Partiti e politici
Tra l’ingerenza dei vescovi e le offese di Salvini, la laicità è solo un ricordo
Gli interventi delle gerarchie cattoliche nella vita politica e nell’attività legislativa del nostro paese non sono certo una novità.
Anzi, si potrebbe affermare che essi hanno scandito la storia d’Italia con una frequenza e una puntualità tali da poter essere considerati una vera e propria costante della vita politica del nostro giovane stato.
I tempi burrascosi di Pio IX, con il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica italiana attraverso il “Non Expedit” del 1868, imposto sulla scia della breccia di Porta Pia, sono davvero molto lontani.
Da quando furono stabilite regolari relazioni bilaterali tra l’Italia e la Santa Sede (che poi troveranno realizzazione definitiva con i Patti Lateranensi del 1925) l’interesse della Chiesa cattolica per la politica italiana cominciò rapidamente a crescere.
L’impegno di Don Luigi Sturzo, con l’esperimento del Partito Popolare Italiano, organo politico fondato nel 1919 con una chiara ispirazione cattolica, per quanto non totalmente al servizio del Vaticano, incanalò buona parte di questo interesse nei primi anni Venti del Novecento, almeno fino all’avvento al potere del fascismo.
Dopo la tragica esperienza del regime, e poi della guerra, l’esigenza di un partito moderato che potesse unire i moltissimi cattolici italiani e che, soprattutto, potesse contrastare l’irrefrenabile ascesa del comunismo trovò realizzazione nella Democrazia Cristiana, partito di ispirazione democratica dal forte stampo cattolico e dagli stretti legami con la Santa Sede.
Divenuta rapidamente il punto di riferimento assoluto per l’elettorato cattolico italiano, la DC sarà la vera dominatrice della storia politica nostrana almeno fino al 1994, quando sull’onda degli scandali di Tangentopoli e con la fine della Prima Repubblica, il partito si disgrega e si spezza.
È a questo punto che succede qualcosa di fondamentale.
Con la caduta della DC nel nostro paese, infatti, si rompe un equilibrio decennale. Venendo a mancare il punto di riferimento fondamentale, e non essendoci dei sostituti in grado di prenderne immediatamente il posto, l’unità politica dei cattolici è improvvisamente perduta.
Eppure, quasi subito, la Santa Sede intuisce che quello che all’apparenza sembra un problema può trasformarsi in una grande opportunità per un suo impegno in politica ancora più forte, ancora più diretto.
È con Papa Giovanni Paolo II, soprattutto nell’ultima parte del suo pontificato, che la Chiesa cattolica torna a occuparsi specificatamente delle questioni italiane. Ora non più attraverso un suo partito, ma in prima persona, con interventi diretti e continuativi.
Ed è qui che esplode il rischio di condizionamento della politica, dal momento che la quasi totalità dei nuovi partiti della Seconda Repubblica, nei loro ansiosi sforzi di contendersi l’elettorato cattolico rimasto orfano del suo mastodontico punto di riferimento, sono ben disposti a cedere alle richieste del Vaticano e a compiacerne gli orientamenti nelle questioni che gli stanno a cuore (tutt’altro che poche).
Insomma, se prima la Chiesa influenzava direttamente un solo partito ora, indirettamente, si ritrova ad influenzarli tutti. E da questo momento in avanti le cose non fanno che peggiorare.
Nel 2005 il cardinale Joseph Ratzinger diventa papa Benedetto XVI.
Il successore di Giovanni Paolo II si è distinto, come è noto, per la sua strenua lotta al relativismo. E cos’è la politica se non, ovviamente, relativismo? Punti di vista diversi che si riuniscono in uno spazio condiviso per mezzo di un processo di concertazione, e al fine di trovare un compromesso.
Benedetto XVI, predicando la lotta al relativismo e l’importanza del cristianesimo in politica, imponeva una sola versione del mondo: quella cristiana cattolica. Che, per sua stessa natura di dogma, non è trattabile e non può scendere a compromessi.
Sotto Ratzinger, non a caso, le ingerenze del Vaticano hanno assunto un tono assolutistico e un carattere reiterato, e sono state accompagnate da affermazioni anch’esse non negoziabili sul diritto della Chiesa cattolica di essere una protagonista di primo piano della vita politica del paese.
Venendo ai nostri tempi, dobbiamo registrare che neppure con l’elezione di Papa Francesco, che pure si è dimostrato assai più progressista e rispettoso delle fedi e delle libertà altrui, è stato possibile osservare un radicale cambio di prospettiva.
Tra gli interventi di Papa Bergoglio sulla questione, possiamo ricordare quando disse che “un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé affinché il governante possa governare.” (16/09/2013)
Una versione sicuramente più “soft” di quella di Ratzinger, ma che tuttavia lascia ampi margini alla libera interpretazione, e che certo non smentisce la posizione di chi vorrebbe che la Chiesa cattolica avesse una voce molto forte in seno alle istituzioni secolari.
Ora, non ho mai pensato che la Chiesa non possa parlare di politica, discutere di etica o far sentire la propria voce su questo genere di cose. Ho sempre ritenuto, piuttosto, che chiunque in un paese democratico come l’Italia abbia e debba avere la possibilità di dire la sua opinione, a prescindere dalla posizione che occupa.
Detto questo, bisogna rendersi conto che il problema dell’ingerenza della Chiesa cattolica nella vita politica italiana è molto più di un legittimo consiglio di voto o di una dritta sui politici più conservatori. L’interventismo di papi e vescovi, laddove reiterato e continuativo, si traduce infatti una vera e propria manipolazione della politica stessa.
Una manipolazione che, come abbiamo visto, è resa possibile dalla sudditanza della classe politica italiana, da destra a sinistra, nei confronti del Vaticano.
Ma perché questa sudditanza continua ancora oggi?
È davvero difficile credere che si tratti di deferenza di vero credente, se non in qualche caso isolato. Piuttosto, sembra trattarsi ancora di paura: il timore delle ricadute politiche che seguirebbero lo scontentare la Santa Sede. Un retaggio del passato, difficile da superare, ma ormai perlopiù immotivato, visto che tutto questo accade mentre il cittadino italiano ha ampiamente dimostrato di non temere più il Vaticano (basti solo pensare alle pesanti sconfitte subite dalla Chiesa già negli anni 70 e 80, prima nel referendum sul divorzio e poi su quello sull’aborto).
Soprattutto, un retaggio che è in aperto contrasto con i principi costituzionali che vorrebbero l’Italia come uno stato laico, visto che la laicità, giova ricordarlo, altro non è che “la rivendicazione, da parte di un individuo o di una entità collettiva, dell’autonomia decisionale rispetto a ogni condizionamento ideologico o religioso” (Treccani).
Purtroppo, va detto che se il panorama generale è desolante, ancor di più lo è quello delle voci fuori dal coro. Che, a voler essere pignoli, non sono poi molte, visto che persino Beppe Grillo, recentemente, è sembrato molto più attento che in passato ad evitar stoccate verso la Santa Sede, forse anche vista la nuova popolarità di Papa Francesco.
Potremmo dire, in effetti, che l’unico tra i personaggi politici di spicco del nostro paese ad essere almeno parzialmente libero da questa sudditanza e da questo storico timore reverenziale nei confronti della Chiesa cattolica sembri essere Matteo Salvini.
Prova ne sono stati gli eventi degli ultimi giorni, quando, a seguito delle parole del segretario generale della Cei, Monsignor Galantino, intervenuto sul tema dell’immigrazione in un’intervista in cui accusava i “piazzisti da quattro soldi che speculano sul tema dei migranti”, con chiaro riferimento al movimento leghista, la risposta del leader del Carroccio è stata ben poco timorata: “Libera Chiesa in libero Stato. I vescovi non rompano le palle alla Lega o si candidino con Vendola.”
La faccenda in sé, all’apparenza banale, deve invece farci riflettere.
Perché se davvero tutto ciò che la politica italiana ha da opporre all’ingerenza della Chiesa cattolica sono gli sproloqui di Matteo Salvini, i suoi insulti, le sue banalità, ebbene allora la laicità, nel nostro paese, naviga davvero in cattive acque.
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