Partiti e politici
Voi che negate la grandezza di B., leggete la storia dello smemorato di Codogno
Se qualcuno ancora non crede alla grandezza di B. dopo questi vent’anni infiniti, se qualcuno, accecato da odio antico e inestinguibile, ancora si ostina a considerarlo solo un incidente della storia, come un passante che ti sfila davanti sulle strisce pedonali e non rivedrai mai più, se qualcuno ne minimizza l’enormità e, se vogliamo, l’invadenza sociale nelle vite di ognuno di noi, beh, a tutti costoro è sinceramente consigliabile la lettura non dei mille inutili libri scritti sul Cavaliere in questi quattro lustri, ma dell’incredibile vicenda umana del professor Pierdante Piccioni, primario di Pronto Soccorso, che oggi, con opportuno parallelo cronachistico viene a buon diritto definito “Lo smemorato di Codogno”.
Il 31 maggio del 2013 il dottor Piccioni ha un gravissimo incidente stradale. Va al lavoro, come tutti le mattine, da Codogno a Pavia, quando sulla maledetta tangenziale, all’altezza di Lodi, va a sbattere. Da quel momento dovete conteggiare otto ore di coma, al termine delle quali – siamo ormai al pomeriggio – Piccioni si sveglia con una emiparesi «tanto che pensavo a un ictus», retrodatando i suoi ricordi al 25 ottobre 2001, «il giorno del compleanno del piccolo». Insomma, perde nei meandri tortuosissimi del cervello i ricordi di ben 12 anni: «Erano tutti invecchiati – racconta a Repubblica -. Mia moglie, coi capelli di un colore diverso, e le rughe. Due ragazzi grandi, con la barba: papà come stai? Papà? Io avevo due ragazzini di 8 e 11 anni, chi erano questi?». Quella data, il 25 ottobre del 2001, lo aiuta almeno a incasellare qualcosa di meno indistinto di niente: «Ero confuso, ho detto 25 ottobre 2001, il giorno del compleanno del piccolo. Sulla data non ero sicuro, su mese e anno sì. Mi hanno dovuto mettere il giornale in mano, non ci volevo credere».
Dodici anni persi in otto ore di coma. Un intreccio cerebrale pazzesco, un tappone dolomitico della mente, in cui abbandonare le forze a ogni tornante. Oggi che ha ripreso la sua vita e il suo lavoro di primario, grazie a se stesso e alla professionalità di neuropsicologi e neuroradiologi scrupolosi molto preparati, il dottor Piccioni è in grado di mettersi a cavallo della storia, quella di prima e quella di oggi, ripercorrendo ciò che aveva lasciato nel momento in cui i suoi ricordi si erano interrotti e ciò che invece il procedere degli eventi gli metteva via via incredibilmente sotto gli occhi. Era tutto cambiato: «C’era la lira. C’era Bush, ora Obama. C’era Papa Wojtyla e adesso ne erano cambiati addirittura due. Berlusconi invece l’ho ritrovato».
Capito bene? Tutto si era sconvolto in quei dodici anni, passaggi epocali di mondo, sconquassi economici, vere e proprie rivoluzioni religiose, tali da rendere piccolo piccolo un povero cristiano, ma nella testa del professor Piccioni, sballottata dai cambiamenti d’epoca, un unico presidio di sicurezza restava fermo, inossidabile, inquietante, orrorifico volendo, immobile come un nuraghe piantato lì da secoli: BERLUSCONI! A voi la riflessione s’egli, in quel momento, abbia tirato un sospiro di sollievo per il ritrovamento bellico di un vecchio ordigno come il Cav. o si sia sconfortato al punto tale da richiedere l’immediata e ulteriore predatazione del suo dramma.
Altro cosucce, certo non della portata berlusconiana, erano nel frattempo cambiate e Piccioni ne fa l’incredibile elenco: «L’euro, con tutti i prezzi nuovi. Internet lo conoscevo, ma Facebook, Twitter, Google, gli smartphone? Ma, per dire, anche guardando fuori dalla finestra, per strada, vedevo macchine che non conoscevo». (Non certo delle Fiat, che non fa modelli nuovi da qualche secolo e che da questo punto di vista avrà rassicurato il nostro dottore, ndr).
La storia di Piccioni in fondo è la nostra storia. Molti di noi hanno cercato di rimuovere quell’enorme masso magrittiano che abbiamo avuto sulla testa (e che in parte abbiamo ancora) in questi vent’anni di storia. Molti di noi hanno chiesto ingenuamente asilo politico, credendo che il fenomeno Berlusconi non appartenesse alle nostre vite ma sempre a quelle degli altri, altri lo hanno odiato al tal punto da non riconoscergli che il merito – per chi di fede rossonera – di una squadra memorabile, altri lo hanno odiato in purezza, molti ancora hanno creduto di disfarsene da un momento all’altro, e se un momento c’era non arrivava mai e poi mai l’altro, certi non compravano tutto quanto proveniva dalla filiera produttiva di B., che di cose ne aveva molte, e questi forse erano i più patetici. Moltissimi, più di quanto i semplici voti elettorali dimostrassero, lo hanno amato perdutamente. Pochi, davvero, possono dire di non averci convissuto. In qualunque modo, in qualunque senso.
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