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Partiti e politici
Diritto internazionale morto ed Europa mai nata: Trump ha solo reso chiaro quel che è vero da un po’
Lo spaesamento e lo scandalo causati dal decisionismo prepotente di Trump rischiano di cancellare una doverosa e autocritica analisi sulle responsabilità dell’Europa e di una comunità internazionale arrendevole e silenziosa. Non da oggi
Il grido sconvolto che si alza dall’impotente Europa o dalla martoriata Ucraina è altissimo. E tuttavia, soprattutto per quel che riguarda la prima, cioè noi, è quantomeno tardivo. A guardarlo da fuori, da lontano, il decisionismo unilaterale dell’amministrazione Trump, i discorsi ingerenti di Vance che supporta l’estrema destra xenofoba e antieuropea, l’approccio proprietario rispetto al mondo intero di Musk, sono altrettante conseguenze di un tempo iniziato da prima di Trump, di un’idea di politica e diritto internazionali totalmente guidati da Washington. Dove si decide, ovviamente, sulla base dei propri interessi e degli equilibri interni alla politica e alla società statunitense. Una società che oggi è ripiegata su se stessa, in una lunga fase di evidente e crescente chiusura e rabbiosa nostalgia, che individua in ciò che è fuori da sè come il pericolo, e definisce se stessa sulla base di un perimetro identitario preciso, tutto chiuso in un passato che non tornerà. È un fenomeno che non riguarda solo la società statunitense, e che anzi pervade tutto l’Occidente, Europa inclusa. Non è un caso che i Vance e i Trump cerchino e trovino sponde e avamposti proprio nei paesi che hanno fondato l’Unione Europea, dopo essersi dati guerra per secoli e avendo rischiato, perfino, di distruggere l’umanità intera con il progetto di genocidio totale della Shoa, e con la brama di conquista che ha portato alla seconda guerra mondiale.
Oggi è facile, e perfino doveroso, per le coscienze collettive del mondo democratico, indicare in Trump e nella sua amministrazione i colpevoli di molti mali: dal discorso xenofobo che diventa azione di deportazione nei confronti dei migranti, all’unilateralismo improvviso e prepotente con cui vuole decidere le sorti di Ucraina e Gaza, naturalmente rappresentando solo le ragioni del più forte e, ancora prima, le ragioni economiche e strategiche del suo paese e non quelle politiche e umanitarie dei popoli coinvolti, vittime di sopruso, invasione, distruzione. È facile, doveroso, anche perchè i termini esplicitamente padronali con i quali Trump esprime il suo progetto sono indubbiamente una novità: chi si siede al tavolo lo vuole decidere lui, le risorse naturali e minerarie dell’Ucraina le vuole lui, l’accordo con Putin lo negozia lui, e se poi non sarà rispettato se la dovranno vedere eventuali contingenti europei. Solo per fare una sintesi della postura politica, che è perfino più rilevante, in questo caso, delle righe attorno alle quali si tracciano i confini. Non diverse sembrano peraltro le intenzioni sul destino di Gaza, su come realizzarlo, e su quali siano i reali interessi rappresentati che Trump porterebbe – o porterà – a un tavolo al quale i palestinesi non saranno realmente rappresentati.
E tuttavia, individuare in Trump il responsabile unico, e forse anche solo il principale, di questo disastro, è grandemente insufficiente e non veritiero, se l’obiettivo che ci diamo è quello di comprendere come siamo arrivati fin qui, cioè a questo presente che riconosce esplicitamente l’irrilevanza del diritto internazionale. È un percorso lungo, quello che ci ha portato fin qui, che inizia con la progressiva accettazione dell’unilateralismo statunitense nelle scelte di intervento e disimpegno negli scenari del mondo. Sono passati ormai più di vent’anni dall’invasione dell’Iraq, motivata con prove sventolate al mondo e rivelatesi semplicemente delle scuse per provare a convincere – senza successo – la comunità internazionale della legittimità giuridica e politica di quell’intervento. E che dire della “liberazione” dell’Afghanistan dai Taliban, che si è risolta poi in un frettoloso, improvviso e non discusso con nessuno disimpegno americano, che ha generato un ritorno rapidissimo al controllo dei Talebani sul territorio del loro paese? E il lungo percorso di isolamento del popolo palestinese da ogni relazione internazionale, non solo nella rappresentanza islamista di Hamas, ma in ogni sua componente, di cosa è stato frutto se non delle decisioni guidate dagli Stati Uniti d’America, in un processo di ridefinizione dei rapporti con i paesi del Golfo Arabo, in aperta contrapposizione con l’Iran? E in tutti questi e molti altri scacchieri, dov’è stata la comunità internazionale, rappresentata nelle Nazioni Unite, e in che modo ha fatto ascoltare la sua voce l’Europa?
Già, appunto, torniamo all’Europa. Se oggi balbetta il suo risentimento nei confronti di un Trump che la abbandona al suo destino, se oggi punta tutto su un frettoloso e tardivo riarmo escludendo il peso degli investimenti militari dal patto di stabilità che misura la solidità economica dei singoli paesi, è perchè per molti anni e decenni ha ignorato la necessità di superare le divisioni delle piccole patrie per pensarsi, davvero, come un’entità unica, capace di autonomia decisionale e di visione politica globale. O ha ignorato questa necessità, o non ha sviluppato questa volontà, persa com’era nell’idea tutta nazionalista che ogni leader politico del momento dovesse anzitutto, e principalmente, rispondere alla propria opinione pubblica, alla propria costituency elettorale, al proprio interesse piccolo per geografia e corto per orizzonte temporale. A popoli viziati da un benessere drogato dalle contingenze uniche del dopoguerra, nessuno ha voluto fare discorsi di verità, ricordando le ragioni politiche e sociali dello stare insieme, del bisogno di rinunciare a qualcosa di proprio per una pace e una forza più durature. Senza tutto questo, una vera dialettica politica con gli Usa, con la Russia, con la Cina, era e resta semplicemente impossibile. E continuerà a esserlo, al di là dei proclami impanicati e risentiti di oggi. Panico e risentimento, del resto, sono i sentimenti che si provano quando è troppo tardi. Assieme alla frustrazione e al pessimismo, che si fa fatica a nascondere anche quando si ha solo il compito di guardare e raccontare la realtà.
(foto di copertina: The European flag flies under the Arc de Triomphe to mark France’s EU presidency in Paris, France, Saturday, Jan. 1, 2022. France takes over the rotating presidency of the European Union for the next six month. (AP Photo/Thibault Camus). su Licenza)
Tutto vero. E lo penso da molto tempo. Vedere confermate le mie più fosche previsioni non mi consola, anzi mi getta ancora di più nello sconforto, perché allora significa che prevedevo giusto. E ciò mi fa essere assai pessimista sul mio futuro e sul futuro dell’Europa e del mondo.