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Squalifichiamo per qualche settimana Buonanno dai talk show?
Lo spettacolo andato in scena a Piazza Pulita, su La7, non può essere derubricato a momento di confronto politico. Il riassunto è molto semplice (a fine articolo c’è il video che testimonia): l’eurodeputato della Lega, Gianluca Buonanno, ha definito i rom «feccia della società», mentre si rivolgeva a Djana Pavlovic, attivista di etnia rom. E, non contento, l’esponente del Carroccio ha ribadito il concetto quando la donna non ha voluto stringergli la mano al momento di lasciare lo studio. Chiederle il fair play dopo quelle parole era oggettivamente troppo: di fronte alle provocazioni – leggasi anche insulti – ha mantenuto anche un aplomb invidiabile.
Un evento del genere deve perciò essere evidenziato. Nel dibattito pubblico, quindi nei confronti televisivi, ognuno deve esporre le proprie idee, ma conoscendo il senso della misura. La propaganda politica non può tracimare nell’insulto indistinto a un’intera etnia, facendo la rozza equazione rom uguale ladri. Appare ovvio che laddove esistono situazioni di illegalità, bisogna intervenire. Ma non è concepibile una “guerra ideologica” e di matrice razzista secondo cui i «rom sono la feccia della società».
La provocazione nei confronti di Gianluca Buonanno – peraltro non proprio nuovo a comportamenti eccessivi – è molto semplice: una “squalifica” di qualche settimana dagli studi televisivi. Un segnale, una piccola sanzione per ricordare che prima di tutto serve educazione e rispetto reciproco. I calciatori, che in un momento di “follia” rifilano una gomitata all’avversario o insultano l’arbitro, incappano in una sanzione del Giudice sportivo. Perché non applicare un ‘regolamento’ simile agli ospiti di un talk show che perdono la testa, ovviamente non solo a Buonanno?
Beninteso, non voglio imbavagliare né impedire all’eurodeputato di esprimere i propri pareri, ci mancherebbe. Per questo ci sono i social network, i comunicati stampa, i comizi in piazza, oltre agli interventi nell’Europarlamento e tutto ciò che mette a disposizione oggi la società per comunicare all’esterno. Ma, dinanzi a un messaggio di sostanziale incitamento all’odio in tv, bisogna dimostrare che i talk show sanno autoregolarsi, anche a costo di rinunciare a qualche decimale di share. E peraltro – come accennato – questa “leggina” andrebbe applicata per tutti, quindi senza accanimento verso l’uno o l’altro.
Qui, infatti, non c’entra “Je suis Charlie” e il sacro principio della libertà di espressione, bensì la considerazione che la libertà personale non può tracimare nell’insulto verso l’interlocutore.
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