Costume
Why Di Maio is fit to lead Italy
Nonostante le pesanti ironie che sono seguite alla sua “candidatura a Premier” e alle modalità con le quali è stata costruita, Luigi Di Maio può giocare un ruolo di rilievo, in un Paese che gli assomiglia molto
In seguito all’ondata di sarcasmo che ha caratterizzato l’annuncio della candidatura di Luigi Di Maio a Presidente del Consiglio, c’è chi ha invitato a smorzare i toni, evitando di irridere il Movimento Cinque Stelle per la sua poca conoscenza dei meccanismi istituzionali. Certo, nel nostro ordinamento è improprio parlare di “candidatura” a proposito di una carica non elettiva, ma sia il centrodestra che il centrosinistra hanno a più riprese indicato i loro leader come “candidati Premier”. Il PD ha notoriamente inserito nel proprio statuto la regola secondo la quale tale ruolo spetta al proprio segretario, con una scelta politica sulla quale si potrebbero aprire lunghe discussioni.
Per quanto spetti al Presidente della Repubblica affidare l’incarico di formare il Governo alla persona che ritiene più idonea, sul piano politico non è certo sbagliato parlare di una “candidatura” anche informale a ricoprire questa carica.
Decisamente più fondate sono le critiche mosse nei confronti del Movimento Cinque Stelle sulla base di un processo decisionale abbastanza comico, nel quale non ci si è fatti mancare davvero nulla: dall’introduzione in extremis della regola che ammette la possibilità di candidatura da parte di chi è indagato fino a uno schieramento di competitor che ricorda moltissimo gli sparring-partner di un pugile che si allena coi ragazzini per scaldare i muscoli in attesa delle sfide vere contro rivali all’altezza.
Il tema dei processi democratici in seno ai singoli partiti non è nuovo, ma è tuttora irrisolto. L’urgenza di regolamentare in maniera chiara il funzionamento interno delle forze politiche che si candidano ad amministrare la cosa pubblica, ivi compreso il modo di gestire le primarie o altri simili meccanismi di consultazione, non è più differibile.
Volendo sottilizzare, è la spia di un malessere anche il fatto che per riconoscere a un indagato il diritto di candidarsi sia stata necessaria una svolta chiaramente “ad personam”. In uno Stato di diritto e garantista un indagato è, per definizione, un soggetto che ancora non è colpevole e pertanto non si capisce per quale motivo esso dovrebbe essere privato di un proprio diritto civile. Giova inoltre ricordare che il reato per il quale Di Maio è sotto indagine è la diffamazione, in seguito al noto caso-Cassamatis e alla querela dell’ex candidata a Sindaco di Genova, poi espulsa dal Movimento 5 Stelle. Intanto è opportuno inquadrare la fattispecie di reato della quale eventualmente si sta parlando, ma in un Paese civile anche di fronte ad accuse più pesanti dovrebbe comunque prevalere la logica secondo la quale si è innocenti fino a sentenza definitiva.
Come se non bastassero le numerose criticità più volte rilevate a proposito dell’ormai famoso metodo di consultazione on-line del popolo grillino, che pare tutt’altro che inattaccabile, lo svolgimento di una competizione come quella che andrà a incoronare Di Maio è chiaramente la formale legittimazione di una decisione presa altrove e già da molto tempo. Non è da oggi che il Movimento 5 Stelle (leggasi: Beppe Grillo) ha scelto di giocare sul Vicepresidente della Camera le proprie chance di affermazione nazionale, sicuramente danneggiate dalle performance della Giunta-Raggi nell’amministrazione di Roma, ma ancora non svanite in un quadro di estrema incertezza politica.
Tutto ciò detto, irridere Di Maio e le sue ambizioni di Premierato rappresenta un errore di valutazione piuttosto grossolano. Nell’atteggiamento marcatamente snob di una certa parte di opinione pubblica e di ceto politico pare di rivedere la superficialità già dimostrata a suo tempo nei confronti di Berlusconi e della Lega.
Sarebbe infatti difficile immaginare una figura capace di incarnare meglio di Maio i punti di forza sui quali può fare leva il Movimento 5 Stelle. Il giovane parlamentare ha caratteristiche che, paradossalmente, coincidono proprio con gli aspetti che spingono molti a giudicare l’ex steward dello stadio San Paolo “unfit to lead Italy”, per ripescare la celebre definizione che l’Economist diede di Berlusconi, su basi peraltro completamente diverse.
Carlo Freccero ha bene evidenziato il tema nell’intervista pubblicata oggi da “La Stampa”, dicendo: “Di Maio è perfetto perché è l’uomo medio, è il Carlo Conti del Festival di Sanremo applicato alla politica. Un uomo con cui tutti si possono identificare, comprensibile a chiunque. Lo definirei un software interscambiabile. Non ha nulla del leader carismatico. Non è Alessandro Di Battista né Roberto Fico. Loro hanno una forte identità e troppa personalità per fare i portavoce. Di Maio no, zero carisma, per questo è il perfetto portavoce del M5S, come lo volevano Grillo e Casaleggio. Dietro c’è l’idea di una politica 2.0, acefala. Di Maio è l’ideale per la trasversalità delle idee politiche del M5S, attento a non fare mai un discorso di rottura. La sua forza è di non avere teorie. Lo dimostra come è facile per lui cambiare idea, dal referendum sull’euro allo Ius soli. Ma per questo è comprensibile per tutti, per quel Movimento che cresce, si evolve, vuol partecipare in prima persona alla gestione comune della politica: rappresenta sia il pubblico della tv, sia l’opinione di Internet. Non incarna la politica dei leader e delle élite, ma degli uomini qualunque nel reality di Grillo, che non mette in scena le star ma punta i riflettori direttamente sul pubblico”.
Una presa di posizione netta e di grande interesse, che tuttavia contrasta con altre dichiarazioni di Freccero a proposito del candidato-Premier grillino in pectore: lo scorso aprile il celebre scrittore e autore televisivo disse di non credere all’ipotesi della candidatura di Di Maio e un anno fa addirittura sosteneva che il Vicepresidente della Camera si fosse bruciato, indicando in Chiara Appendino la figura sulla quale il Movimento Cinque Stelle avrebbe fatto meglio a puntare.
Transeat. Ciò che rimane sul tavolo da analizzare è una tendenza che a mio avviso va messa in relazione con un libro che ho già avuto modo di citare. “Mediocrazia” del filosofo Alain Deneault (il cui successo ne certifica l’importanza certamente molto più che la mia opinione) è particolarmente adatto a fotografare la realtà che stiamo vivendo. In politica – ma anche in altri campi della società – le posizioni di potere sono ormai appannaggio pressoché esclusivo del “mediocre”, termine che peraltro non va inteso in senso dispregiativo, ma come mera constatazione di aderenza del soggetto alla media in senso quasi matematico.
“Mediocre è chi tende alla media, vuole uniformarsi a uno standard sociale. In breve: è il conformismo”, spiega il filosofo, con parole che potrebbero tranquillamente sovrapporsi a quelle di Freccero. L’aggancio è anche con la definizione di “Uomo qualunque” che emerge dall’intervista a “La Stampa” e che ci riporta a Guglielmo Giannini ed al suo movimento politico, le cui radici culturali sono chiaramente visibili anche nelle attuali posizioni del Movimento Cinque Stelle.
Di Maio oggi viene fatto oggetto di critiche molto accese, anche per la sua partecipazione alla cerimonia dello scioglimento del sangue di San Gennaro. Ecco, pur essendo laico e di sinistra, eviterei di estendere l’errore alla censura di un comportamento legato alla fede religiosa che, come tale, rientra nella sfera personale che va comunque rispettata.
Mi limito ad osservare come – in questo come in altri aspetti – Di Maio sia effettivamente un’incarnazione quasi perfetta del concetto di “italiano medio”. L’errore consiste nel dare a questa definizione un’accezione negativa, con un atteggiamento di superiorità che, pur connesso a questioni reali come quelle descritte da Deneault, pare negare un concetto che in democrazia è fondamentale: chi vuole governare, deve avere la compiacenza di conquistare il consenso popolare, operazione tutt’altro che scontata, che richiede molta fatica e che non è certo facilitata dalla bassa considerazione che taluni nutrono nei confronti del popolo stesso, senza nemmeno riuscire a nasconderla troppo bene.
Il rischio è di perseverare, sottolineando in maniera insistente quelle debolezze che Di Maio in effetti ha, ma che agli occhi del suo elettorato possono invece apparire come punti di forza. Il curriculum non particolarmente brillante, il rapporto a volte conflittuale con i congiuntivi e persino il suo look straordinariamente ordinario potranno non piacere a certi palati particolarmente fini, ma continuare a schernirlo serve solamente a renderlo maggiormente appealing (a meno ovviamente che non si faccia parte dei Socialisti Gaudenti, che hanno pubblicato i meme usati per questo articolo: a loro, ma solo a loro, è concesso tutto perché se lo meritano)
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