Quirinale

Il Quirinale senza emozioni è solo roba vostra

30 Gennaio 2015

La probabile elezione del professor Mattarella è la decisione di una politica chiusa dentro se stessa e non provocherà alcuna emozione tra gli italiani di ogni generazione. Mai una scelta di un presidente fu così frutto strategico di un disegno di potere lucido e portato avanti con la determinazione e le capacità che contraddistinguono il Presidente del Consiglio nella sua irresistibile ascesa. Se Napolitano arrivò al Quirinale essendo già senatore a vita e per quello in qualche modo riconosciuto come un padre della patria dotato di personalità, autonomia e autorevolezza anche divisorie rispetto al paese, l’arrivo del professore è frutto della sua assenza dalla scena politica e della organicità al passato della Repubblica. O meglio, al passato di quel pezzo di gruppo dirigente italiano che ha attraversato, sotto bandiere trasformiste la Seconda Repubblica rimanendo se stesso fino alla riserva indiana della minoranza nel PD.

Il Presidente del Consiglio regalmente non concede ma dona a quella minoranza una salvezza storica in cambio della ininfluenza politica perché rimuove l’ultimo ostacolo al suo progetto di ridisegno del potere, nelle regole e nei nomi. La scelta di andare a elezioni anticipate, l’ordigno fine di mondo messo dai costituenti nelle mani del Quirinale scivola silenziosamente per via politica e non giuridica nelle mani di Palazzo Chigi. Con questa presidenza Prodi, D’Alema, Amato, le fondazioni e i centri studi vengono consegnati al passato ma non alla storia. Le decisioni procedurali  dei Padri Costituenti, che vedevano nelle prima tre votazioni l’auspicio per la elezione di un Presidente degli italiani e non di una parte del Parlamento, vengono consegnate alla inutilità del rito dichiarando la scheda bianca, cioè la non volontà di accedere a quella norma dichiarando contemporaneamente di volere alla quarta votazione un presidente per sé e non per la Repubblica.  A nulla conta che l’Italia sia interdipendente in un sistema complesso come l’Unione Europea e che in qualche misura il suo establishment debba avere consuetudine, possa essere selezionato anche all’interno del club di Bruxelles e non solo nella patria di origine. Napolitano ma ancor più Ciampi e su sponde diverse furono storicamente e consapevolmente protagonisti delle conseguenze del secondo conflitto mondiale, della costruzione dell’Europa politica come luogo di pace, di quella economica come motore di sviluppo, di quella sociale come uomini che non usavano tweetter ma l’inglese e il francese.

Il professor Mattarella nella sua giuridica formazione e nella sua silenziosa sicilianità, nella fedele appartenenza culturale e politica è estraneo a quel mondo. Ed è perfetto per chi sul ribaltamento di quel mondo,  in onore forse del conterraneo Machiavelli ma credo più di quel Theobald von Bethmann Hollweg  dei trattati come pezzi di carta straccia, intende ridisegnare a proprio vantaggio una Repubblica.

Si aprono due problemi che io sento miei più di questa scelta del Presidente. Il primo riguarda la mancanza da oggi di una figura di riferimento nel paese. L’Italia è in piena crisi di nervi, come dimostrano gli spazi politicamente inutili regalati agli estremisti della Lega o di M5S, come dimostra la sofferenza trasformata in ira sui social network o la tremenda litigiosità della nostra vita, la sensazione che l’obbiettivo oggi sia salvare se stessi e non la barca. La sensazione cioè che mai come oggi la politica incide sulle nostre vite attraverso le tasse e le regole di uno stato che con la legge di stabilità raccatta ovunque e comunque, in una società dove per risparmiare non si stampano più nemmeno i buoni premi nei supermercati, che non compra le gomme invernali e non programma vacanze.

L’impressione non polemica ma dura e concreta che questa elezione sia “cosa loro” e che per noi non cambierà nulla, che la Repubblica è una cosa ma la nostra vita è un’altra. E la seconda è che come nel 1992 si riapre il problema di una rappresentanza inclusiva e ragionevole di un pezzo di paese che nel vincitore di Palazzo Chigi non trova fascino; è una considerazione ormai trita ma ogni volta lascia un po’ stupefatti il rendersi conto che questi venti anni non hanno prodotto una sola figura politica o protagonista della società degna di entrare nella rosa dei candidabili per propria statura, per significato della propria vita, per riconosciuto prestigio. Questo è il fallimento sociale del bipolarismo italiano nonché dei suoi protagonisti indegni di lasciare un segno oltre la loro esistenza. E, badate, non cadete nell’equivoco: il presidente del consiglio non è homo novus ma il più autentico prodotto della tecnica politica di questo ventennio.

Oggi ci serviva Pantani, con i suoi meravigliosi pregi e i suoi tragici difetti. Arriva al traguardo un gregario certamente brava persona che non pare nemmeno abbia ambizioni. Non una emozione, non un momento di orgoglio nell’anima per ognuno di noi. Nel momento di una occasione persa, mentre l’uomo solo al comando fa vincere un gregario io guardo al passato e non posso che urlare nell’ordine le mie emozioni: Viva Verdi, Viva la Repubblica e viva Carlo Azeglio Ciampi, che con la sua vita, i suoi errori e le sue passioni ha attraversato il novecento per consegnarmi una Italia Migliore.

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