Quirinale
Senza parole, ma dalla parte di Borsellino e della vera Antimafia
Chi l’avrebbe detto che il Presidente Mattarella avrebbe espresso con il linguaggio del corpo il segnale politico più forte, in un momento complesso e controverso, rispetto al nido di vipere che è quasi da sempre la politica siciliana, schierandosi nettamente, e senza dire una parola, dalla parte di Manfredi Borsellino, dopo i quattro minuti di intervento più duri e più chiari sul rapporto mafia-politica-regione nell’aula del palazzo di giustizia di Palermo?
L’abbraccio tenace del Presidente, la responsabilità paterna con cui lo ha comunicato, la passione, imprevedibile, di quelle braccia serrate intorno alle spalle di Manfredi, hanno spezzato in un attimo la cella invisibile di solitudine che circonda da anni chi si batte veramente per la verità e la giustizia, in Sicilia e in Italia.
Hanno schierato il vertice dello Stato, inequivocabilmente, finalmente dopo il decennio-Napolitano, dalla parte di chi non sfila nelle passerelle dell’antimafia virtuale e che dell’antimafia proclamata e recitata ha fatto il brand della sua impresa politica. Dalla parte di chi ha scelto di combattere la mafia facendo tutti i giorni il proprio dovere, con coerenza, senza compromessi, senza piegarsi ad accomodamenti o anche solo a “distrazioni” rispetto all’onestà inflessibile che, a partire da noi stessi, è l’arma più forte e temuta dal malaffare e dal potere mafioso.
Manfredi Borsellino ha deciso di parlare, dopo più di vent’anni, ricordando via D’Amelio. E lo ha fatto in nome di sua sorella Lucia, ostaggio tenace e irriducibile per due anni del governo regionale siciliano; e lo ha fatto per la presenza del Presidente Mattarella, come ha chiarito all’inizio del suo discorso.
Questi due fatti non sono scollegati. Anzi. La Sanità in Sicilia è diventata negli ultimi anni uno degli affari più lucrosi, in termini di soldi e di potere, per la criminalità organizzata. La vicenda di Cuffaro, per chi non ne avesse memoria, era partita proprio da lì. Acquisti miliardari, convenzioni con strutture private concorrenti ad una sanità pubblica che paga all’esterno (e anche all’esterno della Sicilia) quello che non riesce ad assicurare ai cittadini nelle sue strutture. Assunzioni, primariati, nomine di manager per gestire tutto il “movimento” nelle ASP che sono ormai sul territorio le aziende con il maggior numero di dipendenti e di fruitori. E con il budget più ricco. Sono le nuove “opere pubbliche” su cui lucrare, come per decenni sono state l’edilizia e le infrastrutture.
Lucia Borsellino, che quel mondo conosceva bene, essendo da anni dirigente dell’Assessorato regionale Sanità, era stata chiamata ad assumere la responsabilità politica di questo settore in un governo regionale, presieduto da Crocetta, icona mediatica (fino a pochi giorni fa) dell’antimafia istituzionale, dando, sembrava, un segnale chiaro al sottobosco clientelare e mafioso che in Sicilia, finalmente, il sistema sarebbe cambiato.
Invece, la sua lettera di dimissioni lo dice chiaramente, aveva dovuto affrontare due anni di calvario tra ostacoli e tranelli, boicottaggi ed intimidazioni, minacce ed insulti, dai boss pubblici e privati di quel mondo, che avevano subito organizzato la resistenza dei loro centri di potere. Bypassando quasi sempre l’Assessore scomoda, e rivolgendosi direttamente più in alto.
Nel campo della Sanità le nomine di Crocetta hanno raggiunto livelli, quantitativi e s-qualitativi, mai raggiunti dai precedenti governi “banditi”. Nemmeno Cuffaro e Lombardo avevano mai fatto tanto. Ma i livelli della Sanità siciliana non miglioravano, i servizi ai cittadini nemmeno, gli ospedali e i presidi sul territorio cadevano stritolati da una spending-review forte con i deboli e non viceversa. E il presidente Crocetta, l’uomo della “rivoluzione” antimafia, continuava a coltivare amicizie pericolose tra i referenti più compromessi di quel mondo.
E’ questa la sua responsabilità politica più grave, al di là della risposta non data a Tutino nella telefonata intercettata; che risale a molti mesi fa. Tra sostenere con i fatti, non a parole e davanti alle telecamere, l’azione moralizzatrice della sua assessora Lucia Borsellino nella palude melmosa della sanità siciliana e continuare a frequentare certi amici fino al momento del loro prevedibile arresto, ha scelto quest’ultima strada. E questo non ha bisogno di ulteriori commenti né di accertamenti giudiziari.
La solitudine, pericolosa, di chi si espone veramente nel contrastare la mafia e l’illegalità, che ha soffocato Lucia Borsellino come, in un altro contesto, aveva circondato e soffocato suo padre, è stata spezzata in quell’aula del palazzo di giustizia di Palermo, quando il Presidente Mattarella si è alzato, da solo, dalla platea delle autorità, ed è andato ad abbracciare Manfredi Borsellino che aveva limpidamente denunciato tutto questo, concentrando nell’energia imprevedibile di quell’abbraccio un’intera requisitoria contro la mafia dell’antimafia, come la chiama qualcuno, o l’antimafia col pennacchio, come dice qualcun altro, o l’opportunismo di chi alle troppe parole antimafia non è capace di fare seguire fatti conseguenti e coerenti.
Parole Mattarella non ne ha mai spese tante, è risaputo. E anche questo equilibrio del silenzio gli viene rimproverato da qualcuno, dopo il decennio interventista del suo predecessore, loquace quanto invasivo delle competenze degli altri organi istituzionali e ben collegato a livello internazionale e non solo.Ma le parole non sono sempre lo strumento migliore per esercitare un’autorità morale, o anche una rappresentanza politica o una leadership.
Per le persone in carne e ossa, i cittadini, il popolo lavoratore, chiamiamoli come vogliamo, sono altri i segnali che arrivano direttamente al cuore, e non per edulcorarlo di retorica, ma per comunicare autenticità, onestà intellettuale, coerenza, rigore morale. E dare coraggio.Quell’abbraccio tra due generazioni di siciliani onesti, che ha stropicciato nella stretta gli abiti scuri di rappresentanza, ha comunicato una condivisione autentica, possibile, tra popolo e istituzioni, intorno a una battaglia per la verità, che è la premessa per l’affermazione della giustizia.
Un governo inutile, parolaio e inconcludente, anche se decorato con la vernice antimafia, e un parlamento regionale, non dimentichiamolo, altrettanto “flessibile” ai compromessi utili e privo di una decente capacità di elaborazione di soluzioni ai problemi siciliani, che da due anni sostiene il governo della “rivoluzione” e su questo galleggia, non potevano ricevere un benservito più limpido, implacabile quanto non violento. Con quell’abbraccio di due uomini dello Stato, che ancora questo Stato possono rendere credibile.
Devi fare login per commentare
Accedi