Partiti e politici

Tra gli eredi di Berlinguer e quelli di Almirante: l’Italia al museo delle cere

17 Giugno 2024

“Anni come giorni son volati via. Brevi fotogrammi, o treni in galleria” cantava un cantautore italiano a fine anni ’80. E del resto: il secolo breve negli ultimi anni accelerava, il crollo del muro, internet (di lì a poco), la corsa verso l’Europa unita.

A distanza di più di trent’anni però in Italia viviamo di nostalgie polarizzanti: gli eredi di Enrico Berlinguer contro quelli di Giorgio Almirante. Come sfondo un elettorato che guarda a questa disfida da molto lontano e un Paese dove di futuro non si parla più.

Il PD ha a lungo ha accettato l’eredità di Berlinguer con beneficio di inventario. E con un compromesso molto più pratico che storico: le icone di Berlinguer nei circoli e l’accreditamento dei dirigenti in pubblico. Un Pd credibile, di governo (quasi sempre e quasi comunque), doveva confinare tra le mura domestiche le nostalgie. Il nuovo corso di Schlein ha chiuso il gap tra il sentimento dei militanti e la proiezione esteriore: Berlinguer è sulla tessera, nell’agenda politica (la campagna elettorale per le europee si è chiusa a Padova) e quel “è una figura straordinaria a cui siamo molto legati” è un giudizio più politico che affettivo.

Fratelli d’Italia è il risultato della corsa (i malevoli leggeranno marcia) di Meloni e del suo gruppo dirigente. Dall’1,96% alle politiche del 2013 al 28,7% delle europee del 2024. Con un richiamo identitario chiaro – la fiamma – e alcune colonne portanti del partito che incarnano la continuità: una su tutte il Presidente del Senato. Qui è il meccanismo della nostalgia è l’opposto rispetto a quello del Pd: si cerca di non ostentare simboli e icone del passato, nonostante l’inchiesta di Fanpage sui giovani di Fratelli d’Italia metta a nudo una gran voglia di ieri (più dei saluti romani colpiscono i cori contro Togliatti: se non fosse per i colori si potrebbe pensare a un filmato degli anni ‘50).

Sono i partiti principali del bipolarismo all’italiana, che hanno malcelate velleità di bipartitismo (e chissà che sul punto non trovino un accordo). Dopo un lungo periodo in cui il mantra era “lasciarsi alle spalle il ‘900” con le sue idee, le sue ragioni e i suoi torti, oggi la novità è che “non c’è niente di nuovo”. Purtroppo.

E, come spesso succede, la nostalgia è una lente deformante per il passato, che viene inevitabilmente mistificato: per nostra fortuna non è mai esistito prima un momento in cui la politica italiana è stata uno strano bipolarismo tra Almirante e Berlinguer, fatta forse eccezione per qualche liceo del centro storico delle grandi città.

Mentre nel dibattito politico infuria lo scontro, ora feroce ora mellifluo, tra la nostalgia per Berlinguer e quella per Almirante, nessuno si cura degli stipendi fermi da trent’anni, dei giovani che cercano riparo all’estero, degli italiani che rinunciano a curarsi, di investimenti in ricerca e sviluppo ai minimi in Europa.

Il futuro viene sacrificato perché affrontarlo richiede pragmatismo e visione, due ingredienti che sono l’antidoto alle nostalgie.

Al Paese serve uscire dal museo delle cere, serve un dibattito anche duro, un confronto senza esclusione di colpi sui problemi di oggi. I cittadini scelgono la democrazia non solo perché è un nobile principio, ma fintanto che si occupa di loro. L’alternativa è il baratro o la farsa, che sono le costanti del totalitarismo.

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