Partiti e politici
Una Spagna con poca Vox ma molto Sanchez
Come sempre, quando si parla di elezioni, le aspettative contano quasi se non più dei risultati elettorali veri e propri, e ne determinano i giudizi ex-post. E così è stato anche per quanto riguarda le consultazioni spagnole di domenica scorsa. Per “colpa” dei sondaggi degli ultimi mesi, le previsioni avevano già assegnato la Spagna al centro-destra, con una larga vittoria dei popolari e una significativa aggiunta dei consensi per la destra di Vox, per arrivare alla maggioranza assoluta nel nuovo parlamento.
E forse, anche in Spagna, è accaduto ciò che nel nostro paese sta diventando quasi una sorta di “regola elettorale” degli ultimi 3-4 anni: la destra riesce a vincere più facilmente quando l’affluenza è bassa; con un tasso di partecipazione intorno al 70%, la sinistra iberica è riuscita a contenere le perdite.
Sì, perché alla fine le due coalizioni si sono equivalse come percentuali di voti: il centro-destra è stato scelto dal 45,5% circa degli elettori (+2,5% rispetto al 2019), il centro-sinistra dal 44% (+0,5%). E questo è quel che conta, se ci mettiamo dalla parte dell’elettore, che ovviamente non ragiona in termini di seggi (chi lo potrebbe mai fare?) ma in termini di offerta politica.
Da questo punto di vista, occorre sottolineare come l’errore demoscopico più evidente non sia stato il sovra-dimensionamento di Vox (che ha ottenuto più o meno ciò che si ipotizzava) né quello relativo al PP, in arretramento di un paio di punti soltanto, quanto la rimonta finale del PSOE, sia in termini di voti (quasi 4 punti in più delle previsioni) che di seggi (una quindicina più dei previsti, riportandolo alla numerosità che aveva nel 2019).
Se immaginassimo di osservare unicamente i dati del voto, ci troveremmo a concludere che, di fatto, poco è cambiato nel panorama politico spagnolo, nonostante in realtà sia accaduto qualcosa di piuttosto rilevante in questo periodo, che pochi hanno sottolineato: il definitivo tramonto di due dei più interessanti esperimenti di offerta politico-elettorale, i movimenti “digitali” Ciudadanos e Podemus.
Sono stati per almeno un decennio, in contemporanea con il nostro Movimento 5 stelle, due attori che parevano poter mutare, se non sradicare completamente, l’antico spettro partitico, con la possibile e definitiva scomparsa dei tradizionali partiti. Una fine non entusiasmante, per entrambi: Ciudadanos è confluito nei popolari, facendogli incrementare di molto il numero di consensi; Podemos è entrato nella sinistra di Sumar, che ha di fatto conseguito la sua stessa percentuale di voti.
Oggi, la loro assenza non ha evidentemente preoccupato nessuno, e il duello principale è tornato nelle mani di PP e PSOE, come ai vecchi tempi, con il tradizionale equilibrio tra le due coalizioni, rotto solo temporaneamente dal crescente o decrescente appeal dei loro leader, che fossero stati Gonzales, Zapatero o Sanchez da una parte, o Aznar, Rajoy o Feijòo dall’altra.
Quale fattore dunque, alla prova del voto, è riuscito a modificare quello scenario che i sondaggi avevano previsto, cioè la vittoria delle destre più o meno moderate? Paradossalmente, sono state le stesse indagini demoscopiche, con il loro vaticinio, a ri-mobilitare un elettorato socialista forse un pochino in disarmo. Preoccupati per la possibile deriva troppo di destra, molti degli elettori di sinistra si sono sentiti in dovere di non disertare le urne e di tornare a fornire il loro appoggio al premier uscente, quel Pedro Sanchez che forse più di tutti gli altri può dichiararsi soddisfatto dell’esito elettorale.
In attesa, forse, di nuove elezioni…
Università degli Studi di Milano
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