Partiti e politici

Votare NO è come sputarsi in faccia, votare SÌ ha qualche problema. Dunque?

24 Agosto 2020

Bisognerà pur farsi carico della nostra demagogia, per piccola o invadente che sia stata, che ha portato ogni italiano di buona volontà a sfogare in questi ultimi trent’anni – più o meno da quel discorso di Craxi nel ‘92 – un’inevitabile rabbia per l’insussistenza dei propri rappresentanti, con il sogno relativo di ridurre sensibilmente quell’elefantiaca organizzazione parlamentare. Della sparizione del Senato, per esempio, molto si parlò in passato, e sarebbe stato l’asso di cuori con cui Matteo Renzi avrebbe fatto il piatto, se solo ne avesse confezionato il progettino (l’aveva pur pensato), in luogo di quella patacca turistico-vacanziera che impapocchiò in favore di allegri consiglieri regionali in vacanza a Roma. Matteo Renzi è la nostra vera disdetta, l’ultimo domicilio conosciuto di quel minimo di speranza che ci avrebbe permesso di terremotare le istituzioni almeno un po’, e che finì invece per avvitarsi in un’idea provincialissima del potere. Peccato. Per dire che, se stiamo alle madonne che ognuno di noi cittadini-elettori ha tirato in questi anni all’indirizzo del Parlamento, dei politici, dei partiti, dei magheggi e del poltronismo bestia che ha animato lorsignori, la partita del referendum non dovrebbe neppure iniziare: il SI’ passerebbe  90 a 10. Secondo coerenza anche 95 a 5.

Eh no, Invece no. Visto che la rabbia non è sentimento nobile, dettata magari da condizioni contingenti, digestioni difficili, mogli e/o mariti scassacazzi, persino dall’Inter che si inabissa in finale di Europa League, ecco che (ri)sorge come per miracolo l’ideuzza liberale di non assecondare questa liquidazione sentimentale delle istituzioni, ma di valutarne semmai la conservazione, perché «questo è un attacco al cuore della democrazia!». E se ne motiva la sostanza attraverso quella famosa pubblicità delle caramelle Polo, quelle del “buco con la menta intorno”. Se tu sfondi, si obbietta, crei un vulnus, ma se intorno non ci metti le riforme, legge elettorale, questioni di rappresentanza, eccetera, beh, allora no, è soltanto sparare nel mucchio tanto per abbattere un simbolo della democrazia parlamentare. E allora sei solo uno squallido demagogo.

Quante migliaia di volte abbiamo sentito citare dai nostri illustri rappresentanti, dai sedicenti liberal, da tutti i Nannicini-boys, quella storia del tacchino che non festeggerà mai il giorno del Ringraziamento americano, quanto ce l’hanno menata? Per dire che nella storia una riforma che solo lontanamente avesse immaginato un taglio al numero dei parlamentari, non avrebbe avuto un soldo di speranza, mai si sarebbe formata una maggioranza tafazziana in grado di certificare il proprio decesso. Il pateracchio della riforma renziana, che inizialmente era molto più drastica, trovò un accomodamento esattamente sul concetto di “conservazione”. Se i tacchini, com’era prevedibile, non avrebbero festeggiato, il trauma andava temperato con l’ingresso di un’altra specie animale e si pensò così a polli di allevamento regionale. Per cui, fate il favore, questa riforma del taglio ai deputati non derubricatela a bagattella per i vostri modesti interessi. Abbiate almeno un minimo di rispetto per quello che avete sempre detto e pensato in tutti questi anni, considerandola impresa non meno di impossibile. Adesso invece è molto possibile.

Quanto al “buco” senza le riforme intorno, vero. Ma voi attribuite al pensiero Cinquestelle una profondità che non ha mai avuto. È stato chiaro sin da subito che era tutta una questione sostanzialmente di simboli. Tutta la politica grillina è una questione di simboli. Da abbattere o da immaginare. I mal di pancia del Partito Democratico non sono una gran novità, ma questa non può essere una colpa grillina. Anzi. Il Partito Democratico semmai dovrebbe chiedersi: come mai non siamo in grado di trascinare noi gli altri, sulle grandi questioni che ci stanno a cuore? Come mai abbiamo abbandonato la legislatura passata lasciando morire lo ius soli, poi temperato in jus culturae? Non c’erano i numeri, raccontò Matteo Renzi, e tecnicamente aveva anche ragione, ma che impatto simbolico nel cuore delle persone avrebbe avuto almeno provarci, impiantare una meravigliosa battaglia politica, coinvolgere la parte migliore di questa Italia che probabilmente si sarebbe ricordata del Pd nelle successive elezioni? Vede che i simboli servono, caro Nannicini.

Siamo al dunque. Votare No è sostanzialmente sputarsi in faccia davanti allo specchio, una questione di dignità. Ma certo, esistono anche buone ragioni per non votare Sì. Le riforme intorno, appunto. Resta sempre valida la terza via, se le prime due convincono: non votare, prerogativa assolutamente liberale delle democrazie più avanzate. In questo modo, è del tutto chiaro che vincerebbe il Sì.

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