Partiti e politici
Un’alleanza mai nata perde quasi sempre, la Liguria ci ricorda anche questo
Marco Bucci è il nuovo presidente della Regione Liguria. Al termine di uno scrutinio che registra anzitutto, una volta di più, la disaffezione crescente degli elettori alla pratica democratica, con una partecipazione che si ferma al 46% degli aventi diritto, il sindaco di Genova, candidato del centrodestra, ottiene una vittoria di misura che, però, politicamente, vale molto. Vale più degli ottomila voti di vantaggio, su circa 600 mila validamente espressi, e del punto e mezzo di differenza percentuale. Vale molto, anzitutto, perchè esclude la possibilità più temuta dalla presidente del consiglio e dai suoi alleati, e cioè che a questo turno di elezioni regionali finisse tre a zero per il centrosinistra. Se anche il “campo largo” dovesse vincere in Emilia Romagna (esito certo) e nell’Umbria governata oggi dalla destra (esito probabile), la coalizione che governa a livello nazionale potrà comunque rivendicare di aver evitato il cappotto. E di aver vinto nella regione colpita da uno scandalo politico-giudiziario che appena un mese fa sembrava garantire un comodo successo agli avversari.
Il risultato è rilevante, naturalmente, perchè consente a chi governa di tirare un bel respiro. Ma è soprattutto importante per quel che dice delle opposizioni, e del loro faticoso percorso di avvicinamento alle prossime elezioni politiche e, più in generale, al tentativo di costruire una coalizione capace di sconfiggere proprio il centrodestra. Il “campo largo”, minato nella sua ampiezza dal veto di Conte posto sulla presenza di Renzi e dei suoi nelle liste, si trova sconfitto in una Regione nella quale – per quel che vale – alle elezioni Europee della scorsa primavera era ampiamente maggioranza, e nella quale la somma dei partiti che componevano la coalizione a sostegno di Andrea Orlando superavano comodamente il 50 per cento dei voti, e sopravanzavano il centrodestra di decine di migliaia di voti. Non è bastata, evidentemente, la candidatura di un politico ligure di prima fascia, Andrea Orlando, senza dubbio simbolo di una lunga stagione del centrosinistra italiano. La candidatura di Orlando, per certi versi, è una delle candidature più simboliche per l’ipotesi di un’alleanza che va da Renzi a Conte, e vale la pena di provare a ricordare perchè.
Orlando è uno degli ultimi prodotti della scuola di politica del Partito Comunista Italiano. Seppur solo ventenne, quando cadde il Muro di Berlino, ha iniziato a fare politica, da giovanissimo, proprio nelle file del PCI. È parlamentare dal 2006, in una legislatura breve ma iniziata con Prodi presidente del consiglio, membro fondatore del partito democratico, tra i prediletti di Giorgio Napolitano. Ministro con Letta, con Renzi, e con Draghi. Nel partito democratico, tra i vasi di coccio è da lungo tempo vaso di ferro, spesso in maggioranza, sfidò Renzi dopo aver trovato una convergenza con lui. Alle ultime primarie, forse senza entusiasmo ma senza cedimenti pubblici, Orlando ha sostenuto Elly Schlein, da sempre fautrice del campo largo. E da sempre lo stesso Orlando è sostenitore dell’ipotesi di un allargamento del perimetro con i Cinque Stelle, ma nessuno, in buona fede, può considerarlo un massimalista. Tanto è vero che sul suo nome Calenda e Renzi, sempre in disaccordo su tutto, non avevano obiezioni: e sono stati gli adepti di Conte a volere fuori Renzi che oggi proprio a questa scelta imputano la sconfitta. Probabilmente Orlando avrebbe perso comunque, dato il poco seguito che ormai accomuna renziani e cinque stelle. Ma anche la polemica tra stelle cadenti rende bene il clima nel quale si dibattono gli oppositori di Giorgia Meloni.
È per questo che il risultato della Liguria, politicamente, pesa molto. Perchè, nella regione di Beppe Grillo, dopo gli scandali, e forte di una candidatura di peso personale e simbolico, questa sconfitta testimonia la tenuta di fondo di un blocco politico e antropologico, quello del centrodestra, e la sua solidità di fronte a un’alleanza che, nella società e nell’agone politico, non è davvero mai nata. Non basta la matematica, che ricorda una volta di più che senza un’unità complessiva delle opposizioni le destre continueranno a governare. Serve la politica che costruisca una formula. Se non la si è trovata finora, è ragionevole pensare che sia davvero troppo tardi.
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