Caso Amri. Una proposta pragmatica per alcuni problemi della nostra sicurezza
Si è scoperto che nei giorni seguenti al tragico attentato a Berlino, avvenuto il 19 Dicembre 2016, l’attentatore Anis Amri ha compiuto indisturbato diversi spostamenti in autobus e in treno attraversando ben 4 paesi: Germania, Olanda, Francia e Italia.
Come è noto grazie agli accordi di Schengen è possibile spostarsi tra i paesi dell’area Schengen senza controllo dei documenti alle frontiere e all’interno dei singoli paesi.
L’intento principale di Schengen è quello di facilitare gli spostamenti dei cittadini europei, rendendoli più rapidi grazie alla riduzione di controlli e di burocrazia annessa. Nel realizzare il primo intento, un secondo è quello di armonizzare le norme dei paesi europei in materia di immigrazione.
Alla luce del caso del terrorista, ucciso per legittima difesa da un agente di polizia presso la stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni dopo un controllo casuale dovuto al consueto presidio del territorio delle forze dell’ordine, c’è da augurarsi alcune modifiche ad alcune norme nazionali e internazionali. Sembra surreale infatti che dopo aver subito più attentati terroristici nel corso dell’ultimo anno e oltre, un attentatore ricercato dalle polizie europee abbia potuto viaggiare su più mezzi di trasporto pubblici, attraversando più paesi europei, senza che gli fosse chiesto un documento di riconoscimento.
Per eliminare questa possibilità basterebbe rendere obbligatorio l’uso della carta d’identità nell’acquisto di biglietti di viaggio, sia in treno che in autobus, così come avviene per i viaggi in aereo. La procedura dovrebbe essere semplificata mediante l’uso della carta d’identità elettronica, in modo da permettere l’acquisto da distributori automatici.
Questa pratica non consisterebbe nel rivedere gli accordi di Schengen perché non implica alcun controllo alle frontiere. Si tratterebbe solo di incrementare il controllo sui mezzi di trasporto pubblici, già contemplato dall’articolo 21 (b) del Codice frontiere Schengen. Semplicemente si dovrebbe viaggiare avendo con sé il documento d’identità. D’altronde, non si capisce il contrario. Se il documento di riconoscimento, stando proprio all’articolo 45 degli Accordi di Schengen, deve essere richiesto da tutte le strutture ricettive – quindi sia quelle che in Italia sono definite come “alberghiere” (hotels, bed and breakfast, ecc.), sia quelle “extra-alberghiere” (ostelli, camere in affitto, ecc.) e finanche quelle “all’aperto” (campeggi, barche in affitto, ecc.) – perché non far valere la stessa norma sui mezzi di trasporto pubblici (a maggior ragione a causa di altri recenti attentati minori compiuti proprio su dei treni e proprio in Germania?
Dunque, al contrario di ciò che afferma la propaganda anti-europeista, efficaci miglioramenti legislativi sono possibili senza mettere in discussione Schengen.
Secondo chi scrive ulteriori auspicabili miglioramenti legislativi dovrebbero andare proprio nella direzione della realizzazione del secondo principio di Schengen, finora probabilmente mancato. Ovvero quello dell’omogeneizzazione delle policies in materia di immigrazione e sicurezza. Ad esempio al momento ogni paese europeo ha una propria legislazione sui documenti d’identità che in vari casi si differenzia non poco da paese a paese. Mentre ci sono paesi, come la Danimarca, che non prevedono nemmeno l’uso della carta d’identità, ce ne sono altri, come il Belgio, in cui è obbligatorio portare con sé la carta d’identità in ogni circostanza. Italia, Germania, Francia e Olanda hanno leggi abbastanza simili tra di loro in materia. Tuttavia se ci fosse una carta d’identità unica europea si faciliterebbero anche molte pratiche di routine svolte sia dalle forze dell’ordine pubbliche, sia dagli agenti di sicurezza privati (ad esempio nell’ingresso di luoghi privati di intrattenimento).
A ogni modo ci sono altri aspetti che gettano dei seri dubbi sull’efficacia dell’attuale assetto di controllo dell’immigrazione e della relativa sicurezza. Il fatto che l’attentatore abbia viaggiato in due paesi, Germania e Francia, in cui sono stati reintrodotti i controlli alle frontiere dopo i tragici attentati terroristici degli ultimi mesi – come previsto dall’articolo 29 del Codice frontiere Schengen. A essere precisi l’interrogativo riguarda la Francia perché la Germania ha ripristinato i controlli solo sul confine austriaco.
Quest’ulteriore fatto dimostra che non è Schengen il problema, visto che sui confini francesi le norme di Schengen al momento non valgono. Per questo le dichiarazioni di Matteo Salvini e Nigel Farage denotano un’ignoranza sulla legislazione e sulla situazione attuale oppure sono propagandistiche. Forse si potrebbe muovere un altro tipo di critica a Schengen. Si potrebbe pensare che, siccome i controlli alle frontiere si sono affievoliti, quando vengono ripristinati per dei periodi indefiniti, come in questi ultimi mesi, sono meno efficaci che in passato. Tuttavia questa è solo un’ipotesi speculativa dell’autore e che è contraddetta da un altro fatto. Ovvero quello per cui in realtà i controlli dei confini non sono mai stati aboliti in tutti i paesi che pur fanno parte dell’area Schengen perché l’articolo 21 (titolo III) del Codice frontiere Schengen prevede che, a discrezione di ogni paese, è possibile compiere controlli sugli stranieri con posti di blocco di polizia all’interno del singolo paese, anche a poca distanza dalle frontiere – come, ad esempio, avviene in Polonia vicino ai confini con la Lituania (conoscenza diretta dovuta a numerose esperienze personali). Quest’ultimo principio vale in situazioni di ordinaria amministrazione, non nelle emergenze.
Comunque, al di là delle polemiche politiche, che poco interessano chi scrive, resta certamente la questione che ci sono dei problemi di sicurezza e non solo che vanno risolti. Non è certo ammissibile che il responsabile di un grave atto terroristico possa arrivare a Sesto San Giovanni da Berlino viaggiando per giorni su mezzi pubblici come è avvenuto.
Intanto si potrebbe accelerare il passaggio dalla carta d’identità cartacea a quella elettronica rendendo obbligatoria la pratica. Sebbene il decreto interministeriale del 23 dicembre 2015 definisce la carta d’identità elettronica [CIE] come documento sostitutivo della carta d’identità cartacea, i tempi affinché tutti i comuni siano disposti dei mezzi necessari per produrre i nuovi documenti d’identità sono relativamente lunghi. Inoltre, anche se i comuni che saranno provvisti dei mezzi necessari per produrre le CIE cesseranno l’emissione del documento cartaceo, i possessori di documenti d’identità cartacei di lunga scadenza non avranno motivo di effettuare il cambio, dal momento che è previsto un costo per il cittadino, pur se ridotto. Quindi, senza ulteriori provvedimenti legislativi, occorrerà attendere ancora diversi anni affinché ogni cittadino sia provvisto del nuovo documento d’identità. Per ora il numero delle carte attivate è davvero esiguo (guardare in alto a destra).
Come accennato precedentemente, in termini di sicurezza, l’utilità di una tessera di identificazione elettronica è indubbia. Per prima cosa rispetto ai documenti cartacei è più difficile da contraffare. In tempi di gestione di imponenti flussi migratori non si tratta di un vantaggio trascurabile. Ad esempio, tornando proprio al caso di Anis Amri, è stato scoperto che il terrorista ha fatto uso di più documenti d’identità falsi, uno o più dei quali mostrato/i alle forze dell’ordine tedesche nei mesi precedenti all’attentato, senza essere fermato.
Il microprocessore presente sulla carta serve a facilitare la verifica dell’identità da parte delle forze dell’ordine e consente l’erogazione di servizi – come, potenzialmente, quello dell’acquisto di biglietti di viaggio, se fosse realizzato in futuro il suggerimento dell’autore di questo articolo. Con l’introduzione di informazioni biometriche, come le impronte digitali, non sarà più possibile ingannare le forze dell’ordine con documenti falsi. Ovviamente anche passaporto e permesso di soggiorno dovranno essere erogati in formato elettronico con le stesse caratteristiche della CIE.
Nelle righe precedenti si è anche fatto riferimento all’importanza di uniformare le policies almeno per ciò che concerne i controlli, per renderli più semplici. Per questo è stata avanzata dall’autore la proposta di un documento d’identità elettronico in formato europeo. Dopo una breve ricerca sull’argomento è emerso che ci sono altri cittadini europei che hanno lanciato la stessa proposta. Perché non unirsi?
L’obiezione che può essere mossa contro questa proposta è che in tempi in cui il futuro dell’Europa è incerto in quanto messo in discussione (vedi Brexit e riemergere dei nazionalismi) si tratterebbe di una soluzione in controtendenza con il clima culturale del momento. Anche su questo punto bisognerebbe essere pragmatici, evitando di ragionare in modo ideologico e, peggio ancora, con fini propagandistici. Resta infatti il fatto che, a prescindere dal futuro dell’Europa, moltissimi cittadini di alcuni paesi europei vivono in altri paesi europei e ancora più cittadini europei di ogni paese europeo si spostano spessissimo per viaggio e per lavoro. Questo trend non dovrebbe essere destinato a mutare radicalmente in futuro e c’è anche da augurarselo. Da questo punto di vista, un documento d’identità europeo elettronico sarebbe la soluzione ideale a prescindere dal tipo di Unione Europea (se politica, economica e monetaria, solo politico-economica o altro ancora).
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