Partiti e politici
Vaccini, salute pubblica in cambio di voti per Grillo e Salvini
Porto le stimmate della vaccinazione antivaiolosa, come quasi tutti quelli della mia generazione. E’ un quadratino di pelle avvizzita sul bicipide, come il segno di una brutta ustione. Da ragazzina capivo solo vagamente il senso di quella cicatrice, ne ignoravo l’origine, ma ce l’avevano tutti nel mio giro e questo un po’ ne spiegava l’inevitabilità. Confrontavo la mia con quella degli altri – ricordo questo – e non ne trovavo mai due identiche per forma o dimensione.
L’antivaiolosa veniva effettuata nei primi anni di vita, con un richiamo successivo in età scolare. Non ricordo l’episodio ma ho ben presente il contesto, lo stato d’animo. La paura di finire con il volto sfigurato, come quello del personaggio del film visto in tv: era questo il sentimento con cui si andava alla asl (all’epoca non si chiamava così) a fare il vaccino. Quanto a me non avevo alcuna esperienza di malattie. Lo spauracchio dello storpio poliomielitico era forse ancora vivo negli adulti di campagna ma per me era troppo remoto (nessun mio compagno di scuola, nessun mio amichetto, nessun amico di amici lo era).
Io associavo la vaccinazione alle vacanze in colonia (era obbligatoria l’antitetanica), dunque a un momento di libertà, di nuove esperienze e compagni di avventura. Vaccinazione significava estate, giochi estremi, cadute e incidenti – di quelli sì avevo abbastanza coscienza. La vaccinazione non mi avrebbe fatto morire di gioco, a me bastava.
Molte malattie sono state debellate così: per paura degli effetti tangibili, per l’esperienza viva del male. O forse solo per un bisogno basilare di libertà dalla malattia invalidante. Vaiolo, Poliomielite: malattie di cui non si ha esperienza. E se una malattia non si vede, se nessuno che si conosce ce l’ha, se non è mai capitato di sentirne parlare, neanche accidentalmente, è difficile che di quella malattia si possa provare paura.
Le malattie che oggi vediamo, che oggi temiamo (oltre alla vecchiaia), sono i tumori – e per quelli non esiste vaccino. Dei dieci vaccini oggi obbligatori in età scolare, quattro riguardano malattie esantematiche che quasi tutti i genitori della mia generazione hanno contratto, spintaneamente, da bambini. Erano i loro stessi genitori a favorirne il contagio: se un compagno di scuola prendeva il morbillo, la varicella o la rosolia, si organizzava una visita al capezzale con i figlioli sani perché potessero contrarla. Le si riteneva innocue nei bambini, potenzialmente gravi negli adulti. Ammalarsi da piccoli scongiurava gli effetti della malattia da grandi. Aveva senso.
Le cose da allora sono cambiate. La medicina ha acquisito nuove conoscenze e sviluppato nuovi strumenti di protezione. Si è capito ad esempio che il morbillo può essere letale anche nei bambini e che dunque ai bambini andava precluso, non favorito, il contagio della malattia.
Si è poi via via diffusa una sempre maggiore sensibilità per l’inclusione – o la non esclusione – di tutti i bambini.
Si è affermato il principio che l’istruzione fosse un diritto universale e che anche i bimbi malati e non vaccinabili avessero diritto a una vita normale. Per i bambini vulnerabili un morbillo non è potenzialmente, è certamente letale.
Il diritto universale all’istruzione e ad una vita normale è garantito dalla responsabilità condivisa di tutti a proteggere, immunizzandosi, il contesto al quale i bimbi più deboli sono naturalmente esposti: la scuola innanzitutto. Non vaccinarsi quindi non è una forma di legittima autodeterminazione da difendere, ma un atto di segregazione coatta contro i più vulnerabili tra i vulnerabili, un’apartheid odiosa.
Il principio della universalità del diritto alla salute viene oggi sconfessato dalla sfiducia nelle istituzioni e dal conseguente rifiuto ad assumersi, come cittadini, la responsabilità verso gli altri. Si sospetta la farmaceutica di essere senza scrupoli e le autorità sanitarie di esserne asservite. Si assimila la scienza a un’opinione. Si sospetta che anche dietro la scienza ci sia del marcio, che anche la verità scientifica sia manipolata.
Nell’esperienza di molti, le istituzioni sanitarie che dovrebbero tradurre la scienza in salute sono rappresentate da primari lottizzati, dal medico che prescrive i farmaci che l’informatore entrato con la sua valigetta due persone prima lo ha incoraggiato a prescrivere; da farmaci che potrebbero dare la guarigione definitiva ai malati di Epatite C ma che non possono essere dispensati a tutti i malati perché troppo costosi, costringendo le autorità a selezionare in base a dei criteri di priorità: tu sì, tu no.
Un tempo il medico ordinava, e per quanto fastidioso, invasivo, doloroso, il suo ordine era per definizione nel nostro bene. Ora boh! Mi darà quel farmaco perché mi serve o perché ha interesse a prescriverlo? Mi garantisce che le vaccinazioni non provocano alcun pericolo perché è costretto o perché ci crede davvero? Insomma non ci si fida.
Sulla sfiducia spesso fondata verso le autorità i grillini hanno conquistato la fiducia per sé. Ora le istituzioni sono loro, non sono più in mano a quelli che negli ultimi trent’anni bla bla bla bla. Ci si aspetta che la diffidenza venga via via convertita in fiducia. Vediamo come.
La politica vaccinale del governo del cambiamento è stata forgiata da una sterminata letteratura scientifica – tra cui gli spettacoli di Beppe Grillo – e tracciata in un’intervista radio dall’immunologo di fama mondiale Matteo Salvini.
D’altronde il governo assicura che in Rete le bufale si spazzano via in cinque minuti con il fact checking. E se le perle di buon senso medico di Grillo e Salvini sono ancora là, non può essere solo questione di SEO!
Il Ministro della salute Giulia Grillo – un medico – è stata posta di fronte a un abisso concettuale, etico da un comico e da un giornalista: l’obbedienza alla propria, intimidatoria parte politica o la responsabilità di tutelare la salute pubblica e preservare l’istituzione sanitaria dal perseguimento di interessi particolari – economici o elettorali. Non le si può fare una colpa per aver ceduto sui vaccini: il manganello digitale ammazza in pochi clic.
Oggi i vaccini, domani le terapie anti-cancro. La scienza è sconfessata dal potere politico e il potere politico rende norma quello che è popolare. Non c’è motivo di dubitare che anche le famose invettive del blog contro le mammografie potranno assurgere al rango di legge.
Il fatto è che la scienza è la dimensione umana più lontana dalla democrazia istantanea online – che va tanto per la maggiore. Non ammette ignoranza, non guarda la popolarità ma i fatti, le evidenze. Non ammette prove che non siano replicabili. Non consente discrezionalità. E’ selettiva. Non da verità definitive. Si nutre di dubbi, è curiosa e questo genera conoscenza. La conoscenza oggettiva. Le evidenze scientifiche non possono essere annullate per volontà popolare. Per volontà popolare si può invece annullare – con la scienza – la democrazia. E nessuno qui mette in dubbio la popolarità del governo del cambiamento.
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