Partiti e politici
Accordo per il Veneto alla Lega e Zaia a Roma
Il centrodestra si presenterà unito all’appuntamento elettorale in autunno
Cominciano a delinearsi le configurazioni e le alleanze in vista delle elezioni regionali in programma con ogni probabilità in autunno. L’attuale legislatura, l’XI, si conclude il 15 ottobre quindi è presumibile che si andrà al voto in una data compresa tra la fine di settembre e la prima metà di novembre. Anche nelle ultime settimane, tutte le attenzioni sono state rivolte al centrodestra. Le tensioni per la richiesta esplicita dell’attuale presidente di potersi candidare per la quarta volta consecutiva e parallelamente dalla posizione della Lega che, Zaia o no, considera come ‘linea del Piave’ la candidatura di un proprio esponente alla carica di presidente della Regione. Per alcuni giorni si è paventata addirittura una frattura nel centrodestra con due candidati distinti, uno appoggiato da Fratelli d’Italia e Forza Italia e l’altro dalla Lega e da una civica di Zaia. Salvo sorprese o fratture improvvise tra Fdi e Lega che però a quel punto potrebbero mettere a rischio la tenuta del governo, le cose andranno diversamente.
Riassunto delle puntate precedenti
La Lega sia in regione sia a livello nazionale sì è mostrata compatta nell’appoggiare il quarto mandato, forte dei ricorrenti sondaggi di opinione in cui emerge l’ampio gradimento dell’elettorato verso Luca Zaia. Per alcuni mesi la spinta verso una quarta candidatura è andata a braccetto con le richieste del presidente della Campania, Vincenzo De Luca che ha fatto approvare in consiglio regionale una legge in tal senso. La norma è stata impugnata dal governo l’8 gennaio spegnendo di fatto anche le speranze del collega veneto. Il tema si è trascinato sulla stampa ancora per qualche giorno, con interviste a sindaci di centrosinistra, su tutti Beppe Sala, a rafforzare l’idea che i limiti ai mandati dovrebbero metterli i cittadini con il loro voto, non la legge. Un concetto apparentemente di buon senso, ma che tende a scollegare chi occupa posizioni apicali nelle istituzioni dalle formazioni politiche che li esprimono, un fenomeno non sempre foriero di ‘buona politica’. Spetta ai partiti infatti selezionare le classi dirigenti secondo pratiche che nella storia repubblicana italiana quasi sempre hanno raggiunto l’obiettivo di essere inclusive, trasversali e in grado di rendere contendibili i partiti e dunque le cariche istituzionali, ovvero il potere, anche da parte di esponenti con forti idee o grandi capacità organizzative, ma poche risorse proprie. Senza dimenticare che il collegamento con i partiti di riferimento è anche una bussola nell’adozione di azioni politiche non troppo distanti dalle istanze espresse dalle maggioranze e dai loro programmi elettorali. L’enfasi sulle leadership personali degli ultimi anni, sconta in Italia la suggestione del ‘capo’, cioè di una figura in grado di ridurre la complessità sociale e istituzionale assumendosi quel carico di responsabilità che gli elettori stanno dimostrando a più riprese di non voler assumere. Dall’aumento dell’astensionismo ai continui appelli all’autorità, i cittadini tendono ad affidarsi al leader con deleghe sempre più ampie. Quanto alla partecipazione, pare confinata ai militanti, e a gruppi di pressione che si formano intorno a cause puntuali e si dissolvono velocemente.
Ma torniamo a noi e al Veneto. Dopo l’impugnazione della legge campana da parte del governo è apparsa debolissima la chiamata ai gazebo della Lega nello scorso fine settimana per raccogliere le firme a sostegno del quarto mandato di Zaia. Le circa 12 mila firme raccolte, sono state indicate come una difesa di maniera di posizioni personali dell’attuale presidente. Non a caso il fronte si è velocemente spostato sulla candidatura. Nei mesi passati Fratelli d’Italia, che in Veneto alle politiche 2022 e alle europee 2024 ha preso abbondantemente più del doppio dei voti della Lega, aveva rivendicato la presidenza per un proprio esponente. Breve inciso, la candidatura equivale alla presidenza in una regione che è saldamente in mano al centrodestra da sempre, salvo una breve parentesi a inizio anni Novanta.
Probabile accordo politico nazionale
Le tensioni avevano reso chiara la necessità di un accordo politico più ampio, facendo rientrare la partita veneta in un contesto nazionale. Mentre le fazioni leghiste più legate al territorio e a Zaia continuavano a descrivere il Veneto come ‘linea del Piave’, a Roma si è lavorato su uno schema in grado di salvare l’immagine di fronte all’elettorato e allo stesso tempo sterilizzare Zaia e gli antagonisti di Salvini. Una fonte romana da noi interpellata, assicura che si è trovata la quadra: il Veneto rimarrà a guida leghista e la coalizione sarà unitaria. La figura individuata è quella di Alberto Stefani, classe 1992 capace in pochi anni di scalare le gerarchie leghiste: sindaco di Borgoricco (Padova) dal 2019, parlamentare dal 2018, presidente della Commissione bilaterale sull’attuazione del federalismo fiscale, segretario della Lega in Veneto e Vicesegretario nazionale della Lega accanto a Durigon. Insomma, un fedelissimo di Salvini, ma non tropo indigesto ai veneti, almeno in apparenza. Gli zaiani stanno facendo quadrato attorno al sindaco di Treviso, Mario Conte, altra figura emergente. Poco divisivo, capace di dialogare con tutti, in particolare con i colleghi del Partito democratico, anche in forza del suo ruolo di presidente regionale dell’Anci, Conte deve temere più che altro il fuoco amico. Da destra ha ricevuto attacchi pesanti da Fratelli d’Italia e da alcuni media in linea con il partito di Meloni. Il punto è probabilmente che per risarcire la mancata candidatura a presidente della regione, Fdi avrà la possibilità di correre nelle città, sempre con una coalizione unitaria. A Treviso e soprattutto a Venezia dove il senatore Raffaele Speranzon spera di prendere il testimone di un Brugnaro in uscita dalla vita politica.
Il futuro di Zaia
Altra pregiudiziale messa a Roma da chi ha lavorato all’accordo (lo ricordiamo Fdi, Forza Italia, i moderati di Lupi e De Poli e la Lega che fa capo a Salvini, ma non a Zaia) è che alle elezioni regionali non sia presentata una lista Zaia. Questo fa comodo a tutti, in primis ai sostenitori del segretario nazionale, poiché sgretola la base popolare dell’attuale presidente e lascia incontestata la leadership di Salvini, anche in veneto. Naturalmente bisogna trovare un punto di caduta onorevole per Zaia. La suggestione che abbiamo avuto è che Meloni pensi a lui per sostituire l’ormai ammaccatissima e sempre più sola Santanché al dicastero del turismo. Lo stesso pensiero lo ha avuto Carlo Bertini su ilNordEst. nuova testata del gruppo Nem. Il ministero del Turismo sarebbe una consolazione temporanea, in attesa di incarichi più prestigiosi in futuro, per la perdita di potere in Veneto.
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