Partiti e politici
Volete sapere chi comanda a sinistra? Guardate dove si siede Anna Finocchiaro
ROMA – Da pasionaria di sinistra a silenziosissima dorotea del partito di Renzi. Potente, temuta, sicura di sé: quando prendeva la parola lei, nell’emiciclo di Palazzo Madama calava il silenzio. «Manco fosse un Capo dello Stato», ricorda un parlamentare. Ex Pci di ferro, contrarissima alla “svolta” e al cambio del nome in Pds, Anna Finocchiaro da Catania accusò il duro colpo della Bolognina (a Luciano Violante che le asciugava le lacrime – si racconta – disse: «Ho visto arrivare per fax il simbolo del nuovo partito e non ho retto»). All’epoca, infatti, non ci pensò due volte a schierarsi per il no insieme al gruppo degli intellettuali ingraiani (nel senso di Pietro) cui faceva riferimento anche il professore Pietro Barcellona.
Ma la signora in rosso, così fu ribattezzata in Transatlantico, obbediva. E a ogni svolta, svoltava. Eccola diessina tendenza D’Alema («Non c’è bisogno di spiegare che D’Alema è una persona seria»), pronta a scalare il gruppo parlamentare senza perdere di vista l’obiettivo finale: un ministero di peso o addirittura il Colle. «Un uomo con il mio curriculum l’avrebbero già nominato presidente della Repubblica», dichiarò al Corsera all’indomani dell’elezione di Giorgio Napolitano. Non le andava proprio giù di doversi accontentare della carica di presidente del gruppo del Senato dei Ds prima e del Pd dopo. Nell’aprile del 2006 stava quasi per varcare la soglia del ministero dell’Interno. Sembrava cosa fatta. Ma alla fine la spuntò Giuliano Amato. Delusioni su delusioni. Per ben due volte, poi, si vide scippare la segreteria del nascente Partito democratico che credeva di avere in tasca.
Una vera sassata per una come lei che passava per un fenomeno ed era invece costretta a inanellare insuccessi. Di qui una delle sue massime più note: «Si chiama soffitto di cristallo: le donne vedono cariche più alte, ma un soffitto di cristallo impedisce loro di salire». Lo stesso soffitto che le impedirà di salire dopo la bruciante sconfitta alle regionali siciliane del 2008 quando venne strapazzata da Raffaele Lombardo e dalla coalizione di centrodestra. Fiutato il pericolo con largo anticipo, si fece piazzare in un posto sicuro nel listone del Senato in Emilia Romagna.
Non molla Anna da Catania. In nome delle quote delle rose continua a diffondere il verbo della ditta intimando al Cavaliere di smetterla e di passare “ai fatti concreti”. Presenzia nei salotti televisivi che contano con la sua seducente voce baritonale e quell’aria un po’ snob. La vicenda giudiziaria del marito Melchiorre Fidelbo, reo di avere ottenuto una commessa senza gara con la sua società per informatizzare il presidio sanitario di Giarre, scalfisce le ambizioni della senatrice. Per non parlare della copertina del settimanale Chi che nell’aprile del 2012 la ritrae all’uscita dell’Ikea con i tre uomini della scorta che spingono il carrello carico di padelle antiaderenti. «Avere la scorta non è un piacere. Nonostante ciò cerco di fare una vita normale», tenta di giustificarsi mentre intanto il rottamatore Matteo Renzi si appresta a conquistare prima il Nazareno e poi Palazzo Chigi.
Cambiano i tempi. Ma la bruna siciliana, oggi Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, avanza sempre a braccetto con la propria ambizione. «Se arriva Anna, non ci sono problemi» mormora un giorno Giorgio Napolitano. Ed eccola sbarcare in silenzio nella galassia renziana. E fare coppia fissa con il volto del renzismo, il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, di cui è ormai quasi un nume tutelare . Da allora non ne vuole più sapere dei vecchi compagni, di Bersani, D’Alema e della minoranza che guerreggia sul Jobs Act o sull’ultimo codicillo dell’Italicum. A scanso d’equivoci non commenta l’azione di governo del giovanotto di Firenze. E quando apre bocca lo fa soltanto per esaltarne l’operato: «Vorrei sottolineare – dichiara ad agosto sul Sole 24ore – che credo sia la prima volta nella storia costituzionale mondiale che una Camera abolisce se stessa». In tutto il 2014 rilascia quattro interviste. E dire che dal 2001 al 2013 ha superato quota trecentocinquanta (interviste). A sessanta anni, pensava di essere in lizza per la corsa al Capo dello Stato. Ma il premier-segretario ha puntato tutte le fiches sul corregionale Sergio Mattarella. In questi ultimi due anni è circolato il suo nome come ministro del mezzogiorno o per il dicastero della giustizia. Alla fine è arrivato il ministero dei rapporti con il parlamento. Così Annuzza è tornata in prima linea. Pascola nel Salone Garibaldi manco fosse il Capo dello Stato. Buon lavoro.
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