Partiti e politici
Tsipras e la lezione del giorno dopo
Salire sull’Acropoli, contemplare le colonne armoniose del Partenone, lasciare vagare lo sguardo sulla città, serve per comprendere meglio cosa ci sia di così inevitabile e affatto sorprendente nell’alleanza di governo fra Syriza e i Greci Indipendenti o Anel, un piccolo partito di destra, che darà vita all’esperimento più interessante e e controverso fra i 28 stati dell’Unione.
Bild, quel quotidiano scandalistico tedesco con cui dovrebbero essere incartati dei buonissimi wurstel, se ne uscì qualche anno fa con una prima pagina nella quale invitava i greci a ripagare il debito vendendo l’Acropoli o le isole tanto amate dai loro connazionali.
Era una provocazione ma suscitò una ondata di sdegno comprensibile da parte della popolazione ellenica, era una umiliazione, l’ennesima, che dovevano sopportare.
Ieri i cartelli più fotografati della piazza dove Tsipras ha tenuto il suo discorso post elettorale erano quelli contro la troika e contro la Merkel, così come gli applausi più convinti seguivano sempre le frasi sull’orgoglio nazionale ritrovato, sulla necessità di superare l’austerità e di considerare finita per sempre l’epoca della non sovranità.
Frasi che non fanno parte del vocabolario della stragrande maggioranza degli esponenti della sinistra italiana, cosi timidi e inutilmente bizantini quando si potrebbe semplicemente alzare le voce.
Considerate queste premesse, non sembra certamente strano che Alexis Tsipras abbia trovato in tempo record, qualche ora, un accordo con i nazionalisti.
La collaborazione fra i due partiti era stata già varie volte preconizzata in campagna elettorale da Kammenos, il leader della formazione creata qualche anno fa per iniziativa di alcuni transfughi di Neo Democrazia, in polemica con le regole imposte dal memorandum.
Addirittura in uno spot molto efficace Kammenos aveva interpretato il ruolo di un tizio che insegna a un bambino come guidare un trenino elettrico per non farlo deragliare dai binari, spiegandogli con tono dolce che non deve esagerare con la velocità, il bambino si chiama Alexis.
Tutta la campagna elettorale è stata incentrata sull’economia, sulla ristrutturazione del debito, sugli interventi per risollevare salari e occupazione, sulla dura trattativa che da ora la Grecia dovrà intavolare con la Troika, cose su cui è d’accordo quasi completamente solo la lista di Kammenos.
Poco importa che su altri temi, come la questione dell’immigrazione e dei rapporti fra Stato e potente Chiesa Ortodossa – oggi fra l’altro Tsipras è stato il primo premier della storia a rifiutare il rituale religioso di giuramento- o quello dei diritti civili, ci siano differenze notevoli.
Lo stesso leader aveva d’altronde negli ultimi giorni della campagna elettorale dichiarato chiaramente che temi come i matrimoni gay, ad esempio, non sarebbero stati nell’agenda.
L’unica battaglia che la Grecia deve intraprendere è quella contro la crisi, il paese è come se fosse stato lasciato in rovina da una guerra mai veramente dichiarata e certi toni nazionalisti che Tsipras ha tirato spesso fuori – vedi la richiesta più propagandistica che plausibile della restituzione dei soldi che i cittadini greci dovettero forzatamente prestare ai nazisti durante l’occupazione della Seconda Guerra Mondiale- sembrano essere elementi che rafforzano questa strana coppia.
Non poteva certo Syriza trattare con il Kke – magari in Italia molti della sinistra avrebbero provato a escogitare una qualche forma di strana desistenza pur di evitare di sporcarsi le mani con la destra- visto che i compagni quasi stalinisti hanno nel programma l’uscita immediata da Ue e dalla Nato.
Non potevano nemmeno accettare l’appoggio esterno offerto ambiguamente dalla nuova formazione To Potami, di centro sinistra, la favorita dall’Eurogruppo visto che ha nel suo programma una prosecuzione, se non addirittura un accentuazione, delle politiche liberali intraprese negli ultimi anni dal governo Samaras.
Impensabile anche intavolare una discussione con i socialisti del Pasok, ridotti ai minimi termini e incarogniti dall’essere stati annientati da una forza politica che fino a pochi anni fa era un cespuglio insignificante rispetto al loro potere egemonico sulla sinistra.
Detto del pragmatismo doveroso e per il momento illuminato di Tsipras, è importante
evitare esaltazioni facili, spesso suggerite dai resoconti distorti dei giornalisti sul terreno; la festa c’è stata, ma la celebrazione è stata vissuta con moderazione, forse perché la crisi ha morso troppo duramente per essere dimenticata, o forse perché la città resta fredda o disincantata davanti agli eventi.
L’astensione è stata altissima, solo il 59 per cento degli aventi diritto ha votato ed era difficile trovare un bar pieno nella zona di Exarchia, il quartiere ex anarchico diventato ora per metà alternativo, per l’altra hipster, dove nessun televisore era acceso per seguire lo spoglio che stava dando a Syriza una maggioranza relativa schiacciante.
Insomma c’è una parte importante che ha scelto di non supportare nessuno e sembra refrattaria a qualsiasi sollecitazione.
Non certo insensibili al fascino dell’evento sono rimasti gli italiani, l’entusiasmo più incontrollato spesso è stato proprio il loro, circa quattrocento ma sto approssimando per difetto, seguiti a ruota, ma a decisa distanza, da francesi e spagnoli.
La brigata Kalimera, accorsa ad Atene per sostenere i compagni che indovinano, strano fenomeno misto di curiosità interessata, militanza disinteressata e voyeurismo elettorale, è diventata una specie di attrazione per le troupe di tutto il mondo, sconcertate davanti a tanta passione per una vittoria altrui, la sola possibile al momento per una sinistra italiana.
Numerose le bandiere di Rifondazione Comunista, assenti quelle di Sel, da tempo ingarbugliati in una battaglia interna dai dubbi esiti, più alcune vecchie bandiere del Pci a rievocare momenti gloriosi e sventolate da ventenni nati ben dopo la svolta della Bolognina.
Nobile l’afflato internazionalista di antica memoria e la presenza testimoniale, anche se con accenti fin troppo gerontocratici, vedere intonare “Contessa” in un ristorante straturistico di Plaka sarebbe stato troppo anche per uno scafato frequentatore di feste dell’Unita dei tempi andati, ma fra gli elementi di debolezza spicca il reducismo fine a se stesso e l’incoscienza di chi si ostina a rintracciare nella vittoria di Syriza una specie di anticipazione delle future sorti italiane.
Troppi sperano in scorciatoie, magari in seguito a un inciampo di Renzi, pochi sono in grado di vedere con chiarezza la differenza sostanziale fra il caso italiano, e quelli greco e spagnolo.
Sia Syriza che Podemos sono nati dai movimenti e dalle pratiche sociali intraprese contro la crisi; nel caso di Syriza una importante funzione hanno svolto le tante attività sul territorio della rete Solidarity for all, con la creazione di cliniche sociali per chi non può pagare l’assistenza sanitaria, associazioni che supportano le persone distribuendo cibi e farmaci, comitati della lotta per la casa, mentre in Italia iniziative simili sono appannaggio dell’associazionismo cattolico o della galassia dei centri sociali.
Insomma Syriza ha dato vita a delle società di mutuo soccorso che ricordano il socialismo di inizio Novecento applicato ai giorni d’oggi, cosa che sembra aver notato anche Fausto Bertinotti, la cui capacità di analisi intellettuale a posteriori è stata spesso inversamente proporzionale alla sua capacità di intercettare i fenomeni in atto.
In Italia inoltre non è avvenuta nessuna scossa sociale, basti pensare all’assenza di qualsiasi movimento somigliante agli Indignados, oppure i pochi tentativi di dar vita a gruppi di stampo orizzontale sono finiti per essere smantellati da chi temeva la perdita del controllo sul più agevolmente manovrabile apparato partitico, vedi la fine ingloriosa dell’esperimento delle Fabbriche di Nichi.
Così la sinistra italiana si è trovata incapace di comprendere dove tirava il vento, e incapace di intercettare quella parte dell’elettorato che si rifugiava nel Movimento Cinque Stelle: sbagliato, goffo, dilettantesco ma capace di evocare una sfida autentica alle stelle, al sistema dominante e partitocratico.
Il presente lo conosciamo fin troppo bene, i balbettamenti dei Movimento sono diventati preoccupanti, anche per chi non ha mai creduto al modo nel quale i media li hanno macchiettisticamente rappresentati, drammatici alcuni errori strategici, primo fra tutti l’alleanza con Farage al Parlamento Europeo e un certo modo di comunicare di Beppe Grillo, eppure non si può partire che da lì.
Dalla fine del’apartheid in cui la sinistra, i suoi militanti e i suoi elettori, perfino quelli più illuminati, vorrebbero tenere gli elettori e i militanti del Movimento.
Per far questo è indispensabile che le menti valide del Movimento si liberino da alcuni lacci imposti dall’alto e la smettano una volta per tutte di trincerarsi nella logica degradante del cittadino, dell’uno vale uno come mantra, accettando la responsabilità dell’azione politica, e siano pronti a dialogare da subito con Podemos in Spagna, con Syriza in Grecia e in Italia con chi a sinistra sarà disponibile.
La questione è complessa, probabilmente lunga e senza facili soluzioni, ma per la sinistra italiana non ci sono altre strade, almeno che non voglia perseverare nell’irrilevanza.
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