Le leggi sull’aborto nell’Europa Cattolica
Il tema dell’ obiezione di coscienza in Italia è tornato nuovamente alla ribalta pochi giorni fa; al seguito della vicenda, ancora del tutto da chiarire, della donna morta di parto a Catania. La donna, Valentina Milluzzo, 32enne catanese è deceduta il 16 ottobre dopo aver abortito spontaneamente due gemellini, al quinto mese di gravidanza.
Questo drammatico caso, riapre nuovamente il dibattito circa l’efficacia della legge sull’aborto in Italia e in Europa, e di conseguenza divide l’opinione pubblica.
Come è noto, la questione dell’ aborto è assai complicata, in quanto è strettamente legata a giudizi di naturala morale e religiosa. Tuttavia, nel contesto di un’ Europa democratica e laica le leggi sull’interruzione di gravidanza non sempre riescono a tutelare o garantire la libertà di scelta personale delle donne ma, addirittura, in alcuni casi, le suddette leggi appaiono arretrate, inadeguate e fortemente ancorate ad una matrice religiosa.
Mettendo per un attimo da parte le difficoltà nostrane, legate al diritto dei ginecologi di poter esercitare l’obiezione di coscienza, è interessante dare uno sguardo ai nostri “vicini” Europei e le loro legislazioni a riguardo.
Le situazioni più complesse si riscontrano nei paesi Europei di forte stampo e tradizione Cattolica. Verrebbe da dire, ma che (amara) coincidenza, no?
Nella civile Irlanda, ad esempio, non molti sanno che la legge sull’aborto è talmente restrittiva da poter considerarsi una quasi non-legge. Nella verde repubblica d’Irlanda, infatti, le donne che liberamente decidono di interrompere una gravidanza sono costrette a volare nel vicino Regno Unito, in quanto in Irlanda l’aborto è proibito, tranne nei casi dove l’intervento è necessario a salvare la vita della donna. Chiunque decida di abortire per altre ragioni può rischiare fino a 14 anni di carcere, poiché va contro l’ottavo emendamento della costituzione Irlandese, che pone il veto sull’aborto. L’ emendamento in questione che rende incostituzionale la pratica dell’aborto recita: “Lo Stato riconosce il diritto alla vita del nascituro e, nel rispetto della parità di diritto alla vita della madre, garantisce nelle sue leggi di rispettare, e, per quanto possibile, dalle sue leggi di difendere e rivendicare tale diritto.”
Simile sorte accade nell’ Irlanda dell’Nord. L’Irlanda del Nord, pur essendo regolata dal Regno Unito, dove il parlamento legalizzò l’aborto nel 1967, l’Abortion Act non è mai stato applicato a Belfast. La legge in vigore è molto simile al resto dell’ Irlanda; l’aborto, infatti, è legale solamente in circostanze particolari, quali rischio di morte della donna o danni fisici irreversibili. Al di fuori di queste motivazioni, si rischia persino l’ergastolo, anche se la gravidanza è frutto di una violenza sessuale o se il feto ha deformità gravi.
Il quotidiano britannico The Guardian ha più volte pubblicato numerose storie strazianti di donne costrette a intraprendere viaggi costosi, rischiosi e traumatici. Secondo il Ministero della Salute britannico, negli ultimi cinque anni circa 25mila donne hanno viaggiato verso Inghilterra e Galles per praticare un aborto, ben 60mila dal 1970 secondo la stima di Amnesty International riportata sempre dal The Guardian.
Nelle due Irlande divise, ma unite in questa lotta ad una “legge-scempio”, sembra che le cose stanno lentamente cambiando, anche se troppo lentamente. Recentemente, la Corte Suprema di Belfast ha dichiarato la legge sull’aborto una violazione dei diritti umani, chiedendo di estendere al diritto anche ai casi di stupro e serie malformazioni del feto. Piccoli passi, ancora lontanissimi per ottenere il pieno diritto delle donne Irlandesi di poter liberamente scegliere su questo tema.
Spostandoci, nell’ Europa continentale, le cose non sono affatto migliori.
In Polonia, ad esempio, nazione di fortissima tradizione cattolica, anche qui la legislazione sull’aborto è molto discutibile e restrittiva. L’attuale legge prevede la possibilità di interrompere la gravidanza strettamente nei 3 casi di: rischio della vita della donna, gravi malformazioni del feto ed infine se la gravidanza è il risultato di atti criminali come l’incesto e lo stupro.
Nel 2015 però, un’iniziativa popolare, mette a rischio questa legge così precaria ed incompleta, tramite la proposta della totale abolizione dell’ aborto nel paese. Tale proposta è stata poi sostenuta anche dal governo e dal partito conservatore in carica, che vede come primo ministro proprio una donna Beata Szydło.
Nell’ Aprile 2016 sono cominciate le prime discussione e approvazioni nel Parlamento Polacco nella direzione di poter rendere la pratica dell’aborto illegale. Il 22 Settembre il Parlamento approva la cancellazione di due dei casi previsti per poter terminare la gravidanza, mantenendo esclusivamente la legalità dell’ aborto nel caso di pericolo della vita della donna. L’obiettivo finale di questa proposta mira ad ottenere appunto la completa illegalità dell’ aborto come nei casi Europei di Malta e Stato Vaticano.
Il 3 Ottobre 2016, chiamato dalla stampa Black Monday protests, centinaia e centinaia di persone, circa 30 mila, specialmente donne polacche, hanno protestato in Polonia e nelle ambasciate Polacche di Londra e Parigi contro la proposta di legge. La grande protesta è riuscita in qualche modo a “smuovere” il Parlamento che ora cerca di spingere il governo ad un retro-front della proposta.
I casi di cui abbiamo parlato, sono a dir poco allucinanti, specialmente se considerati ed inserito nel contesto Europeo.
Le leggi sull’aborto nella Republica d’Irlanda, Irlanda del Nord e Polonia devono essere condannate con forza dall’Unione Europea in quanto ledono profondamente i diritti e la dignità delle donne.
In Italia, il problema rimane ma è ben diverso. Non si tratta di legislazione ma di garantire l’efficiente applicazione della legge.
Dati recenti del 2016, ci dicono che 7 su 10 ginecologi che operano all’interno della sanità pubblica non si prestano a compiere un intervento di terminazione di gravidanza utilizzando, in loro pieno diritto, l’obiezione di coscienza. Questo è un numero non solo altissimo, grave e inaccettabile, ma è soprattutto indice di una forte incapacità dello stato di garantire i diritti posti dalla legge.
Per concludere, tornando alla triste storia di cronaca di Valentina Milazzo a Catania, proprio in Sicilia troviamo il record di ginecologi obiettori nel 2006 erano l’ 84.2% nel 2013 arrivano addirittura all’ 87.6%.
Queste sono battaglie civili fondamentali che l’ Unione Europea dovrebbe affrontare insieme, ma ancora una volta invece, L’europa si presenta divisa e incapace.
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