Partiti e politici
Tutti insieme contro i barbari o “lasciamoli governare”? La Francia ci interroga
C’è una linea sottile, quasi invisibile eppure decisiva, che lega la bassa cucina e lo scantinato della destra di governo in Italia, e le cose importanti che si stanno decidendo in queste settimane in Europa. Nei giorni passati, un’inchiesta di Fanpage ha mostrato alla distratta e assuefatta opinione pubblica italiana uno spaccato minore, eppure non irrilevante, di quale lingua parlino – a tratti, non tutti, dipende dal contesto, eccettera – alcuni giovani dirigenti in ascesa del Partito di Giorgia Meloni. Una lingua disgustosa, razzista e antidemocratica che, nella più generosa delle ipotesi, è stata ignorata dalla presidente del Consiglio e da alcuni suoi stretti collaboratori. L’obiezione, puerile fin dall’inizio, per la quale ad essere illegittima sarebbe l’inchiesta dei giornalisti e non l’antisemitismo e il razzismo dei militani, è stata autorevolmente smontata sul Sole24ore, e speriamo non ci sia bisogno di replicare oltre, almeno su questo.
Nei giorni che verranno, invece si definirà il profilo completo della prossima commissione europea, quale posto avrà l’Italia di Meloni, quale commissario, e con che peso, dopo le polemiche e le rimostranze avanzate proprio dalla presidente del Consiglio che aveva forse troppo presto venduto la pelle della decisività dei voti del suo movimento, e solo poi realizzato che esiste e resiste una volontà trasversale di escludere lei e la sua destra dalle stanze delle decisioni.
Un tema che riguarda molto da vicino quel che è successo in mezzo in Francia, ed è storia di queste ore: il voto chiamato dal presidente francese Emmanuel Macron dopo la vittoria del Rassemblement National di le Pen alle elezioni Europee, ha confermato la forza dell’estrema destra, ma anche mostrato una forza di mobilitazione importante di chi a quell’avanzata si oppone. La sinistra e il partito di Macron, insieme, raggiungo all’incirca il 50% dei voti, entrambi espandendo il loro bacino rispetto al recente voto europeo. L’affluenza sale dal 51% al 65%, cioè di circa il 30%, ma mentre la crescita relativa della destra è contenuta, confermando al lieve rialzo le percentiali del 9 giugno, molto marcata è quella del fronte anti-lepenista, che nel suo insieme cresce di circa 10 punti percentuali. Segnali che dicono che il potenziale espansivo della Destra nazionalista al momento è limitato, mentre la capacità mobilitante dello spauracchio che essa ancora rappresenta, in Francia, è ancora forte. Vedremo, naturalmente, cosa si depositerà ai ballottaggi della settimana prossima, anche passando per il vaglio di faticose trattative e di alleanze da disegnare e misurare collegio per collegio. Il risultato del 7 luglio conterà molto per il futuro della Francia, e ben al di fuori dei suoi confini geografici e dell’anno 2024, che ha iniziato a declinare.
E torniamo, così, a casa nostra. La mia personale impressione è che Giorgia Meloni e il Campo Hobbit della quale è circondata continui a considerare scemenze le polemiche su nostalgie, bracci tesi, e frasi fuoriluogo. Le considerano cose di poco conto, frutto del pregiudizio degli “altri”, da un lato; e non lo possono considerare gravi perchè le hanno avute attorno per decenni, dall’altro. D’altrocanto, l’unica cosa che conta è stare dalla parte d’Israele oltre ogni ragionevole dubbio, e loro ci stanno. Ma una vittoria piena di Le Pen sarebbe fondamentale, in prospettiva, perchè consentirebbe di ripararsi dentro l’argine più solido: quello di un’onda di consenso che non è solo nazionale, ma scuote alle fondamenta anche un altro paese fondatore della Ue, la Francia, unico membro Europeo uscito vincitore e monoliticamente antifascista, almeno nella storia ufficiale, dalla seconda guerra mondiale. Già oggi contano poco, agli occhi di guida il nostro paese: ma che importanza avrebbero domani, in un’Europa trainata dalla destra francese, pochi ragazzini nostalgici? È una scommessa delicata, quella di Giorgia. Perchè se nel medio periodo la corsa di Le Pen dovesse spegnersi, e infine si confermasse un asse francotedesco fondato sulla conventio ad escludendum che già oggi Giorgia vive come un torto, l’isolamento di Meloni risulterebbe ancora più marcato. Ma le questioni sul tavolo non riguardano solo il campo di Meloni e Le Pen. Il risultato di ieri e quello della prossima settimana riguardano, in modo profondo e a suo modo affascinante, le ragioni dello stare insieme degli altri. In Italia un fronte di centrosinistra profondamente frastagliato ha garantito a un centrodestra compatto una vittoria facile alle elezioni politiche del 2022. Uno scenario identico, stando all’ultimo voto europeo, si riproporrebbe oggi. Questo quadro ha portato appunto Giorgia Meloni a essere la prima erede della storia post-fascista a diventare Presidente del Consiglio, con tutte le contraddizioni, i rinnegamenti, le omissioni che conosciamo, e delle quali parliamo anche ora. È stato un bene o un male? Reggere su basi fragili una maggioranza che andasse da Renzi a Ilaria Salis, passando per Conte, avrebbe avuto senso, al di là dell’impossibilità per assenza di volontà dei protagonisti? Sono domande che possono sembrare esotiche, eppure la chiamata alle armi del fronte repubblicano, in Francia, le pone in questi termini, con grande attualità e molte similitudini al presente e al futuro politico del nostro paese, e all’identità politica di chi decide il corso della storia.
A proposito di identità politica, e per concludere, ieri a Milano, la città in cui vivo, si è svolto il Pride. È stata una grande manifestazione. Secondo gli organizzatori c’erano oltre 300 mila persona. Ormai da anni è un momento sentito, di ritrovo e partecipazione, di festa, di orgoglio per i diritti di tutte e tutti, come dicono gli slogan. Di ciascuno e di ciascuna, sarebbe forse più preciso dire. È – credo, e un po’ temo – l’unica giornata del calendario civico nel quale tutto il campo progressista si ritrova sulla base di parole d’ordine minime ma comunque esigenti. Il problema è che riesce a farlo un giorno l’anno sui diritti indivuali. Su tutto il resto, dalla politica estera al lavoro, dalle tasse all’ambiente, si dividono tutti gli altri giorni. Giorgia e i fascistelli impuniti che la seguono non saranno una ragione sufficiente per stare insieme. Speriamo almeno che si ricordino di ringraziare.
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