Italia, da giardino a spiaggia dell’impero
Sono trascorsi sette secoli dai tempi in cui Dante definiva l’Italia il «giardin de lo ’mperio» nel sesto canto del Purgatorio, lo stesso che contiene la celeberrima invettiva in forma di terzina: Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello! Giardino dell’impero e bordello si addicono perfettamente alla piega che sta prendendo il contenzioso tra il nostro Paese e l’Unione europea riguardo al rinnovo delle concessioni demaniali per la gestione degli stabilimenti balneari italiani. Lo scorso 14 luglio la Corte di Giustizia europea ha espresso parere avverso alle proroghe automatiche delle concessioni, perché contrarie ai principi di non discriminazione e tutela della concorrenza previsti dalla Direttiva Bolkestein in base alla quale «il rilascio di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacustre deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i potenziali candidati, che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza». Mentre la Corte si pronunciava, era in discussione alla Camera il decreto legge sugli Enti locali, contenente fra l’altro un prolungamento delle concessioni fino al 2020, decreto che ha avuto l’ok definitivo del Senato tre giorni fa. Vedremo chi l’avrà vinta e se andrà a finire in un nulla di fatto come a suo tempo la minaccia, rivelatosi poi infondata, dell’invasione di “idraulici polacchi” che la stessa Bolkestein avrebbe contribuito a favorire.
Ma il déjà-vu storico rimane. Il fatto che l’Italia fosse considerata nel medioevo il giardino dell’impero ne sanciva sì la bellezza, ma anche la dimensione periferica e la marginalità politica. Quasi fosse un luogo ameno, adatto alla villeggiatura e all’ozio, e null’altro. E visto che allora il Sacro Romano Impero vedeva la supremazia delle dinastie di sangue tedesco, subentrate a quelle francofone, non è azzardato rintracciarvi delle somiglianze con gli attuali assetti preponderanti nella Ue. La diarchia franco-tedesca, spiace dirlo, è quella che oggi stabilisce le linee guida nel Vecchio continente. Gli strepiti dei gestori nostrani di stabilimenti balneari, che lamentano di aver investito anni e soldi nelle proprie attività d’impresa e che adesso temono di essere penalizzati da una concorrenza che dispone di capitali superiori ai loro, non commuovono il cuore politico dell’Europa. Del resto, un’economia globalizzata come potrebbe tollerare delle eccezioni?
A nulla serve neppure la lettura dei dati, appena pubblicati, del check up Mezzogiorno di Confindustria e Centro studi Srm che mostrano segnali positivi di ripresa grazie, soprattutto, all’incremento della presenza e della spesa turistica nelle regioni del sud. Certo, gli stabilimenti balneari rappresentano solo una voce della filiera, ma una voce importante. Secondo il dossier “Spiaggiopoli 2016” in tutto lo Stivale sono dodicimila lungo 1.050 chilometri di costa. Il documento dei Verdi non è tenero nei confronti degli imprenditori di casa nostra, colpevoli a suo dire della cementificazione selvaggia che ha deturpato il litorale e di un trattamento di favore che porta nelle casse dello Stato la cifra ridicola di 101 milioni di euro a fronte di un fatturato annuo pari a 10 miliardi.
Il Governo si è impegnato a varare quanto prima una legge quadro in materia, che dovrebbe servire a sanare le situazioni irregolari e tracciare delle regole chiare dentro e fuori i confini nazionali, superando così la recente soluzione tampone del decreto sugli Enti locali. Gli operatori del settore si aspettano però, sebbene non parlino apertamente di protezionismo, che la futura normativa contempli dei criteri premianti per chi può vantare esperienza sul campo, conoscenza del territorio e dimestichezza con il tipo di turismo caratteristico del luogo. Si aspettano, cioè, un occhio di riguardo per la loro italianità. Un parametro che il pronunciamento della Corte europea non ha ritenuto di dover fare proprio. La partita si giocherà sul filo dell’identificazione o meno dei “lidi” come soggetti economici tipici del Belpaese, alla stregua delle strade del vino o dei cammini sacri. In assenza di questo riconoscimento, continuerà ad aleggiare un fantasma per l’Italia, quello del lido teutonico, in cui i turisti tedeschi si sentiranno a casa, perché i gestori saranno loro connazionali.
(Le due immagini sono di Carmelo Battiato)
@citizengreco
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