Partiti e politici

Una minoranza e una sinistra allo sbando

31 Marzo 2015

Ho seguito sommariamente la Direzione del Partito Democratico, dove si doveva votare sulla legge elettorale, l’Italicum. Una Direzione che mi ha fatto a volte sorridere e spesso scuotere il capo, sentendo parole e prese di posizione che definirle strumentali sarebbe poco. A partire dallo stesso Matteo Renzi, che ha volutamente forzato la mano chiedendo questa votazione per assestare un nuovo colpo ad una minoranza sempre più allo sbando. Una forzatura che gli è stata fatta presente anche da Roberto Giachetti, non certo un suo oppositore, durante il suo intervento.

Ma dicevo dello sbando della minoranza Pd. Oggi Alessandro Gilioli scrive loro una piccola lista di sette punti che li ritrae in modo spietatamente perfetto: sono diventati quasi una macchietta, spesso ogni loro critica (vero D’Alema?) finisce per portare ulteriore consenso a Renzi, lanciano ultimatum che non sono più credibili perché sempre disattesi e, infine, risultano non più credibili per tutto ciò che hanno sempre detto (e fatto) in passato.

Non puoi dire una cosa per anni e ora dire il contrario. Certo, mi potrete dire che anche Renzi oggi fa spesso il contrario di quello che affermava tempo fa. E tanti glie lo fanno notare, lo criticano aspramente e giustamente per questo. Ma come detto non è l’unico. E allora ricordiamo a Stefano Fassina, pasdaran della vera-sinistra-vera, quello che ritiene un reato di lesa maestà qualsiasi sguardo verso il centro, che il 3 settembre del 2012 alla Festa del Pd di Torino disse: “L’alleanza sarà fatta con Vendola, ma pur di governare poi potremo trovare accordi con Casini”. Già, allora in maggioranza c’era lui, in prima fila per un posto al governo in caso di vittoria alle elezioni c’era lui, e allora pur di governare si poteva fare tutto.

Chiedono posizioni nette, che abbiano posizioni nette. Per dire: non si può restare in un partito e poi sostenere in un’elezione regionale un candidato che va contro quel partito. Succede in Liguria, dove Luca Pastorino lascia il Pd e si candida alle regionali, anche contro il Pd, che invece candida Raffaella Paita. E Pastorino, civatiano, raccoglie il sostegno di Pippo Civati oltre che dell’associazione civatiana È Possibile. Stare in un partito ma fargli la guerra in un’elezione regionale: un cortocircuito da mal di testa. Un cortocircuito che, in forme diverse, investe tutta l’area di sinistra del Paese.

Sarei contento se nascesse un vero partito di sinistra. Serve, e allo stato attuale se ne sente la mancanza. Il Pd non può esserlo, ma non possono esserlo nemmeno quella sterminata pletora di partelli e associazioni che si combattono il primato di alternativa a questo Pd. Renzi sarà stato troppo brusco col tema della rottamazione, ma aveva centrato in pieno uno dei più grandi limiti della sinistra: la sua incapacità cronica di operare un ricambio che non sarebbe solo di persone, ma soprattutto di idee. Per stare al passo con il mondo che cambia serve cambiare, anche profondamente.

È ormai non più rimandabile il passo indietro. Non è più rimandabile perché la sinistra continua a essere in una condizione di costante perdita di credibilità. Lo è per la minoranza Pd, lo è per tutti quei dirigenti di sinistra che accusano Renzi di non avere il contatto con la realtà, ma che dimostrano loro per primi di non averlo più da un pezzo. Lo chiede Gilioli, ricordando che alla lunga gioverebbe anche alle loro reputazioni. Lo diceva anche Pierluigi Bersani nel 2012, a commento delle primarie del centrosinistra a Palermo: “Siam tutti qui da vent’anni, è ora di toglierci dai coglioni”. E invece, sono ancora tutti qui. Tutti a sbandare senza più controllo.

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