Partiti e politici

Terroni che odiano i terroni

30 Maggio 2019

Quattro anni fa ci scandalizzammo nel sapere delle truppe terroniche in ricognizione a Pontida. Ne scrivemmo, ne ridemmo, stigmatizzammo, provammo una dolorosa vergogna. Forse, minimizzammo.

L’anno scorso ci scandalizzammo nel sapere la Lega al 6% nelle nostre zone. Con il passaggio dal sovranismo in nuce al sovranismo a viso aperto suggellato da una performance elettorale ben al di sopra delle aspettative, le peggiori aspettative.

Ci scandalizziamo oggi, nel sapere la Lega oltre il 20% e il Sannio a farsi avamposto, di nuovo e con maggior grinta, della dignità meridionale in caduta libera.

Ci scandalizzeremo ancora, ne siamo certi. Lo faremo perché lo sfondamento postpadanico pare arrembante. Oppure, perché ci riesce bene, fa parte dei nostri piaceri crepuscolari. E nel crepuscolo degli idealisti stanchi, indisciplinati e rammolliti, fidatevi, sappiamo come muoverci, sappiamo come vivacchiare.

Intanto, il terrone leghista, adesso addirittura tronfio, non arretra di un centimetro, ispeziona da lontano il nostro sbigottimento e se ne sbatte. Le sue premesse espansionistiche non erano così evidenti, ma da qualche parte albeggiavano, tra percentuali comunque troppo alte anche quando erano basse.

A poco a poco è uscito allo scoperto. Ha aspettato con pazienza il suo momento, dopo aver praticato abilmente la dissimulatio latina, anzi, per gusto del contrappasso, la taqiyya islamica. Celando, quindi, il proprio credo postpadanico non con finalità strategiche, imperscrutabili, machiavelliche, bensì per sfuggire a un contesto ostile, persecutorio, impreparato al suo terronico sfigurare, ridacchiante, sotto lo sguardo vigile della Storia.

Ma cos’è la Storia per il terrone leghista? Un brivido pudibondo sepolto dalla sua paraculaggine cubica, trasformista, arrivista e smemorata? Un trastullo per “professoroni”? Un luogo astratto e sconsacrato in grado di sopportare il peso delle posizioni controverse, perché il sopportare l’insopportabile, in fondo, è la Sua natura?

Divagazioni. La Storia, innanzitutto, non è in maiuscolo per costui, né è oggetto di discussione. Essa, semplicemente, parafrasando Montale, “non è magistra di niente che lo riguardi”. È una rottura di palle da ignorare e basta, da silenziare. Un freno a mano tirato per uomini ambiziosi. Una favola per adulti di cui il terrone antileghista medio si vorrebbe interprete privilegiato, cercando di estrarre lezioni, direzioni, dinamiche dominanti, errori da non ripetere, umiliazioni e ingiustizie in credito.

Ma la provincia disagiata, che da noi si traduce principalmente in una nebulosa clericofascista, ha fretta. Non ha tempo per la Storia o per i moniti del terrone antileghista. Il terrone leghista sa anche questo e meglio di lui lo sa chi lo ha plasmato, chi lo ha convinto a farsi votare. Tappandosi il naso all’incasso, però, perché certi voti puzzano.

L’atmosfera psichica profonda, l’inconscio dell’entroterra meridionale, reclamava uno sfogo. Necessitava di uno strano feticismo per il crocefisso in cui riconoscersi, di un messianesimo goffo, nazionalista, cringe, razzista, di uno spiritualismo da avanspettacolo. Di un uomo del Nord, un tempo dedito ai florilegi sui terroni, pronto a sintonizzarsi, a cancellare anni di complessi di inferiorità, di discriminazioni, di povertà intergenerazionale, di povertà di ritorno, con qualche visita commossa in terra di culto, con qualche selfie baciamanesco: Sancte Capitano, ora pro nobis!

L’Italia, d’altronde, è fatta da un pezzo. Gli italiani, neanche a parlarne. Gli unici cotti a puntino sono i non italiani, quelli che riescono a far sentire finalmente italiani gli italiani in perenne costruzione: i disperati d’oltremare, i terroni dei giorni nostri.

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