Partiti e politici
Unioni civili, non ce lo chiede l’Europa
Il dibattito sul tema delle unioni civili è definitivamente entrato nel vivo, con la trattazione in aula del tanto discusso ddl Cirinnà. È un tema che mi tocca molto da vicino. Innanzitutto sento la vicinanza con le tante persone che, come me, in questo periodo, stanno esprimendo in modo pacifico e al tempo stesso convinto la propria contrarietà a un disegno di legge con diversi punti critici: penso alle tante famiglie che si sono recate a Roma per manifestare in modo democratico e civile la loro posizione attraverso le manifestazioni delle Sentinelle in piedi (magari le manifestazioni di piazza fossero sempre così ordinate!).
Mi sento inoltre coinvolto proprio come rappresentante in seno alle istituzioni europee, dal momento che i sostenitori della legge Cirinnà invocano spesso come argomento a loro favore un pronunciamento della Corte europea di Strasburgo. Argomento che lascia molto perplessi, per due motivi: primo, perché risulta strano che l’Europa venga sbandierata a momenti alterni, e a seconda delle comodità, o come un mostro da cui liberarsi (Renzi in questo momento si sta particolarmente specializzando in questa pratica), o come al contrario un’istituzione che esprime comandi a cui non possiamo sottrarci; secondo, perché non si tiene conto che su materie come famiglia e diritti civili l’Europa non può in alcun modo interferire nelle attività degli Stati, che sono totalmente sovrani.
Il ddl Cirinnà è un testo di legge che non punta alla giusta tutela degli omosessuali, ma mira all’eliminazione del principio naturale e costituzionalmente sancito della centralità della famiglia nella società.
Gli omosessuali nella nostra Europa hanno il diritto di vivere in piena libertà e per fortuna con sempre meno discriminazioni la loro affettività, come meglio credono, senza imposizioni esterne, senza costrizioni. Il punto dirimente però è se il loro rapporto affettivo debba diventare ciò che non è, ovvero una famiglia. Questo non significa discriminare, o sancire che quel rapporto è «qualcosa di meno». Anche l’amicizia è una cosa bellissima: ma non discrimino i rapporti di amicizia dicendo che sono altra cosa rispetto alla famiglia.
La famiglia non merita tutela in quanto valore tradizionale, in quanto aspetto culturale, ma nella sua qualità di legame affettivo stabile, aperto alla generazione della vita. Ciò la pone per sua stessa natura in un posto di rilievo e di unicità tra le formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità dell’individuo.
E qui veniamo ai diritti del soggetto più debole e indifeso. Il bambino ha diritto ad avere un padre e una madre. Uno Stato che si arroga il diritto di togliere o aggiungere diritti a proprio piacimento è uno Stato etico, che evoca oscuri ricordi. Lo Stato liberale fa quello che la nostra Costituzione sancisce: «riconosce e garantisce» i diritti. Li riconosce, appunto. Né li nega, né tantomeno li inventa.
Senza questo sforzo di ragione sul tema dei diritti, tutto viene ridotto a posizione ideologica o confessionale e alla fine ci si affida alla legge della maggioranza, che è certamente centrale in democrazia, ma che senza argomenti rischia di diventare molto fragile, e di avallare pericolose derive, come quelle che nel secolo scorso abbiamo visto realizzarsi grazie proprio al consenso delle maggioranze. Ragioniamo, confrontiamoci in maniera civile e intelligente. Solo dopo avremo modo di prendere le decisioni che riteniamo migliori.
(l’autore è parlamentare europeo aderente al gruppo del PPE)
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