Partiti e politici

Vince Renzi tra gli happy few

29 Aprile 2017

Le consultazioni di domani 30 aprile per eleggere il nuovo segretario Pd, le cosiddette primarie, hanno un risultato già scritto da mesi, e forse anche per questo non riescono a mobilitare più di tanto. Vincerà Renzi, con una quota di consensi molto simile a quella precedente quando, nel 2013, si impose con il 68% dei votanti. Secondo sarà Orlando, anch’egli con un risultato omologo a quanto prese Cuperlo (intorno al 20%), e terzo arriverà Emiliano, con di nuovo un consenso vicino a quello che fu di Civati (poco sopra il 10%).

Si ricostruisce in pratica il trio delle scorse consultazioni, quelle che consacrarono Renzi (o in cui Renzi si auto-consacrò) al difficile ruolo di Salvatore del paese. Renzi è Renzi, ovviamente. Orlando è oggi il rappresentante di quella ortodossia social-democratica che già era di Cuperlo, vicina alla concezione del partito di stampo diessino e che, dopo l’esperienza di Bersani, non attrae più molti consensi nel popolo delle primarie. Emiliano viceversa si presenta, come fece Civati, come l’outsider più movimentista, con un occhio ai 5 stelle e uno, certo più aperto, al proprio bacino territoriale pugliese.

Ciò che è cambiato radicalmente, da allora, è da una parte il clima politico-elettorale, molto più mesto e (paradossalmente) più chiuso rispetto ad una situazione che, sul finire del 2013, sembrava comunque fluida, quasi “in divenire”. Dall’altra è mutata in misura considerevole la percezione dell’elettorato (amico e nemico) della figura dell’ex-premier. Per gli italiani oggi Renzi non rappresenta ormai più il ricettacolo delle speranze e della voglia di trasformare il paese, di iniettare concretezza e rapidità nelle pachidermiche strutture del governo dell’Italia. Allora la fiducia era alle stelle, e culminò con l’ottima performance alle europee ma soprattutto con un ampio appoggio trasversale, proveniente da numerose aree politiche, anche distanti.

Renzi ha perso la sua battaglia, per colpa sua o di altri importa poco, e non viene percepito ormai più, nemmeno dai suoi sostenitori, come l’àncora di salvezza per un nuovo sole dell’avvenire. E’ giudicato ancòra un buon leader, ci mancherebbe altro, ma incapace di fare la differenza per il paese. Verrà rieletto segretario del Partito Democratico, ma con scarso entusiasmo; ed infatti i partecipanti a queste consultazioni saranno almeno un milione in meno della scorsa occasione, quando si recarono alle urne oltre 2 milioni e 800mila democratici, e anche qualche elettore di altre famiglie. Forse andrà a votare addirittura meno della metà di allora.

E se questo non è un reale problema per la sopravvivenza delle primarie in sè, data la situazione fin qui descritta, è invece un problema che riguarda la nostra Italia, che non trova più una via condivisa per uscire da un contesto economico-occupazionale che arranca. E che ancor oggi, come testimoniano i sondaggi, non può far altro che sperare in un movimento, quello dei 5 stelli, che fa della speranza il suo maggior incentivo, non certo quello della concretezza. Per fortuna esiste il governo Gentiloni, che riesce almeno a mantenere dritto il timone della sua navigazione, senza tanti fronzoli o roboanti proclami. Finchè dura.

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