Partiti e politici

L’abito sartoriale del ministro Lupi e l’eleganza delle dimissioni

17 Marzo 2015

Il tema è semplice ma, come sempre, ne facciamo questione complicata. Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi è la persona più innocente di questo mondo e il giornalismo che pubblica intercettazioni prive di riscontro penale è, cosa desolante, giornalismo morboso e derelitto. Ma, per una volta sia consentito dire che derelitta appare anche la figura di un potente ministro in carriera da un ventennio, che ad un abito di sartoria, invece di  rispedirlo al mittente, decide di impiccarsi. Neppure l’apparente nobiltà di un filo corruttore che almeno nella precedente repubblica poteva essere rivendicato sotto forma di lotta politica sempre più costosa feroce e competitiva rispetto agli avversari. Nulla di tutto ciò: forse un nulla corruttivo. Semplice squallore che denota la mancanza di cultura, minima, essenziale e che riduce il mondo micragnoso di questa gente al pensarsi eleganti se fasciati in un abito di sartoria.

Esisteva, un tempo, una categoria politica che era tenuta in debito conto nell’agire e nelle condotta umana. La categoria della “opportunità politica”. Si chiedevano, i politici con cultura e formazione, se una frase, un gesto, un silenzio fosse più o meno opportuno da un punto della condotta politica. Se avesse danneggiato il partito, la persona, l’immagine. Ne conseguiva una certa sobrietà di comportamento, un paludoso e controllato protocollo d’azione che l’avvento della seconda repubblica ha spazzato via. E se possiamo gioire in merito al venire meno di tale ipocrita sobrietà ci troviamo a piangere rispetto a quella categoria dell’opportunità che sembra scomparsa dalla formazione di un politico e, quanto meno, costituiva un sentire comune che apparteneva a tutti i partiti.

Il tema travalica la questione mediatica o giudiziaria. Il tema è la povertà culturale di parte di questa politica. Il continuo accattonaggio, in termini di conferme, prebende, favori, tributi a cui parte di questa classe dirigente pare non riuscirne a fare a meno. La smaniosa voglia di contare che è tipica in chi non riesce ad abbandonare, alle proprie spalle, infanzia ed educazione periferica. Il tema investe la psicologia di parte della politica, priva oramai di identità sia valoriale che di storia personale. Il tema è anche di estetica della politica che dovrebbe essere innamorata anche del “bel gesto” che si concretizza nel rifiuto, nella rivendicazione orgogliosa che il tuo ruolo non è assoggettato a baratti, compensi o regalie.

La regressione costante di una oligarchia che ha smarrito il senso di orientamento sostituendolo con l’onnipotenza di chi crede che tutto gli sia dovuto porta, inevitabilmente, a ragionare in termini di perfetta sovrapposizione tra una elite e un popolo che che da quella elite dovrebbe essere condotto. Il ministro Lupi si riduce a modesto direttore degli acquisti di una piccola azienda della provincia italiana che,nelle pieghe del suo micropotere, trae giovamento e benessere mentale dalle regalie che i beneficiati dei suoi acquisti non dimenticheranno di fare sotto natale. Un personaggio simenoniano dalla identità prima ancora che smarrita, mai compiutamente formata, che lo scrittore francese avrebbe collocato in un sobborgo popoloso della capitale.

Il tema, insomma è drammaticamente di formazione politica che a questa classe dirigente manca del tutto e rappresenta forse la ragione per cui Lupi dovrebbe dimettersi. Interessa poco se dovrà rispondere ai magistrati perchè anche solo l’episodio o gli episodi delle regalie lo rendono del  tutto inadeguato a ” rivestire ” ruoli la cui credibilità si misura con parametri diversi da quella del comune cittadino.

Il fatto che Lupi non lo avverta non fa che sprofondarlo nella melma del carrierismo fine a se stesso. Non certo nei piani alti della politica.

 

Foto tratta da Flickr, profilo di Maurizio Lupi,  (Creative Commons)

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