Partiti e politici
La tessera Pd costerà minimo 40 euro: cos’è, l’abbonamento alla Scala?
La notizia, come sempre travolgente quando si tratta del Pd, è che dal 30 marzo la tessera costerà uno sproposito, una cifra che evidentemente Matteo Orfini, presidente del partito e commissario della segreteria romana, deve avere direttamente concordato con Tim Cook, amministratore delegato di Apple, in concomitanza con la presentazione planetaria dell’Apple-Watch, considerando onestamente che i due prodotti – l’orologio/computer e quel rettangolino plastificato – sono in fondo espressioni dello stesso sogno e poco importa se il sogno del Pd, come a Roma, spesso vira pericolosamente verso l’incubo.
Ma insomma, creato il nuovo prodotto, che la Apple ha presentato a San Francisco e Matteo Orfini nell’assemblea cittadina, gli si è dato anche un prezzo. E il prezzo dell’iscrizione al Pd, volutamente inarrivabile per evitare “i signori delle tessere”, è stato composto su base squisitamente cacioppoliana, dove il risultato finale – informa Orfini – «dovrà essere pari almeno a un giorno di stipendio, quindi il salario di un mese diviso 30». Dalla sala è salito più di un brusio, i partecipanti hanno fatto qualche conto rapido e hanno compreso la portata del salasso che anche chi scrive, grazie alla calcolatrice dell’I-phone di vecchia generazione, ha potuto stabilire in 40 euro minimo, su su fino a cento, duecento, ecc., insomma con quello che spendi per la tessera Pd quasi quasi ti compri l’Apple-Watch e a quel punto una App ti iscriverà gratis.
Appreso del “nostro scontento”, Matteo Orfini si è assai doluto, sino a pronunciare la fatidica frase: «Vedo che quando si va sui soldi ci si scalda, non è bel segnale, fatemelo dire». Ma certo che te lo facciamo dire, presidente, perché negarti l’amena e impiegatizia considerazione politica da retrobottega snobistico, perché negarti la possibilità di dire, anche tu, la tua pirlata quotidiana. Perché impedirti di restare sulla navicella della Cristoforetti, da cui ci fai “ciao” con la manina, fidando teneramente che saremo in grado di comprendere il momento terribile del partito, per cui mettere mano al portafoglio e devolvere ciò che ne resta alle casse del Pd.
Quando riguardano il Pd, le cose sono sempre discretamente intricate. Andiamo alla radice, intanto: negli ultimi anni non si iscrive più nessuno, c’è stato un abbattimento secco delle tessere che ha inaridito quella potenza espressiva di un tempo andato, quando la mastodontica proporzione tra tessere e partito configurava l’espressione più burocratica e indotta di una perfetta macchina organizzativa. Questa preoccupazione, in un tempo moderno come questo, non può più essere la stessa per una serie di evidenti motivi. Due, tra tutti: la passione e il dovere. Se la prima, in termini di partecipazione attiva e diretta, è molto cambiata negli anni (modalità diverse, sentimento di aggregazione molto cambiato), il dovere non esiste più (per fortuna). Nel senso che, al di là di vecchi arnesi che rinnovano la loro partecipazione per disciplina di partito, le nuove generazioni possono aderire solo su base effettivamente volontaria e su questo effettivo spontaneismo Matteo renzi dovrebbe fondare il suo “nuovo” partito.
E ora veniamo alla tessere di oggi, con il prezzo che sappiamo. Il paradosso è del tutto evidente: nel momento in cui c’è crisi di partecipazione attiva al partito (le urne non fanno testo), il costo dell’iscrizione diventa esorbitante per contrastare “i signori delle tessere”, quelli che possono giostrare così la loro potenza all’interno dei corridoi del congresso e non solo. Capirete che le due situazioni confliggono. E non consola l’apertura di Orfini nei confronti di chi ha meno possibilità (“Saranno previste delle deroghe per chi non può pagare”), perché allora dovremmo metterci d’accordo sul valore complessivo con cui definire, per esempio, uno stipendio di 1200 euro: 40 euro che volano via per la tessera del Pd comprendono forse l’abbonamento alla Scala?
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