Partiti e politici

Voler essere come Macron, finire per essere simile a Hamon

7 Luglio 2017

Dove sta andando il Partito Democratico? Dove sta andando il suo segretario, Matteo Renzi? Sono le due domande che mi rimbalzano in testa da mesi, da quando cioè lo stesso Renzi a febbraio rassegnò le sue dimissioni aprendo la fase congressuale. Un Congresso che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto rigenerarlo e rigenerare un partito sempre più preda di crescenti tensioni, in cui anche il residuo spazio dedicato alla discussione delle idee era ormai occupato dal solito chiacchiericcio politico. Mi domando dove diamine stia andando questo partito, e sinceramente non riesco più a capirlo. Mi domando cosa voglia fare Matteo Renzi, chi voglia essere, e anche su questo non riesco a farmi una risposta.

Incidenti, chiamiamoli così, come quello della card sui migranti contenente uno stralcio del prossimo libro di Renzi, sono devastanti. E non parlo solo di questioni comunicative: scrivere che “noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio” è un problema politico enorme. Forse Renzi intende rottamare anche la pietà umana, non saprei. Il dovere morale di aiutare il prossimo, tanto più se sta scappando dal suo Paese per via di una guerra, di una carestia o di una condizione insostenibile di vita, non è discutibile, non è negoziabile, non è cancellabile. Dividere fra migranti che scappano dalle guerre e migranti economici è un’operazione odiosa e stupida: il diritto alla ricerca del benessere e della felicità dovrebbe essere concessa a tutti. Se Renzi non se ne rende conto, allora il problema politico da enorme diventa quasi insormontabile. E lo diventa perché se questo riposizionamento populista tattico porta Renzi ad affondare malamente, allora affonda malamente anche ciò che resta del Partito Democratico: la condizione tensiva è ormai troppo alta, se esplode lui, esplode tutto. Renzi solo alcuni mesi fa voleva diventare il Macron italiano, e a me verrebbe da chiedergli: Matteo, vuoi davvero diventare come Macron, o stai finendo per fare l’Hamon italiano, quello che ha definitivamente affossato il Partito Socialista Francese?

È vero che la gente “ringhia” sempre di più, è vero che lo spirito di comunità si sta via via deteriorando e sfilacciando ed è quasi ormai disperso, ma non è inseguendo la pancia delle persone che riuscirai a recuperare consenso e forza politica. Queste piroette tattiche rischiano di bruciare definitivamente il brand Partito Democratico, trasformandolo in qualcosa di irricevibile persino per gli elettori più affezionati. Leggendo sui social ultimamente mi sono reso conto che spesso le critiche maggiori a Renzi arrivano proprio da quelli che lo sostenevano quando ancora non andava di moda, da quelli che lo appoggiavano già nel 2011 e nel 2012, quando si veniva insultati ogni giorno dall’allora maggioranza, senza che questo scatenasse nessuna ondata di sdegno. Anzi, i “ma andatevene e fondatevi un partito vostro” erano all’ordine del giorno. Renzi, oggi, buona parte di quelle persone le ha perse. Buona parte di quelle persone che incarnarono l’utopia renziana della rottamazione, del rinnovamento della politica, del traghettare il partito nel ventunesimo secolo, del renderlo nuovamente più vicino alle esigenze e ai bisogni delle persone, sono perse. Sfiduciate. Disilluse. Stanche. Erano il maggior tesoro di Renzi, un capitale umano fatto di amicizie, collaborazioni, competenze. Un capitale umano sperperato in questi anni che hanno portato molti a essere dimenticati, in favore dei soliti noti (e delle loro doti di voti). La svolta populista e la cronica mancanza di identità e di idee non fa altro che tenere queste persone a debita distanza.

Certo, un questi anni il Partito Democratico alcune cose buone le ha fatte. Ma se manca un disegno complessivo si rischia che queste conquiste diventino vittorie accidentali, piuttosto che frutto di una visione di Paese che si vuole realizzare. E non si può più avanzare a caso, secondo il vento che soffia al momento. Non se lo può più permettere un partito che fino a qualche mese fa si ergeva a unico argine al populismo. Già, peccato che ora scimmiotti malamente anche quello. Ciliegina sulla torta, per ribadire la sempre più grave disconnessione col Paese, quelli che contestano Renzi all’interno del PD lo fanno blaterando sulla necessità di stabilire le eventuali alleanze per le future elezioni politiche che, ricordo, salvo ribaltoni si terranno a febbraio 2018. Gente come Franceschini e Orlando affermano che serve chiarire quali saranno le alleanze del PD per stabilire quale identità avrà il partito. Ma Santo Cielo: come potete pretendere di delineare l’identità di un partito subordinandola alle eventuali alleanze politiche? Sarebbe come stabilire definitivamente che il PD è incapace di ogni elaborazione autonoma, sarebbe come dire che il Pd da solo è inesistente, nullo, inutile. Secondo questo ragionamento acquisterebbe senso e identità solo grazie agli alleati. Una resa incondizionata, una dichiarazione di inconsistenza politica assoluta. Alla fine a me continuano a ronzare in testa quelle due domande: dove sta andando il Partito Democratico? Dove sta andando il segretario Matteo Renzi? La loro parabola sembra sempre più quella del Partito Socialista Francese e di Hamon: un tragitto destinato all’esplosione.

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