Partiti e politici
Tutti per Conte i pentastellati, ma un suo partito non avrebbe futuro
Sondaggi come se piovesse, come era ovvio aspettarsi nell’ineffabile mondo mediatico nostrano, dopo la probabile rottura tra Grillo e Conte. Si susseguono incessanti, in queste ultime settimane: cercano di stimare i consensi degli italiani per una formazione politica che non c’è, e che forse mai ci sarà: il partito di Giuseppe Conte. Qualcuno parla di un potenziale elettorato prossimo al 20%, altri di una quota intorno al 15% che lo voterebbe, altri ancora, più pessimisti, di un ridotto 8-9% di consensi.
Si sprecano poi i paragoni con un altro premier, il Mario Monti che provò anche lui a risanare il paese, ma più dal punto di vista economico, dopo le malefatte – così si diceva – del governo Berlusconi. E che scese effettivamente in campo nelle elezioni del 2013, quando Scelta Civica ottenne poco più dell’8%, molto distante da quel 30% che una nota ricerca della Luiss dell’aprile dell’anno precedente gli aveva (un po’ incautamente) pronosticato.
Oggi la storia si ripete con un altro ex-presidente del consiglio che, peraltro, una affiliazione di massima già ce l’aveva e, se fosse ancora possibile una pace tra i due litiganti, avrebbe un’ampia strada aperta e perfettamente percorribile, con un buon successo, attraverso la riforma del Movimento 5 stelle. Ma Grillo non lo vuole più, chissà per quale recondito motivo, nonostante (o forse proprio per questo) nella attuale base elettorale pentastellata la fiducia in Conte sia vicina al plebiscito e quella per il fondatore si fermi a poco più del 25%.
I giornali vivono di sensazionalismo, e dunque chiedono ai sondaggisti di creare la notizia: quanto valevano elettoralmente le sardine? quanto vale un partito di Conte? Un numero che basta a creare un titolo, benché spesso privo di contenuto, perché gli scenari ai quali ci troviamo di fronte sono aleatori, cangianti in pochi mesi, come abbiamo visto nel caso di un accordo giudicato impossibile fino ad un paio di anni fa, quello tra Pd e M5s.
Ma insomma, quanto vale? Lo dico subito: impossibile saperlo. Perché dipende da innumerevoli fattori, dagli scenari che si innescheranno nel prossimo futuro, dalle scelte che faranno i partiti che sostengono il governo Draghi, dal comportamento dell’opposizione, dalle conseguenze politiche del piano di ripresa economica.
Innanzitutto, il tema della fiducia personale in Conte. Oggi è piuttosto alta, vicina al 50% tra tutti gli elettori, ma una volta sceso in campo con un suo partito si ridurrebbe non poco. E quindi, chiedersi quanto varrebbe il partito di Conte se si votasse oggi non ha alcun senso, perché oggi non si vota, e la fortuna di un uomo politico a capo di un partito inesistente non si può paragonare alla fortuna di un partito che ha alle spalle anni di vita, una sua storia.
E poi: cosa sarebbe un partito di Conte? dove si posizionerebbe? Potrebbe “sostituire” il M5s, oppure affiancarsi a questo, stare nel centro dello schieramento, con un occhio all’alleanza con il Pd, oppure restare aperto anche ad altre ipotesi, più vicine all’elettorato di centro-destra di Forza Italia. Le risposte degli intervistati alla disponibilità di voto per Conte sono per questo talmente aleatorie, ognuno si immagina quel che vuole, che non hanno un reale senso.
E ancora: come si comporterebbero gli elettori di un Movimento 5 stelle con Grillo di nuovo in sella come referente prioritario? Metterebbero in disparte il M5s, puntando decisamente sul partito di Conte, oppure lo dipingerebbero come un traditore, attaccandolo a ogni piè sospinto, pungolati costantemente da Grillo? Lo stesso Partito Democratico lo potrebbe appoggiare, come appoggiò Scelta Civica nel 2013 per un eventuale governo comune (che non si realizzò per la performance non positiva di entrambi), o invece osteggiare perché potrebbe rubargli voti.
Infine: cosa significa “elettorato potenziale”? Quelli che sarebbero disposti a votare per un partito con Conte leader, forse. Berlusconi, prima di scendere in campo, aveva un elettorato potenziale del 40%, poi ottenne il 20%; a Monti come abbiamo visto andò molto peggio, dal 30% all’8,5%. Tutti possono essere potenziali elettori, prima che i contorni di un partito non siano chiaramente definiti. Un premier che è stato prima con il centro-destra e poi con il centro-sinistra, è difficilmente identificabile con una specifica area politica, anche se oggi si presenta come potenziale alleato con il Pd.
Per ultimo, ma non certo da ultimo: un partito che nasce da una trasformazione significativa di un movimento che ha una sua storia ormai decennale, con parole d’ordine riconoscibili, avrebbe un senso compiuto nel panorama politico italiano. E nella svolta con Conte si potrebbe riconoscere una quota significativa di elettori. Ma far nascere un partito dal nulla, solo perché c’è un leader oggi senza più una patria, avrebbe certamente poco senso e, probabilmente, poco futuro, come è accaduto con Mario Monti e con lo stesso Gianfranco Fini.
Il suo eventuale partito si nutre di sensazioni, di emozioni, di simpatia per la sua persona, non di vere scelte elettorali. Forse è meglio, per i nostri giornali, dedicarsi a fornirci notizie reali, al posto di improbabili scoop.
Università degli Studi di Milano
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