Partiti e politici

Un “piccolo centro” di bandiera, ma un po’ inutile

11 Agosto 2022

L’ennesima giravolta di Carlo Calenda è arrivata, dunque. Avevo fatto appena in tempo a scrivere, settimana scorsa, dell’accordo Pd-Azione/+Europa (Letta-Calenda, di fatto) che il nipote del grande regista Luigi Comencini ha già cambiato idea un altro paio di volte. Prima la corsa solitaria, senza nemmeno Emma Bonino, poi l’accordo con il suo storico “nemico” Matteo Renzi, di cui aveva sempre dichiarato tutto il male possibile.

Pubblicherò subito questo articolo, per evitare che diventi superato, come il precedente, nel giro di un paio di giorni. Renzi e Calenda insieme, dunque, con il probabile apporto di Pizzarotti, ex-pentastellato ex-sindaco di Parma, in nome di quell’agenda Draghi che, peraltro, senza la presenza dello stesso Mario Draghi è pressoché impossibile da adottare: una parola d’ordine, nulla più, dal momento che le chance di vittoria di questo nuovo “piccolo centro” sono di fatto nulle, e inesistenti dunque le possibilità di continuare l’opera dell’attuale premier (in carica ancora per qualche settimana).

Proviamo allora a ragionare su quale sia l’obiettivo di questa mini-coalizione, che diventerà un unico partito ai fini elettorali, per essere certi di superare cioè la soglia di sbarramento del 3%, e si scioglierà nei suoi due rivoli costituenti poche ore dopo essere entrato in parlamento.

La speranza è quella, dicono, di arrivare vicini al 10% dei consensi, se non di più, cercando di diventare il punto di riferimento di tutti gli elettori nostalgici del governo Draghi. Certo, nella loro lista ci saranno probabilmente alcuni ministri di quel governo, i fuoriusciti da Forza Italia, da Brunetta a Carfagna a Gelmini, ma ovviamente nessuno di loro ha l’impatto nazionale e soprattutto internazionale dell’ex-BCE.

La loro forza elettorale è stimata nel 6-7%, un risultato che darebbe solamente una sorta di diritto di tribuna, senza una pattuglia di parlamentari consistente in grado di dar fastidio alla coalizione che vincerà (cioè quella di destracentro, come l’ha definita Max Panarari). L’idea di un “grande centro” alla Macron poteva diventare effettivamente un tassello importante per un cambiamento radicale della politica italiana, abbarbicata sulla contrapposizione destra-sinistra dall’avvento di Berlusconi in poi, con l’intervallo pentastellato ora in chiaro deficit di consensi.

Ma i piccoli Macron nazionali non hanno la stessa attrattività del “collega” transalpino e dunque il centro rimane troppo ristretto per diventare l’ago della bilancia della formazione dei governi locali. Forse, ci fosse stata Forza Italia e qualche altro partito, per permettere il superamento almeno del 10%, come era accaduto alla coalizione di Monti nel 2013, forse quel ruolo lo si sarebbe potuto interpretare, ma così non è stato, per paura magari di avere troppi aspiranti “leader” nello stesso giardino.

E dunque? È probabile che il vero obiettivo dei due ex-Pd sia alla fine quello più semplice, come nel famoso rasoio di Occam: entrare comunque in parlamento, per poter avere una tribuna dove esternare il proprio pensiero (cangiante).

Università degli Studi di Milano

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