Partiti e politici

Tra Papeete e Capalbio, il lato serio del dibattito stupido su popolo e élite

7 Agosto 2019

Puntuale come le indicazioni di bere tanta acqua, mangiare tanta frutta e non uscire nelle ore più calde, è riemerso con la bella stagione il sempre atteso dibattito sull’identità politica delle scelte dei luoghi di vacanza, sottoinsieme estivo del dibattito tra popolo e élite. In sé frusto e già poco interessante già dalla sua prima edizione, quest’anno il gioco di società ha conosciuto un deciso revivément con la performance vacanziera in desabillé del nostro colorato e musicale Ministro dell’Interno nonché dominus del Governo e della destra destrissima al Papeete Beach di Milano Marittima.

Lo schema è sempre quello delle performance della nostra star, più scontato dei plot del Tenente Colombo, il nostro fa e/o dice una cosa tamarra, orribile, sgradevole, i benpensanti si indignano e si dividono su come indignarsi (tra chi ne parla e chi ne parla per dire che non bisognerebbe parlarne per non portargli voti), i fan si esaltano e sparano in aria con i kalashnikov social come nella Cecenia di Kadirov (loro modello di democrazia), alla fine tutti condividono il fatto che Salvini è forte (purtroppo o per fortuna) e si passa alla prossima tamarrata.

Stavolta il Nostro, showman consumato come non se ne vedono più dal tempo di Liberace, ha portato il suo Magistero al Papeete, con tanto di (presunto) peculato, conferenze stampa in braghette e inno di Mameli con le cubiste (e penso a Jimi Hendrix a Woodstock, o tempora o mores). Immediata la giaculatoria degli anti Salvini anti, che hanno brandito una foto assurda di Aldo Moro in completo fumo di Londra e cravatta al mare, presumo la versione estiva del cappotto rivoltato di De Gasperi.

Ennesimo vulnus alle sacre istituzioni o sano divertimento di un giovane leader popolare? Ormai con Salvini (buon successore in questo di Berlusconi e Renzi) rispondere a questa domanda è diventato sempre più difficile, polarizzante ed estremamente soggettivo, essendosi spinti i concetti di leadership e di popolo sempre più in là, fino a raggiungere piagge remote e assai difficili da maneggiare razionalmente.

Al fondo, un po’ limaccioso come il caffé turco, dell’ennesima tromba d’aria salviniana, rimane perciò una questione un pochino più seria anche della crescente massa grassa del Capitano: fatto salvo che ognuno va in vacanza dove vuole e che, lo spiegava l’amico Jacopo Tondelli, non rimpiango l’epoca di Moro al mare in grisaglia, andare a fare il tamarro al Papeete Beach vuol dire essere amici del popolo e identificarsi con esso?

Ho fatto il cronista: un ombrellone e due lettini al suddetto Papeete Beach costano per la settimana prossima 35 € al giorno, all’Ultima Spiaggia della Professore Capalbio 55 €, al Twiga di Forte dei Marmi di proprietà di Briatore (amico di Trump e socio della Santanché che è senatrice della destra sociale tosta di fratelli d’Italia) un tenda araba (immagino più genere Lawrence d’Arabia che immigrato subsahariano) la bellezza di 500€. La differenza fra élite e popolo sono dunque 20 € al giorno, extra a parte, un po’ poco per invocare le feste di Manhattan con le Pantere Nere.

Se non è economica, la differenza è forse estetica: chi si fa il culo tutto l’anno in vacanza non vuole i film cecoslovacchi, ma un sano divertimento anche giustamente spensierato. Ma i film cecoslovacchi a Capalbio non ci sono e dunque rimane solo la scelta, consapevole e attiva, di andare in vacanza in un posto piuttosto che un altro.

Personalmente (e con il massimo rispetto) pur essendo popolare per radici (e patrimonio) non andrei al Papeete Beach nemmeno in ceppi. Ho trascorso le vacanze sulla spiaggia della foto, perla a bassissimo costo del sud della Sardegna, con l’indubitabile pregio ai miei occhi di essere molto bella e molto vuota e dove gli ombrelloni e i lettini (che nessuno usa) costano molto meno che a Milano Marittima.

Cerco di praticare bellezza a basso costo, mangiare bene, inquinare meno, leggere qualche libro, capire un po’ del mondo. Non è il programma Bildenberg, ma una normale tensione all’emancipazione e al miglioramento, roba novecentesca ma che ancora guida le mie scelte.

Anche per questa ragione estetica, nell’era del personale che diventa politico, Salvini mi é antitetico e il suo mondo, che pure ben conosco, estraneo. Non ha il Capitano, ai miei occhi di popolano che crede nell’emancipazione delle classi subalterne, alcun valore di capacità superiore di identificazione con il popolo che non sia quella cialtronesca dei populisti di tutte le ere, che hanno vellicato ogni peristalsi intestinale e flatulenza del “popolo”.

In questo dirsi del popolo così come il popolo è, senza alcuna velleità di farlo crescere (non nel senso delle vacanze intelligenti di Alberto Sordi, ma di emancipazione sociale, economica, estetica, culturale), sta la forza e la truffa del populismo: tamarro con i tamarri, incazzato con gli incazzati, razzista con i razzisti, ma sempre senza un obiettivo, che non sia liberare gas dalla digestione.

Qui, nel praticare il popolo e rivendicare la liceità di un’alternativa a Milano Marittima e all’estetica bora di Salvini, sta (e dovrebbe stare) la differenza tra popolari e populisti, tra chi crede e pratica lo sviluppo e chi lucra sull’ignoranza e la disperazione dei senza strumenti. In altre ere geologiche, il PCI aveva leader che di popolo qualcosa sapevano, anche andando addirittura a sciare e facendosi dare del Lei dai militanti.

Oggi, la sudditanza psicologica verso Salvini, e persino verso i 5Stelle, da parte di chi indegnamente guida il maggiore partito a sinistra dell’emiciclo parlamentare, ha reso questa distinzione tra popolari e populisti sempre meno chiara e più fragile, a tutto vantaggio dell’Elton John dell’Adriatico. Il popolo vuole la forca? Allora mi dissocio da Ivan Scalfarotto che va in carcere a trovare gli assassini del carabiniere. Come cantava J-Ax prima di rimbambirsi: “chi se ne frega di essere Zucchero se c’è già Joe Cocker”.

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