UE

Il passaporto vaccinale rischia di nascere già morto

17 Marzo 2021

Il passaporto vaccinale proposto il 17 marzo dalla Commissione europea potrebbe non vedere mai la luce oppure, potrebbe semplicemente essere introdotto quando non servirà più. Se la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni quella intrapresa da Bruxelles per garantire uno dei pilastri dell’Unione, la libera circolazione delle persone e contemporaneamente ridare speranza ed economie al settore del turismo, in particolare dei paesi mediterranei, è zeppa di ostacoli. Proposto a metà gennaio dal primo ministro greco ha superato l’iniziale scetticismo dell’asse franco-tedesco anche grazie alla spinta di gruppi di pressione tra cui compagnie aeree, l’associazione degli aeroporti, le principali aziende ferroviarie europee, agenzie turistiche, tour operator e naturalmente i relativi sindacati dei lavoratori. Superata la prima impasse politica, ecco che si affacciano i problemi tecnici. Possiamo sintetizzarla così: la proposta legislativa della Commissione è un regolamento, quindi deve essere discusso e approvato dalle commissioni e dalla plenaria del Parlamento; il Consiglio europeo farà la sua proposta in vista del cosiddetto ‘trilogo’, il tavolo negoziale tra le tre istituzioni per raggiungere un testo di compromesso che soddisfi Commissione, Parlamento e Consiglio. Bisognerebbe che partiti e capi di governo dei paesi membri rinunciassero a tatticismi e posizioni opportunistiche intese a soddisfare i rispettivi elettorati ed opinioni pubbliche nazionali.

«Sarebbe un miracolo», afferma perplesso Matteo Mussini, lobbista, fondatore di Must&Partners e direttore degli affari europei del Rail Working Group. «Ammesso che facciano veloci, non se ne parla prima di giugno – sarebbe già un successo enorme – e comunque restano da risolvere due questioni tecniche di primario rilievo: l’interoperabilità e la privacy». Problemi peraltro ben chiari alla Commissione che infatti nel comunicato odierno sollecita una pronta approvazione del provvedimento da parte del Parlamento e del Consiglio perché il passaporto ‘sia pronto prima dell’estate’ e sollecita i governi dei paesi membri a lavorare in parallelo con l’avanzamento della proposta legislativa per ‘l’attuazione delle norme tecniche’ e ‘garantire la loro interoperabilità e la piena conformità alle norme in materia di protezione dei dati personali’.

COS’È IL PASSAPORTO VACCINALE

Tecnicamente si chiama certificato verde digitale (Digital Green Certificate) e ha lo scopo di ‘agevolare e rendere sicura la libera circolazione all’interno dell’UE durante la pandemia di COVID-19. Il certificato verde digitale sarà una prova del fatto che una persona è stata vaccinata contro la COVID-19, è risultata negativa al test o è guarita dalla COVID-19’. Il certificato sarà disponibile, gratuitamente, in formato digitale o cartaceo, e comporterà un codice QR che ne garantirà la sicurezza e l’autenticità. La Commissione predisporrà un gateway per garantire che tutti i certificati possano essere verificati in tutta l’UE e aiuterà gli Stati membri nell’attuazione tecnica dei certificati’.
Le principali caratteristiche del passaporto digitale, così come ideato dalla commissione, sono l’accessibilità a tutti i cittadini dell’Unione e ai cittadini stranieri che vi risiedono, la non discriminazione tra chi è vaccinato e chi non lo è e infine la garanzia che solo i dati essenziali allo scopo saranno inclusi.

Nel dettaglio:

Certificati accessibili e sicuri per tutti i cittadini dell’UE
Faranno parte del certificato verde digitale tre tipi di certificati – i certificati di vaccinazione, i certificati dei test (test NAAT/RT-PCR o test antigenico rapido), e i certificati per le persone guarite dal COVID-19. I certificati saranno rilasciati in forma digitale o su carta. Entrambi comporteranno un codice QR contenente le informazioni fondamentali necessarie come pure una firma digitale che ne garantisca l’autenticità.
La Commissione predisporrà una piattaforma e aiuterà gli stati membri a sviluppare un software che le autorità potranno usare per verificare tutte le firme dei certificati in tutta l’UE. Nessun dato personale dei titolari dei certificati passa attraverso il gateway né è conservato dallo Stato membro che effettua la verifica. I certificati saranno disponibili gratuitamente e saranno redatti nella o nelle lingue ufficiali dello stato membro di rilascio e in inglese.
Non discriminazione
Tutte le persone – vaccinate e non vaccinate – dovrebbero beneficiare di un certificato verde digitale quando viaggiano nell’UE. Per evitare discriminazioni nei confronti delle persone che non sono vaccinate, la Commissione propone di creare non solo un certificato di vaccinazione interoperabile, ma anche dei certificati relativi ai test per la COVID-19 e dei certificati per le persone che sono guarite dalla COVID-19.
Stessi diritti per i passeggeri titolari del certificato verde digitale. Gli stati membri che accettano la prova della vaccinazione ai fini dell’esenzione da alcune restrizioni sanitarie come i test o la quarantena sarebbero tenuti ad accettare, alle stesse condizioni, i certificati di vaccinazione rilasciati nel quadro del sistema del certificato verde digitale. Quest’obbligo sarebbe limitato ai vaccini che hanno ricevuto un’autorizzazione all’immissione in commercio su scala dell’UE. Gli Stati membri possono comunque decidere di accettare anche altri vaccini. Se uno Stato membro continua a imporre la quarantena o i test ai titolari di un certificato verde digitale, deve notificarlo alla Commissione e a tutti gli altri Stati membri e deve giustificare la decisione.
Solo informazioni essenziali e dati personali sicuri
I certificati includeranno una serie di informazioni limitate, come nome, data di nascita, data di rilascio, informazioni rilevanti riguardanti il vaccino/i test/la guarigione, e un identificativo univoco del certificato. Questi dati possono essere controllati solo per confermare e verificare l’autenticità e la validità dei certificati.

Il certificato verde digitale sarà valido in tutti gli Stati membri e sarà aperto all’Islanda, al Liechtenstein, alla Norvegia come pure alla Svizzera. Dovrebbe essere rilasciato ai cittadini dell’UE e ai loro familiari, indipendentemente dalla loro nazionalità. Dovrebbe essere rilasciato anche ai cittadini non dell’UE che risiedono nell’Unione e ai visitatori che hanno il diritto di recarsi in altri Stati membri.

UNA SERIE DI PROBLEMI

Cos’è che non va nella nota della Commissione? Oltre ai rilievi elencati in apertura, l’esteso utilizzo del condizionale offre indizi su come potrebbe andare a finire: con applicazioni disomogenee, parziali o incomplete del regolamento per questioni politiche o tecniche. La libertà di movimento è uno dei diritti fondamentali garantiti ai cittadini dell’Unione, ma ha subito fortissime restrizioni nell’anno appena trascorso perché i governi nazionali hanno chiuso a più riprese le frontiere e applicato controlli anche per rispondere alle paure ingenerate dalla pandemia. Lo hanno fatto in modo autonomo e disarticolato. Ne sanno qualcosa le centinaia di viaggiatori italiani rimasti a terra dopo le vacanze di Natale o costretti a inutili quarantene perché non avevano i risultati dei test antigenici tradotti in fiammingo, tedesco o inglese. Come ha sottolineato politico.eu nel suo quotidiano Playbook, in questi dodici mesi i paesi membri hanno preso le raccomandazioni europee sul fronte del diritto di circolazione come buoni consigli e poco più. L’iniziativa della Commissione sul passaporto vaccinale sembra quindi tesa a riprendere le redini politiche e ridurre lo sfilacciamento dei 27 sulle frontiere. Non a caso ha proposto un regolamento invece di una comunicazione o di una raccomandazione, ricordando che ‘la base giuridica è la legge fondamentale dell’UE’ e l’obiettivo ‘è garantire il diritto alla libera circolazione’. Il tentativo è dunque di limitare la discrezionalità degli stati.

Sotto questa luce, e vista la scelta della procedura legislativa ordinaria (proposta della Commissione, discussione in Parlamento, discussione in Consiglio ed eventuale trilogo), non sono da escludere inciampi in sede di Consiglio, come sottolineano alcune fonti interne alla Commissione e al Parlamento. Fermo restando che a memoria nessuno ricorda l’approvazione di un regolamento in meno di tre mesi.

Sotto il profilo tecnico ci sono poi una serie di domande aperte, tre su tutte. Non esiste al momento un registro europeo delle persone che hanno avuto il Covid, come non esiste un registro europeo delle persone risultate negative ai test o che ne dimostri la cronologia. Quindi, come sarà possibile includere milioni di persone già vaccinate quando la piattaforma sarà pronta? Se alcuni paesi, come sembra, autorizzeranno la vaccinazione con sieri non approvati dall’agenzia del farmaco europea mentre altri paesi membri non la autorizzeranno, come verranno trattate le persone che riceveranno lo Sputnik russo e il Sinopharm cinese? Verrà loro garantita la libertà di circolazione oppure no? Infine, la stessa Commissione afferma che il ‘sistema del certificato verde digitale è una misura temporanea. Sarà sospeso una volta che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) avrà dichiarato la fine dell’emergenza sanitaria internazionale COVID-19’. Visti i prevedibili tempi lunghi per l’approvazione, c’è il concreto rischio che il regolamento entri in vigore quando l’immunità di gregge è prossima. Senza contare la necessità di chiarire a monte cosa il certificato permette di fare alle persone, quando e soprattutto dove.

Non può mancare l’atteggiamento di chi deve dimostrare di essere più il bravo di tutti. Con 27 paesi membri e istituzioni sovranazionali ancora in embrione è forse inevitabile. Subito dopo la presentazione della proposta della Commissione, il primo ministro austriaco Sebastian Kurz ha annunciato l’introduzione del ‘Gruene Pass’ o passaporto vaccinale da metà aprile avendo risolto le questione relative alle basi giuridiche del documento. Il primo passo sarebbe quello di digitalizzare i test per il covid negativi, ha aggiunto il ministro della Sanità, Rudolf Anschober. Il certificato potrebbe essere emesso per chi è stato vaccinato, per chi risulta negativo a un test o per chi è guarito dal covid. Non una parola da parte del gabinetto austriaco sulla possibilità che il documento non venga riconosciuto dagli altri paesi e possa contribuire a prolungare o aumentare il caos degli ultimi 12 mesi.

L’euroentusiasmo con cui è stata accolta la proposta della Commissione è giustificato da parte delle associazioni di categoria legate all’industria del turismo, dei viaggi e del trasporto. Molto meno sul versante politico. Nel coro di applausi le uniche parole di cautela sono state pronunciate dalla deputata tedesca Birgit Sippel: «Il coordinamento dell’UE delle restrizioni ai viaggi nazionali Covid-19 è il benvenuto in linea di principio, soprattutto dopo il mosaico di misure che abbiamo sperimentato nell’ultimo anno. Tuttavia, resta da vedere se i certificati verdi digitali presentati oggi rappresentano la pietra miliare che speravamo. A causa dell’impatto sui diritti fondamentali e sullo spazio Schengen, una delle più grandi conquiste dell’UE, dobbiamo ancora esaminare attentamente le proposte. I certificati non devono introdurre controlli alle frontiere interne dalla porta di servizio imponendo condizioni per i valichi di frontiera nel Spazio Schengen. Non possiamo discriminare quando si tratta di libertà di circolazione. È essenziale un attento controllo sulla protezione dei dati personali, come lo stato di vaccinazione di una persona o le informazioni su precedenti infezioni da Covid-19. La Commissione vuole che i dati siano archiviati nei certificati in modo che le autorità nazionali abbiano accesso condiviso, ma abbiamo bisogno di regole chiare sul motivo per cui i dati vengono raccolti, come vengono utilizzati i dati e chi può accedervi. Infine, vogliamo vedere una clausola di scadenza nel regolamento che garantisca che i certificati siano validi solo per un periodo di tempo limitato».

L’eventualità di generare nuove discriminazioni e di creare problemi maggiori di quelli che si intendono rimuovere è tutt’altro che remota.

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