Partiti e politici
Vi piace Macron? Allora imparate: il populismo si sfida, non si insegue
Il gaullista e il socialista fuori dal ballottaggio. Anzi, il gaullista Francois Fillon e il socialista Benoit Hamon, insieme, a prendere un striminzito quarto dei voti totali. Il primo deve quasi tutto, del proprio insuccesso, probabilmente, al disastroso scandalo familiare che ha visto coinvolta la moglie di Fillon come “dipendente” del suo ufficio parlamentare, uno scandalo per cui il Partito Repubblicano deve ringraziare solo Fillon stesso. Hamon invece era un possibile “riformatore” della storia del socialismo francese. A lui è mancato il carisma, si dirà: la verità più dolorosa, probabilmente, è che il socialismo novecentesco ad avere perduto, non solo in Francia, le chiavi di accesso che portano nelle vite dei cittadini, soprattutto dei più deboli. La storia della politica francese, le due grandi famiglie politiche che da sempre, ininterrottamente, si son divise il potere e la presidenza non vanno al ballottaggio e si confrontano con la fine di una storia di cui sono stati artefici, eredi e, infine, distruttori. Il primo dato da mettere in archivio, nella sera del 23 Aprile del 2017, è sicuramente questo. È il più incontrovertibile e, in attesa dei risultati del ballottaggio che ci diranno chi è il nuovo presidente della Francia, l’unico che possiamo dare definitivamente per acquisito.
Possiamo e dobbiamo, però, guardare i dati che si consolidano, e provare a capire cosa ci dicono.
Emmanuel Macron consegue un risultato gigantesco, enorme, impressionante. Si prende quasi tutto lo spazio in decomposizione della politica tradizionale e con un cammino – una marcia – di pochi mesi raggiunge la soglia degli otto milioni di elettori battendo un sentiero nuovo, aprendo anzi una strada proprio nel mezzo del corpo elettorale e della società francese. Il tutto costruito, di fatto, dalle dimissioni da Ministro rassegnate a fine agosto del 2016 o, volendo, a partire dalla scorsa primavera, momento di fondazione del suo movimento En Marche. I suoi quasi 8 milioni di voti sono la testimonianza di come in politica i vuoti non esistano ma anche di come, per riempirli, servano coraggio, velocità, competenza e fortuna. Questi ingredienti servono tutti, non uno di meno.
Marine Le Pen da questo primo turno si aspettava di più. Il sogno – quel sogno che serviva per dare sostanza a speranze concrete di vittoria – era il 30%. L’asticella del buon risultato era fissata probabilmente almeno al 25% per cento. Arrivare al 22 e qualcosa rende la scalata alla vetta della Repubblica ardua ai limiti dell’impossibilità. Eppure, se non fosse stata così alta l’aspettativa, staremmo parlando, per il Front National, di un risultato eccellente. Marine Le Pen arriva comodamente al ballottaggio, e ci arriva comunque tallonando il vincitore del Primo Turno. Raccoglie circa 7 milioni di voti, un milione in più rispetto a cinque anni fa, che sono il massimo storico mai raggiunto dal suo partito, e testimonia plasticamente di quanto l’onda del malcontento e della rabbia contro le istituzioni sia ormai alta anche nel cuore dell’Europa.
Jean-Luc Mélenchon il suo movimento l’ha fondato una decina di anni fa. Anche lui ha conseguito un risultato importantissimo. Se non fosse arrivata sul tavolo l’ipotesi di una incredibile (fino a poche settimane fa) partecipazione al ballottaggio tutti starebbero gridando al miracolo di una sinistra nato fuori dai percorsi consolidati, eppure capace di raccogliere 6 milioni di voti e quasi il 20 per cento dei voti. In tanti oggi pensano al suo “mancato” endorsement per Macron in vista del secondo turno, che invece è arrivato da Fillon e da Hamon. Sarebbe più saggio, invece, interrogarsi sullo spazio “di sinistra” che ancora esiste, evidente e ampio. E sta anche, anche se ci si torcono le budella ad ammetterlo, in quell’indistinto “ni droit ni gauche” che ha paura della mondializzazione, del capitale finanziario, dell’Europa: e di tutte queste cose non ha fatto esperienze esaltanti. E se Marine Le Pen non ha raggiunto il risultato che avrebbe sognato, forse, il merito è anche di Mélenchon.
Il secondo turno arriverà, dunque, e all’appuntamento Macron arriva sicuramente da favorito. La sua parabola, di cui qualcuno anche a casa nostra sicuramente si approprierà se già non l’ha fatto, ci insegna invece per differenza quanto è eccezionale la storia di un quarantenne competente, coraggioso, spregiudicato. Che aveva iniziato un importante carriera nel privato e sul mercato, e l’ha lasciata assecondando la passione e ambizione politica. Poi, sempre perché il coraggio non manca, ha anticipato i tempi e lasciato blocco di governo di cui faceva parte considerandolo irriformabile, considerandolo irriformabile prima di esservisi fatto incoronare, e non dopo averlo blandito. Infine, di fronte a chi prometteva di distruggere l’Europa per salvare la Francia, ha invece proclamato amore per l’Europa, e voglia di salvarla e di salvare il suo paese con lei. Per essere didascalici, insomma, la bandiera dell’Unione dalle foto non l’ha tolta, neanche in campagna elettorale. Anzi.
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