Partiti e politici
Perché No – Il rischio di una riforma “rigida” che toglierà la parola al popolo
Popolo di abitudinari, ci avevano assuefatto a credere che questa sarebbe stata l’ultima occasione per modificare (sottinteso: “in meglio”) la Carta Costituzionale, dopo circa settant’anni di indispensabili e dotti ma invariabilmente infruttuosi tentativi.
Ora scopriamo invece che – se passerà questo progetto governativo – si tratta forse dell’ultima possibilità che il ”popolo sovrano” avrà (avremo) di intervenire o di stimolare altri ad intervenire sul prossimo assetto della Costituzione. La scoperta non è di chi firma questo post ma se ne rinviene la fonte in un interessantissimo articolo, a firma di Michela Cella, intitolato “C’è un combinato nascosto: se vince il sì, la costituzione non cambia più” che dovrebbe lasciare un po’ tutti con il cardiopalmo.
Ed invero, il nuovo assetto di un Senato “senza fine” (solo la Camera ha una durata predeterminata: art. 60; e può essere prorogata e sciolta: art. 88), caratterizzato dall’interna composizione estremamente variabile nel tempo (legato com’è alle vicende dei Consigli regionali e dei Sindaci, forse più nominati che eletti); e dunque di fatto sempre incontrollabile, e nel contempo anche largamente “inaffidabile”, renderà estremamente difficile (se non impossibile) ricorrere in tempi ragionevoli al sistema descritto dall’art. 138 della Costituzione, il cui testo è destinato e rimanere invariato anche dopo la riforma, se questa passerà. Norma che, per l’appunto, postula che le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali vengano concordemente adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, ed approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
A questo punto ci si rende conto di un’ulteriore e pur grave “dimenticanza” dell’improvvisato ed incompetente legislatore costituzionale il quale, pur avendo fortemente inciso sulla condizione del Parlamento e, in particolare, del Senato, non ha ritenuto necessario intervenire anche sull’art. 138 che per l’appunto presuppone quel “bicameralismo paritario” sul quale il progetto di riforma intende profondamente intervenire.
A meno che non si voglia supporre che dietro questa “dimenticanza”, non si celi invece il perfido intento di cristallizzare per l’infinito un nuovo assetto del nostro Parlamento e delle nostre fondamentali Istituzioni.
Onde val la pena di ricordare, per sommi capi, alcuni dei punti inaccettabili di questa “riforma”, tutti ben noti e che è possibile riassumere come segue:
1- iniziativa promossa, sostenuta e sollecitata da un Governo, che dovrebbe stare solo alla finestra, composto da soggetti privi di mandato popolare; e da un Parlamento eletto sulla base di una legge dichiarata incostituzionale (Corte Cost. n. 1/2014);
– costante riduzione dei margini riservati alla “sovranità” che “appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”:
– diminuzione o esclusione di alcuni poteri dei cittadini-elettori (nomine di secondo grado, per i consiglieri degli Enti di Area Vasta e per i senatori)
– incremento delle firme per le leggi di iniziativa popolare (da 50.000 a 150.000) con una solo apparente concessione di concludere in tempi, forme e limiti stabiliti dai imprecisati e futuri regolamenti parlamentari;
– intento solo promesso di favorire la partecipazione dei cittadini (anche con referendum popolari propositivi e d’indirizzo ed altro), secondo condizioni ed effetti stabiliti da future norme costituzionali od ordinarie;
2- generale fuga dalla giurisdizione, evidenziata anche dalla proliferazione delle materie riservate ai regolamenti parlamentari, in precedenza menzionati solo in due articoli (sette nel nuovo); di particolare rilievo il penultimo comma dell’art. 70: i Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, secondo le norme dei rispettivi regolamenti;
– l’art. 64: i diritti delle minoranze parlamentari (contenuti e garanzie) affidati ai regolamenti delle due Camere; lo statuto delle opposizioni contenuto nel regolamento della sola Camera dei deputati (contorni e tutela dovrebbero invece essere inseriti all’interno della Costituzione);
3- forte diminuzione delle autonomie territoriali in contraddizione con un Senato che in parte (almeno per 95/100) rappresenterebbe le istituzioni territoriali (artt. 55 e 57 novellati), tra i cui componenti (che non rappresentano la Nazione ma solo sé stessi: art. 55 citato), da eleggere con modalità per ora sconosciute con la partecipazione soltanto di alcune Regioni a statuto speciale; e la riduzione degli attuali poteri e competenze, rispetto agli odierni articoli 117 e seguenti
4- vari inconsueti vincoli in tema di emanande leggi elettorali (art. 57 nuova Costituzione; art. 39, nn. 1 e 2, del DDL costituzionale governativo di riforma, etc.).
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