Partiti e politici

Un popolo che non festeggia è un popolo di cui diffidare

5 Dicembre 2016

Pensavo il Paese più intelligente di Renzi. Pensavo gli resistesse, non facendosi tentare dalla vendetta, dal rancore, dalla soluzione estrema, e invece in questi mesi ha preparato con cura, nel segreto delle case, un gigantesco, memorabile, calcio nei coglioni. Lo credevo più intelligente soprattutto nella valutazione del personaggio, lui stesso sorpreso nella notte più amara che “mi odiassero così”. Quel sessanta per cento che lo considera una persona pericolosa – è la mobilitazione che parla – non si raduna così poderosamente se non ha la percezione di un pericolo incombente, un’inquietudine diffusa che si alimenta nel passaparola, che chiama alle uniche armi possibili della democrazia, che sono poi le urne.

Ma la domanda è: questo signor Matteo Renzi è davvero così pericoloso da meritarsi tutta questa attenzione, attenzione ch’ebbe solo un suo illustre predecessore dai “meriti” infinitamente più significativi? Oggi sui social è tutto un fiorire di mestizia rivestita a festa. Nessuno che oggi, a cose fatte, abbia il coraggio di postare il suo grido di entusiasmo, come in realtà toccherebbe ai vittoriosi di ogni elezione, come è diritto della democrazia partecipativa soprattutto quando partecipa così massicciamente. Quelli che hanno votato No ricacciano in gola la gioia che si sono guadagnati sul campo e vogliono farci sapere che “no, non stiamo festeggiando, abbiamo a cuore le sorti del Paese”. E da quando, di grazia, chi vince democratiche elezioni non ha a cuore le sorti del Paese? La vittoria è storica, ancorché larghissima, dunque non interpretabile, le sorti del Paese erano in quel nitido NO. Nitido, al punto che il nostro sale al Quirinale per consegnare le sue prime dimissioni nelle mani del capo dello Stato.

Un popolo che non festeggia è un popolo di cui diffidare. Il popolo che non allaga le piazze (social e non social) per la caduta del tiranno comprime i propri sentimenti in modo persino sospetto, si priva di un diritto primario, probabilmente festeggia nel segreto delle quattro mura di casa, ma perchè non esce, si libera, si abbraccia festante, perchè non dà libero sfogo a danze e caroselli come già accadde con Berlusconi (e prima ancora con Craxi?) Una risposta forse c’è: il popolo, almeno quella larga parte di popolo che ieri si è “liberata”, ha creato artificiosamente un tiranno che non è e che non c’è, ha costruito un nemico odiatissimo in laboratorio, avendone bisogno per sopravvivere, per sentirsi ancora comunità politica, oggi che la politica è defunta ormai da molti anni. Questo popolo non ha le basi per creare, vive difesa e catenaccio come unica tattica possibile. In questi mille giorni abbiamo elevato Matteo Renzi sempre e solo all’ennesima potenza, mai misurandolo per quello che davvero è. Un politico certamente talentuoso, ma con enormi limiti (politici e umani). Aver portato la barca sugli scogli in questo modo rovinoso è da autentico dilettante allo sbaraglio. Basterebbe questo per non mitizzarlo e riportarlo (forse) ai nostri occhi in una condizione di più serena valutazione.

Questa caduta contiene certamente una parte sana. Che ha a che fare soprattutto con l’aspetto antropologico di tutta la vicenda Renzi, con la scelta delle persone, con la sua personalissima e provinciale necessità di circondarsi soltanto di uomini e donne che non hanno alcuna visione critica e che gli sembrano utili solo al conforto e non al confronto. Conforto (peloso) ne avrà parecchio in queste ore, consapevole, il buon Matteo, che ogni sconfitta, se poi rovinosa come questa, porta sempre con sé l’impercettibile ma inesorabile distacco di particelle servili che si liberano verso altri lidi, laddove il potere si ricompone e si riorganizza. Quanto ai suoi mille e mille lustrastivali social di questi tre anni, orfani di un capo comitiva, ora toccherà riorganizzarsi.

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