Partiti e politici
Una Pasqua molto italiana: l’inverno demografico e l’eterno Berlusconi
I giorni di Pasqua, per i credenti di fede cristiana, celebrano la morte e la resurrezione di Gesù. Per tutti, anche per chi non ha la fede, o non ha quella fede, la storia evangelica della Passione è un’occasione di riflessione attorno ai temi esistenziali più importanti: la fine della vita umana; il coraggio della lealtà fino all’estremo sacrificio contrapposto al tradimento degli amici e dei sodali di una vita; quel che ciascuno di noi può o vorrebbe lasciare di sè, come ricordo ed esempio, a chi resta in vita; solo per dirne alcuni.
Le coincidenze, a volerle cercare, si trovano sempre e quindi non mi dilungherò. Tuttavia, è proprio nella settimana di Pasqua che le due più importanti notizie nazionali registrate dai media riguardano le cose prime e ultime della vita. La lotta per continuare a vivere di Silvio Berlusconi, il più rilevante uomo pubblico italiano degli ultimi decenni, è entrata nel vivo tra mercoledì e giovedì, quando l’aggravarsi delle sue condizioni cliniche hanno portato a un ricovero nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale San Raffaele, diretto dal suo medico di fiducia Alberto Zangrillo.
Non è la prima volta che la salute dell’ex presidente del Consiglio e dell’eterno protagonista degli immaginari nazionali è al centro della scena. Auguriamo a Silvio, di cuore, che non sia l’ultima. Questa volta, complice l’età che rende ineluttabile anche i destini che sembrano meno coerenti con la lunga durata di un successo mondano, la nazione è sembrata prepararsi all’evento con più esplicitezza. Perfino nelle interviste dei più o meno fedeli, tra un atto di fiducia nell’eternità del Nostro e l’altro, si accettava di parlare di un “dopo”. Tutti hanno limato e aggiornato i coccodrilli che giacevano depositati e stratificati negli archivi. Molti hanno iniziato a ragionare a mezza voce di cosa succederebbe alla scena politica se, qualora. Di cosa succederà quando. Di cosa potrà accadere dopo. Fa una certa impressione vedere che, anche dalle parti di chi lo ha per anni o decenni considerato il male peggiore che potesse capitare, ci si chieda oggi di cosa resterà dell’àncora moderata del centrodestra a trazione “estremista”. Come se fossimo nel tempo in cui i voti berlusconiani in purezza erano ogni volta più di dieci milioni, e in molti arrivavano dai ricordi moderati di chi aveva temuto per una vita i comunisti. Come se Giorgia Meloni fosse davvero ancora e solo la sovranista pericolosa per gli assetti europei che, invero, è stata solo per una breve stagione che ha furbamente nascosto sotto il tappetto dal quale ogni tanto si agitano le braccia tese dei camerati che – per definizione – sbagliano. Per i bilanci e le prospettive concrete ci sarà tempo. Mi consento però una scommessa che vale quel che vale, come una monetina da 5 centesimi lanciata in mezzo al mare: di Forza Italia non sopravviverà niente. I suoi parlamentari correranno verso altri lidi in corso d’opera, e nel quadro attuale il lido più attraente e ambito sarà quello del mare di Ostia governato da Meloni. Quei voti, quelli che restano, dureranno quanto dura la vita degli umani. Nessuno è eterno, neanche Berlusconi: figuriamoci gli altri.
Coerentemente con lo sguardo politico del paese, che punta al passato, i segni di un futuro che fatica a nascere sono chiari nella società, nei numeri che con precisione la descrivono. È stato molto discusso, in questi giorni, il rapporto dell’Istat sulla situazione demografica della nazione. Continuiamo a calare, a essere meno di quanti eravamo l’anno precedente. Questa volta il calo dei residenti in Italia è particolarmente sensibile, perchè il saldo negativo è pari a quasi 180 mila persone, e il record negativo del 2022 riguarda in particolareil numero di nati: meno di 400 mila, per la prima volta nella storia. Un paese sempre più vecchio, che fa sempre meno figli – 1,24 per ogni madre, ampiamente sotto il tasso di sostituzione -, che continua a non avere uno sguardo razionale sul futuro rispetto all’immigrazione, alla capacità di attrarrla e governarla, ma che ne parla solo in termini di propaganda, a beneficio – per l’appunto – delle vecchie mentalità che si respira nei bar di provincia. Che laggiù gli stranieri spaventino è normale, e capita da che mondo e mondo, in tutto il mondo. È invece grave che chi guida un paese non trovi le chiavi culturali e verbali per spiegare che di una politica di natalità per chi c’è e di apertura intelligente e ambiziosa per chi arriva da altrove abbiamo disperatamente bisogno, se non vogliamo che una dopo l’altra chiudano tutte le nostre aziende. Del resto, basta guardare a quel che racconta chi si occupa di edilizia e di costruzioni di qualità, stretto tra il passato dei superbonus e il futuro scorsoio del PNRR per capire che, tra i tanti problemi che abbiamo, è che in cerrti segmenti non ci sono abbastanza professionalità di qualità e, contestualmente, dall’altra parte, in molti pezzi di paese c’è perfino troppa gente che non sa fare molto, e che comunque non ha nulla da fare.
Pasqua serve, dopotutto, a pensare che con la morte non finisce tutto. Che il futuro esiste e la vita umana è fatta per pensarsi in un tempo che trascende i destini dei singoli, necessariamente caduchi e finiti. Le due notizie della settimana – così diverse tra di loro – ci ricordano di quanto, davvero, ne abbiamo bisogno. Come abbiamo bisogno di un elemento che accompagna sempre questi giorni: coltivare gli affetti, le amicizie, la libertà di rapporti veri che spesso trascuriamo e la vita non ci consente. Quel che la pandemia ci ha tolto questa Pasqua ci restituisce definitivamente. È l’anno giusto per ricordarci che niente è scontato, che molte cose sono una fortuna e che come tutte le fortune vanno meritate e coltivate. Non ci pensa più, ormai: ma anche a costruire prospettiva e memoria serve la buona politica.
E buona Pasqua a tutti noi.
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