Partiti e politici

Tutti in piazza, ma per che cosa?

1 Ottobre 2018

Domenica pomeriggio con il golfino rosso sono andata alla manifestazione “Intolleranza Zero” in Piazza del Duomo a Milano, la piazza si è riempita e quindi se quello era lo scopo possiamo esultare.

Oggi però ho riflettuto su una cosa che è successa ieri e a costo di essere antipatica mi tocca uscire dal coro. Ieri mi sono ritrovata a cercare di spiegare ad un turista asiatico che cosa stava succedendo. Era una manifestazione contro l’intolleranza, verso chi? Verso tutti. Ma perché? Perché c’è un governo di destra. E cos’ha fatto? E cosa volete?

Ecco, che cosa vogliamo? Ancora questo non mi è chiaro. Sapere che ci sono altre persone che la pensano come me fa bene al cuore, ma non aumenta il numero di quelle persone.  E soprattutto la pensano davvero come me? Certo non ci piace Salvini, e poi?

E poi non lo so, non lo sa nessuno davvero.  Non c’era un tema chiaro forte e definito per manifestare, a Milano o a Roma, e non solo le due piazze sono tutt’altro che unite tra loro ma anche all’interno delle stesse piazze quando si tratta di parlare di temi e proposte poi scatta la frammentazione. E non parlo dei dettagli, ma proprio del quadro ideologico (che brutta parola) di riferimento. A Milano la manifestazione era promossa da un gruppo di associazioni e loro possono farne a meno, a Roma il promotore era un partito che dovrebbe avere una mission chiara.

Se io volessi attivarmi ed provare ad erodere il consenso gialloverde parlando con le persone, come potrei fare? Lamentandomi del deficit? Lo si è sempre fatto.  Davvero la lezione è stata capita?

Ieri Maurizio Martina ha citato Corbyn, ma sappiamo per certo che a 2/3 della dirigenza del PD Corbyn non va proprio a genio. Come la mettiamo? E non è Corbyn o no, ma ciò che è confuso è proprio il collocamento del partito. Mentre lo sport ancora in voga è occuparsi del collocamento delle persone all’interno del partito.  Pochi giorni fa Renzi ha firmato un documento con Macron e Ciudadanos e l’Alde. E lo sappiamo che non è il segretario, ma è quasi peggio così.

Il PD non ha ancora avuto momenti di confronto e scontro, di riflessione e dibattito. È dal 4 marzo che se ne parla, ma tra popcorn e inseguimenti perdenti non si è avuto il coraggio di sedersi a discutere ed ascoltare. Qualche tentativo carbonaro c’è stato, ma poi è  stato tutto spazzato via dall’agenda politica dettata da altri.

Per fortuna ci sarà il congresso, ma a leggere i retroscena sui giornali oggi si capisce benissimo che potrebbero riuscire a svuotarlo di significato salendo tutti sulla biga di Zingaretti.

E badate bene, discutere di ideologia, temi e politiche non è ombelicale. Le correnti e il loro peso sono ombelicali. Ma chiarire da che parte si sta magari aiuterebbe a riguadagnare consenso. Perché se non sai chi sei non lo riesci nemmeno a spiegare, e spiegarsi con parole semplici e chiare è fondamentale. Il “ma anche” purtroppo non funziona più, ci abbiamo creduto in tanti ma ora basta.

Condividiamo belle storie raccontate dal New York Times o dal Guardian, che ci parlano di successi di donne, di giovani, di persone credibili in contatto con le loro constituency e che hanno il coraggio di mettersi contro l’establishment con proposte radicali e chiare. E poi da noi i fili li tengono sempre gli stessi, incuranti dei fallimenti e degli insuccessi.

Concludo con un disclaimer, ho parlato soprattutto del PD perché rimane, per ora, l’unico partito che sconfina nel mio quadro politico di riferimento. Ieri in piazza c’erano anche altre sigle, che però purtroppo hanno più bandiere che iscritti.

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