Partiti e politici
Veneto, Zaia è davanti in una regione che ha sempre meno voglia di politica
La passione verso la politica sta progressivamente appassendo e uno spettro aleggia sulle prossime elezioni regionali del 31 maggio: l’astensionismo. Non è un fenomeno nuovo, negli altri paesi europei è un dato consolidato, ma da noi è in crescita e preoccupa per alcuni motivi. Innanzitutto, veniamo da una tradizione culturale che, in qualche misura, imponeva di partecipare alle elezioni. Quell’obbligo morale però, da diverso tempo, ha perso il suo peso normativo, è vissuto con maggiore pragmatismo. Solo il 38,4% della popolazione (Community Media Research, Indagine LaST) considera il non andare a votare alle elezioni un atto del tutto inammissibile. In secondo luogo, c’è una diversità del caso italiano: dopo Tangentopoli il sistema politico e istituzionale non ha ancora trovato un punto di consolidamento. Partiti che, da allora, hanno mutato più volte nome, dando vita ad alleanze diverse e nuovi ne sorgono continuamente: tutte condizioni che rendono la scena politica instabile e incerta. E alimentano un clima di disillusione o indifferenza (se va bene), di distacco e protesta (se va male).
Tutto ciò spiega perché i sondaggi sulle intenzioni di voto vedono aumentare il margine di rischio nelle loro proiezioni, non solo per una questione statistica, ma perché l’alea di incertezza è crescente, le persone faticano a capire quanto accade e a esporsi. Potrebbe essere diversamente? Se pensiamo a come si modifica di continuo il panorama politico (sia nazionale, che regionale) e le posizioni di una parte degli esponenti (scissioni, fuoriuscite, espulsioni, cambi di casacca), la risposta non può che essere negativa. Soprattutto, ciò a cui non si è assistito da parte dei partiti, al di là dei mutamenti di nomi e di bandiere, è una effettiva riflessione culturale sui cambiamenti sociali ed economici che hanno (e stanno) attraversando il paese. Allora, conviene affrontare l’analisi del distacco dalla politica e dai partiti dal punto di vista degli orientamenti di valore, più che dalle intenzioni di voto. Community Media Research ha realizzato nei giorni scorsi una rilevazione i cui esiti evidenziano alcuni aspetti utili a questa riflessione. In primo luogo, la maggioranza dei nordestini manifesta un atteggiamento di disillusione nei confronti dei partiti (49,9%). Per contro, quanti s’identificano in modo netto con una formazione politica sono solo il 16,4%. Fra queste due posizioni abbiamo chi individua tiepidamente nel panorama politico un soggetto che lo rappresenti (16,9%) e una misura analoga ha sviluppato un atteggiamento negoziale (16,8%): valuta di volta in volta secondo le convenienze.
Dunque, prevale un sentiment di disillusione o pragmatico nei confronti dei partiti. Il riverbero di questi orientamenti si rispecchia nel livello di vicinanza (o minor distanza) ideale verso i partiti in gara alle prossime regionali del Veneto. Trattandosi di orientamenti di valore, non necessariamente si traducono in intenzioni di voto, ma rappresentano il bacino culturale di riferimento. In questo modo, si può affermare che la prima formazione politica in Veneto è, paradossalmente il “non-partito”. Rispetto alla lunga lista di quelli in lizza alla prossima tornata elettorale, ben il 45,8% degli interpellati non si sente rappresentato pienamente da alcuna formazione. Se escludiamo quanti non individuano alcun partito, e ricalcoliamo le preferenze espresse, nessuna raggiunge una simile percentuale, nonostante il PD catturi il 35,1% dei consensi e la Lega il 26,4%. Una simile frattura si declina, poi, sull’intenzione di recarsi alle urne il 31 maggio prossimo. Il 58,7% dei veneti si dichiara sicuro di andare a votare, gli incerti sono il 32,8% e quanti sono decisamente sicuri di non partecipare sono l’8,4%. Quest’area di incertezza affligge maggiormente quanti si sentono più vicini a Forza Italia (35,7%), ma non sono pochi quelli per la Lista Tosi (28,9%), il M5S (26,8%) e la Lega Nord (24,9%). Ovvero tutti quei movimenti politici che sono attraversati da tensioni interne e scissioni, che disorientano il proprio elettorato. Fin qui il rapporto con i partiti, ma anche verso i candidati il clima non migliora di molto. Chiedendo il livello di gradimento dei futuri presidenti, ben il 42,3% non ne apprezza alcuno fra quelli in lizza, benché Zaia raggiunga il 31,8% dei consensi, doppiando la Moretti (14,8%).
Se analizziamo il livello di vicinanza ideale ai partiti con il gradimento verso i candidati, otteniamo un indice di identificazione fra candidati e partiti. Anche in questo caso Zaia tende a prevalere (88,8%), seguito dalla Moretti (58,9%), Tosi (49,9%), Berti (46,8%), Coletti (26,9%) e Morosin (27,3%). Come dire che Zaia porta in dote un forte livello di identificazione con il bacino culturale di riferimento, assai meno avviene per la Moretti, mentre gli altri non dispongono di forti elementi di coincidenza. Infine, è interessante osservare i motivi che potrebbero allontanare dall’occasione elettorale. Prevale un senso di disillusione: l’azione del voto appare inutile, priva di conseguenze reali (38,3%). Votare non serve, la situazione non cambia. Se a questo aggiungiamo che il 28,8% ritiene i politici non interessati ai problemi reali della popolazione è facile comprendere il sentimento di distacco che accomuna una parte considerevole degli interpellati. Tutto ciò, osservando anche i talk show di informazione, alimenta nell’immaginario collettivo un crescente sentimento di anti-politica. Tuttavia, non è proprio così, anzi. In primo luogo, emerge una forma di autocritica.
C’è la consapevolezza che il livello scadente della politica sia responsabilità anche dei cittadini (70,3%) e che, in fondo, i politici siano lo specchio del paese (53,5%). In secondo luogo, emerge una domanda di politica nuova, in grado di aggiornare i propri riferimenti culturali e di analisi. Il 67,7% degli interpellati ritiene che le tradizionali categorie politiche (destra/centro/sinistra) oggi abbiano perso significato, non siano più in grado di leggere correttamente la realtà. E, quindi, di indicare prospettive coerenti con le trasformazioni. Inoltre, più che avere dei politici di professione, servono persone in grado di svolgere bene la professione del politico. Di qui, la consapevolezza che sia necessaria una formazione specifica per intraprendere tale ruolo (69,4%). Inoltre, è la stessa forma partito a essere messa in discussione (55,3%). Dunque, la politica scalda i dibattiti televisivi, ma non accende il cuore della popolazione. Anzi, alimenta la distanza, la disillusione. Tuttavia, c’è anche un’assunzione di responsabilità, non solo un additare la colpa ai politici. C’è una domanda di nuova politica che necessita un’offerta diversa da quella vista finora. Ma quest’ultima richiede una nuova elaborazione culturale, una diversa vision dell’azione politica, pragmatica e non ideologica. E così facendo sarà possibile (ri)accendere la passione verso la politica.
Daniele Marini
Università di Padova
Direttore Scientifico CMR – Community Media Research
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