Partiti e politici

Verdini, come il denaro, non dorme mai: si mangia Monti e pensa al dopo Renzi

13 Ottobre 2016

Denis Verdini, come il denaro, non dorme mai. Nella sede del suo partito, Ala, in via Poli, nel pieno centro di Roma, come uno scienziato pazzo della politica sperimenta scenari, inventa pozioni miracolose, dosa alambicchi per arrivare alla formula magica per il dopo referendum. I sondaggi che danno in vantaggio il No obbligano i protagonisti della politica a portarsi avanti. “Che succederà dopo il diluvio? Dove mi conviene stare quando arriverà la tempesta che spazzerà via Renzi?”, è la domanda che corre tra i parlamentari. In questi giorni, nei crocicchi sui divanetti del Transatlantico, davanti alle pietanze del ristorante della Camera e davanti a caffè e aperitivi alla buvette, l’argomento principe è: cosa succederà dopo? Naturale che uno sempre in anticipo sui tempi come Verdini sia già in movimento da settimane. Quattro sono gli scenari che Denis letteralmente disegna sui grandi blocchi che lui usa per mettere su carta i suoi pensieri. Vediamoli.

Se vince il Sì, Renzi va avanti come un treno. Verdini, al contrario di molti, ha però sconsigliato al premier di cavalcare l’onda per andare a elezioni anticipate. “Meglio continuare a governare, da una posizione di maggiore forza, con la minoranza Pd ormai all’angolo. Andare alle urne significa rischiare di consegnare il Paese ai grillini. Chi te lo fa fare?”, le riflessioni che Denis ha fatto recapitare a Matteo tramite il fedelissimo Luca Lotti. Meglio tirare andreottianamente a campare fino al 2018, magari con qualche aggiustamento nella squadra di governo (da tempo Denis suggerisce a Matteo di liberarsi di personaggi come Lorenzin, Madia, Giannini, Pinotti e Galletti).

Ma è in caso di vittoria del No che lo scenario si fa più interessante. Tra le tre ipotesi in campo – Renzi bis, altro governo con la stessa maggioranza ma senza Renzi (Franceschini o Calenda?) o governo istituzionale (Grasso o Cantone?) –, il leader di Ala guarda alle prime due e si tiene pronto per la terza. “Se Renzi perde, sarà più debole. A quel punto, se vuole tornare a Palazzo Chigi, dovrà allargare la sua maggioranza, altrimenti non ce la fa. E qui ritorna in campo Berlusconi”, confida un deputato di Ala. Nel qual caso il piano di Verdini passa per un Nazareno-bis a sostegno di un Renzi-bis, con il ritorno sulla scena del Cavaliere. Un esecutivo che potrebbe arrivare anche al 2018. In questa chiave vanno letti i numerosi abboccamenti del leader di Ala nelle ultime settimane: tra la sede del partito e il ristorante il Moro, a due passi da Fontana di Trevi, il suo quartier generale nell’ora del pranzo, ha ricevuto parlamentari di ogni ordine e grado, dai peones ai generali, molti dei quali di Forza Italia. E, tramite loro, il messaggio fatto arrivare a Silvio è chiaro: tieniti pronto perché, se vince il No, Renzi avrà bisogno di te. Forse per questo Berlusconi – oltre ai malanni fisici – ha deciso di non spendersi sul referendum? Chissà… Questa è di certo l’ipotesi più suggestiva, quella in cui Verdini sguazzerebbe come un alligatore nel Mississippi, ma la più improbabile. Lo scoglio si chiama Matteo Renzi: l’ex rottamatore difficilmente accetterebbe il ruolo di premier debole, sotto ricatto di minoranza Pd, centristi vari e Forza Italia.

La seconda strada è quella del governo istituzionale guidato dal presidente del Senato o, qualcuno sussurra, dal presidente dell’Anac Raffaele Cantone, con la regia di Giorgio Napolitano e la benedizione di Sergio Mattarella. I rapporti tra Verdini e Grasso non sono idilliaci, ma in questo caso il tessitore di un’intesa tra Ala e Napolitano potrebbe essere Marcello Pera (arruolato da Denis a guida del suo comitato per il Sì insieme a Giuliano Urbani). L’obbiettivo di un esecutivo di tal fatta sarebbe quello di portare il Paese alle urne a scadenza naturale di legislatura. Magari con un ruolo operativo addirittura per lo stesso Pera.

Infine, lo scenario più probabile ma che per Verdini è il più scivoloso: quello di un altro governo sostenuto dall’attuale maggioranza di centrosinistra, ma col pallino nelle mani non più di Renzi. Con annesso ritorno in cabina di regia della sinistra Pd. In questo caso gli spazi di manovra dell’ex banchiere fiorentino – visto come il diavolo in persona dai vari Bersani, Cuperlo, Speranza & C. – si restringerebbero molto. Anche se dei suoi voti difficilmente un governo targato Franceschini o Calenda potrebbe fare a meno.

A tal proposito, a Montecitorio Denis ha piantato la sua ultima zampata, con l’allargamento della sua truppa agli ex Scelta civica: 16 deputati composti dagli 8 di Ala, 5 ex Scelta civica, 2 del Maie e dall’ex tosiano Marco Marcolin. Con una deroga dell’ufficio di presidenza (per legge occorrono 20 deputati per un gruppo autonomo), è nato il gruppo “Scelta civica verso i cittadini per l’Italia – Maie”. Mario Monti, sollecitato dagli altri ex Sc (rimasti in 15), ha tentato in extremis di stoppare l’operazione con una lettera inviata all’ufficio di presidenza in cui ha diffidato Zanetti a Verdini a usare nome e simbolo. Ma dal Pd è arrivato l’ordine: il gruppo si deve fare. E così è stato. Addio Ala, dunque. Ma i fili li tira sempre Denis.

 

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