenenti alla seconda o terza generazione di immigrati, che come abbiamo imparato in questi anni è più arrabbiata della prima.
La questione del conflitto tra i due diritti, però, non può purtroppo concludersi con la tolleranza delle leggi altrui. Perché per arrivare a un punto di accordo del genere bisognerebbe, entrambi, rispettare le diverse posizioni e accettare che nessuna sia per forza di cose vere. Un accordo che diventa pressoché impossibile quando di mezzo c’è la religione e il modo in cui i fanatici la vivono, che con una visione anche solo moderatamente relativistica del mondo non va per niente d’accordo.
E questo, ovviamente, non vale solo per gli estremisti islamici, ma anche per gli estremisti dell’ultradestra cristiana che strillano per ogni episodio dei Griffin che deride Gesù, così come parte del mondo musulmano aveva protestato per l’episodio di South Park in cui era apparso Maometto. Estremisti cristiani che, per fare solo un esempio, non potevano tollerare negli Stati Uniti un presidente che facesse “Obama” di cognome, fino ad arrivare a decretarne la sua essenza di anti-Cristo; senza dimenticare il caso dell’ultracristiano Anders Breivik.
È davvero difficile tirare le somme di un discorso in cui diritti, valori e religione si intrecciano in modo così inestricabile. E rattrista ancor più sapere che dopo un episodio del genere tornerà a salire – come se mai fosse diminuita – la islamofobia. L’atteggiamento, per mille ragioni, che più di ogni altro garantisce che le cose non cambino.
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