Partiti e politici
Unioni civili. Renzi usi la stessa fermezza di Job Act, Buona Scuola e Italicum
Com’era prevedibile, alla vigilia dell’approdo in aula del Disegno di Legge Cirinnà, c’è chi nel Partito Democratico si prepara a una dura opposizione sui punti essenziali della riforma, dai diritti delle coppie gay alla tanto temuta stepchild adoption, utilizzando lo spauracchio dell’utero in affitto per sabotare l’impianto della legge. Lo scoglio più difficile sarà ancora una volta il Senato, dove i numeri sono più risicati rispetto a Montecitorio.
E se a mobilitarsi contro la riforma sono stati soprattutto i cattolici dem, non è affatto da escludere che qualche esponente della minoranza possa approfittarne per far inciampare il governo su un provvedimento così tanto atteso. In fondo, se gli esponenti della “vecchia ditta” si fossero distinti per coerenza e lungimiranza, forse oggi il Partito Democratico non sarebbe sotto la gestione di “Leopolda S.p.a.”. Tra le varie voci spicca l’ambiguità Bersani, che pur sostenendo la legge, ha lasciato intendere in un’intervista a Repubblica, che potrebbero servire ulteriori mediazioni per “rassicurare” il mondo cattolico. Non è però chiaro quali altre mediazioni siano possibili, dato che già il ddl Cirinnà è di per sé una soluzione assai più soft rispetto a quelle applicate da molti altri paesi.
Ma illazioni a parte (ammesso che siano tali), è indubbio che Renzi si trovi oggi di fronte a una prova che non può assolutamente prendere sotto gamba, perché un eventuale annacquamento della legge sulle Unioni Civili sarebbe un duro colpo alla credibilità dell’esecutivo e dello stesso Partito Democratico, atteso dalla difficile prova delle amministrative in molte delle principali città. Ciò che ancora non è del tutto chiaro, al netto delle dichiarazioni di queste ultime ore, è quanto il premier sia consapevole della portata storica di una legge che pur non essendo la migliore possibile, posizionerebbe l’italia tra quelle democrazie compiute dove lo stato riserva pari dignità a tutti gli esseri umani, senza anacronistiche discriminazioni di genere. Un passaggio obbligato ormai imposto dalla realtà e che può essere agevolato dalla debolezza della principale istituzione che lo ha sempre avversato, quella Chiesa Cattolica dilaniata da lotte di potere e scandali sessuali.
L’impressione è che ci sia la volontà di portare a casa il risultato ma – per usare le parole dello stesso Renzi – “senza alzare muri ideologici, ma con il dialogo”. Quindi una legge sì, ma senza usare la stessa fermezza e le stesse “tappe forzate” imposte alle camere per portare a casa provvedimenti come Job Act, Buona Scuola e Italicum. Se così fosse il premier commetterebbe un grave errore, perché il scrosanto diritto di due individui di sposarsi e diventare famiglia a tutti gli effetti, così come il diritto del figlio di uno dei due membri della coppia di non essere considerato “illegittimo” agli occhi dello stato, non è meno importante di una riforma del mercato del lavoro, delle assunzioni dei docenti precari, del modo con cui si eleggono i deputati e i senatori.
Quello che invece è sempre più chiaro, è che nel PD ci sia qualcuno di troppo. Perché se è vero che il partito fondato da Walter Veltroni nasce come una sintesi tra il mondo del cattolicesimo democratico e quello della sinistra riformista, è altrettanto vero che tra i suoi principi fondativi c’è il rispetto della laicità dello stato. Una laicità che non può ammettere ingerenze di gruppi d’interesse mossi da sentimenti religiosi o peggio imboccati dalle gerarchie vaticane. Una posizione che è stata poi ribadita in tutti i congressi che si sono svolti, compreso l’ultimo. Ne consegue che considerare un gay un “diverso” è tecnicamente incompatibile con d’adesione al PD.
Bene ha fatto quindi Cristiana Alicata, membro della direzione nazionale dem, a invocare l’espulsione dell’europarlamentare Silvia Costa che aveva parlato di lobby gay, espressione degna del peggior Giovanardi e assolutamente incompatibile con i valori del partito che le ha dato la possibilità sedere su uno scranno dell’Europarlamento. Un partito che avrà pure tanti limiti e un personale politico mediamente discutibile, ma che rispetto a un Movimento 5 Stelle qualsiasi conserva ancora qualche idea chiara, almeno sui macro temi.
Ora tocca a Renzi, dunque. Se deciderà di blindare la legge come ha fatto con gli altri provvedimenti, spendendosi in prima persona per una sua veloce approvazione anche a costo di provocare più di un mal di pancia tra i suoi fedelissimi, dimostrerà di non essere più il Renzi che nel 2007 sosteneva le ragioni del Family Day. Ma soprattutto ne guadagnerà in credibilità, sia come premier che come segretario del suo partito.
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