Partiti e politici

Superbonus, chi ha vinto e chi ha perso

22 Febbraio 2023

Le polemiche seguite alla decisione del governo di bloccare la cessione dei crediti e la feroce ricerca del colpevole eludono il nodo fondamentale: le responsabilità diffuse della politica e i profitti che banche e industria delle costruzioni hanno realizzato scaricando i costi, come sempre, sugli anelli deboli della catena sociale.

Il dibattito scatenato dalla decisione del governo di bloccare la cessione dei crediti del superbonus è un clamoroso esempio di italica ipocrisia e si fonda su una narrazione contraffatta degli eventi e del ruolo dei protagonisti politici e sociali, contraffazione che rende ancor più difficile sbrogliare una matassa già ingarbugliata per la complessità degli aspetti tecnici.

Un intervento necessario

Il Decreto Rilancio, che nell’estate 2020 introduce il superbonus, arriva nel vortice alimentato dall’irruzione del Covid-19 in Italia. È il consueto provvedimento monstre di 266 articoli, in cui, sotto l’ombrello delle “misure connesse all’emergenza covid”, il governo Conte 2 raduna gli interventi più disparati, dal finanziamento dei centri estivi ai fondi per la digitalizzazione, alle assunzioni nelle forze dell’ordine fino, appunto, al bonus che dovrebbe promuovere l’efficientamento energetico delle case italiane e, dunque, risponde a un’esigenza di fondo che con la pandemia non ha nulla a che vedere e a cui risponde in modo viziato, purtroppo,  dall’impostazione emergenzialista.

Approvato nel maggio 2020 il Decreto viene convertito tra il 9 e il 16 luglio coi voti favorevoli di M5S, PD, IV. Alla Camera e al Senato votano sì, rispettivamente, anche gruppo misto e per le Autonomie. Nel dibattito parlamentare non si registrano critiche al meccanismo della cessione del credito, peraltro non nuovo, e ai suoi potenziali rischi. Dunque FdI, Lega e Forza Italia votano contro, ma nessuno solleva critiche sul merito, anzi, si susseguono gli interventi che chiedono di allargare il campo di applicazione degli aiuti e di ridurre la burocrazia.

Un intervento sul patrimonio residenziale italiano era indubbiamente necessario. Si tratta di 39 milioni di unità immobiliari (fonte: Agenzia delle Entrate) distribuite tra 12 milioni di edifici (fonte: Istat) per un valore di 5.350 miliardi, 3 volte il PIL italiano, e che equivalgono al 78% della superficie e all’80% del valore totali del patrimonio immobiliare del paese (fonte: Scenari Immobiliari, 2020). Il 70% è stato costruito prima del 1980, senza tener conto dei moderni criteri antisismici e di risparmio energetico introdotti in seguito, in particolare dopo il terremoto dell’Irpinia, e in larga misura è stato edificato ancora in base alle regole del Decreto Regio del 1939. L’80% degli immobili certificati rientra nelle classi energetiche più elevate (E,F, G) e ciò contribuisce a far sì che la quota di consumo nazionale di energia imputabile agli edifici ammonti al 30% del totale.

L’età avanzata degli immobili è un problema non solo per l’efficienza energetica e la resistenza ai sismi, ma anche per la loro sicurezza complessiva, inclusi anche gli aspetti legati agli impianti interni – acqua, gas, corrente elettrica. In un paese come l’Italia, in cui il 71% delle famiglie è proprietario della casa in cui vive, la crisi che colpisce in particolare il lavoro dipendente fa sì che molte attività di manutenzione non vengano eseguite per mancanza di risorse. E i risultati si vedono: gli interventi all’interno di abitazioni registrati negli annuari dei Vigili del Fuoco negli ultimi anni sono quasi raddoppiati, passando dai 23.000 del 2014 (12% del totale) ai 40.000 del 2021 (15%). L’intervento dello Stato, pertanto, è l’unica via per evitare la svalutazione di un bene che a una famiglia di lavoratori costa anni di fatica per accendere un mutuo ed estinguerlo (e spesso è l’unico bene durevole di cui dispone), ma anche per evitare sprechi e prevenire incidenti che hanno un costo sociale. Il problema è come lo si fa.

Un folle meccanismo inflattivo

Il superbonus ha rappresentato un’iniezione di liquidità da decine di miliardi di euro l’anno nel mercato delle costruzioni, concentrata in un periodo dalla durata limitata e incerta tanto quanto sono incerte le sue regole, che dall’approvazione a oggi hanno subito in media una modifica ogni mese e mezzo. L’effetto di questa valanga di denaro si è sommato alle dinamiche inflattive già presenti nell’economia globale a causa di una crescita economica postcovid più rapida del previsto e dalla crisi delle catene di fornitura globali, in particolare tra la Cina e l’Occidente. L’effetto combinato è stata un’impennata dei prezzi: il costo dei ponteggi, ad esempio, è passato da 12 a 48 euro a metro quadrato e per ovviare alla scarsità dell’offerta ci si è rivolti alla Turchia e ai paesi dell’Est, che però non sempre adottano le regole europee sulla sicurezza.

Scarseggia anche la forza-lavoro: muratori, ma anche operai specializzati, tecnici e persino ingegneri.  I salari non sono quadruplicati come i prezzi dei ponteggi e c’è il rischio che le imprese si affidino a personale non qualificato e magari disponibile a lavorare a qualunque condizione pur di non perdere un’occasione irripetibile. Inevitabili i ritardi: i lavori si trascinano più a lungo del previsto, con famiglie costrette a vivere a tempo indeterminato in immobili trasformati in cantieri. E infine il problema che ha spinto il governo a bloccare la cessione dei crediti: le richieste sono così numerose che anche le banche hanno esaurito la loro capienza fiscale, per cui oggi si ragiona sulla possibilità che vadano a compensazione mediante gli f24 con cui i propri clienti versano le imposte all’Agenzia delle Entrate.

Ma almeno ne è valsa la pena? E quali sono stati i risultati? Secondo i dati della CGIA di Mestre i 72 miliardi di euro di mancate entrate fiscali relative ai lavori autorizzati fino al 31 gennaio serviranno a efficientare 372.000 dei 12 milioni di edifici a uso residenziale, il 3,1%. Il costo secondo uno studio dell’Ordine Nazionale dei Commercialisti pubblicato a dicembre va ridimensionato, perché per ogni euro speso dallo Stato 43,3 centesimi rientrerebbero all’erario in forma di maggior prelievo fiscale sui fatturati in crescita, per cui la spesa si ridurrebbe a circa 41 miliardi. In un’intervista al Corriere rilasciata a dicembre Michele Di Lorenzo, senatore del Collegio degli Ingegneri di Napoli, ha sollevato anche dubbi di carattere tecnico, ammonendo che eseguire i lavori per l’efficientamento energetico senza effettuare in precedenza i controlli, previsti invece dal sisma bonus, sulla statica di edifici molto vecchi, “di cui in larga misura non conosciamo i particolari costruttivi né le caratteristiche dei materiali utilizzati”, è come mandare dal chirurgo plastico un anziano che non ha mai fatto un controllo medico sulla propria salute. Si rischia addirittura di peggiorare la situazione. I cappotti termici, ad esempio, rischiano di nascondere eventuali fessurazioni del cemento armato, sintomo di potenziali cedimenti strutturali.

Quali fasce sociali hanno beneficiato maggiormente degli sconti fiscali? Girando per le strade di alcune grandi città si ha l’impressione che i ponteggi sorgano soprattutto nei quartieri dove ci sarebbe meno bisogno di aiuti pubblici. Ce lo conferma anche un piccolo imprenditore edile, che precisa: “Non si può generalizzare, certo, ma personalmente sono stufo di ristrutturare case dei ricchi coi soldi dei poveri”. Ma le conferme arrivano anche dal lato della committenza: sul sito web di Sardinia Unlimited, agenzia immobiliare che opera nel settore delle ville nella Sardegna del nord, leggiamo che grazie al superbonus “Efficientare o realizzare impianti di condizionamento, realizzare piscine o ristrutturarle, mettere a norma gli impianti, ridurre i ponti termici, sostituire gli infissi: sono tutte lavorazioni che accrescono il valore della tua villa in Sardegna, indipendentemente che tu la voglia vendere o mettere a reddito, magari ritagliandoti qualche settimana per viverla in totale comfort senza dimenticare il risparmio”. Del resto anche il rapporto pubblicato da Nomisma l’estate scorsa, che ieri veniva citato da tutti i giornali ed è particolarmente benevolo nei confronti del superbonus (tra gli azionisti dell’istituto di ricerca ci sono tutte le maggiori banche italiane), ammette che il 25% dei beneficiari ha un reddito familiare medio-alto (oltre 3.000 euro) e di questi il 23% possiede una seconda casa. “Non c’è da stupirsi!”, sbotta Enrico Puccini, fondatore di Osservatorio Casa Roma, che aggiunge: “Chi fa domanda? Chi si può permettere di fare gli studi e la progettazione preliminari? Perché è vero che se il progetto viene approvato la spesa è coperta, ma, se viene respinto, il committente deve comunque pagare il professionista che li ha eseguiti”.

L’altro aspetto paradossale, in qualche modo collegato, è che il superbonus consente di utilizzare le agevolazioni fiscali per ristrutturare la villa in Sardegna, mentre, osserva ancora Puccini: “Per il patrimonio residenziale pubblico, che pure ne avrebbe un gran bisogno, in pratica non serve o è molto difficile da utilizzare, in parte perché decidere se richiederlo non spetta agli inquilini, che devono affidarsi agli enti proprietari, in parte perché questi ultimi per accedere al superbonus devono seguire la stessa trafila di un privato, che mi pare abbastanza illogico, considerato che non applicano prezzi di mercato”. D’altra parte gli enti proprietari che si sono mossi per approfittare dell’opportunità oggi vengono presi anche loro in contropiede dalla mossa del governo, anche quando alle spalle hanno amministrazioni dello stesso colore: “Ieri ARTE, l’ente che cura il patrimonio residenziale pubblico in Liguria, ha annunciato che dei 6.000 appartamenti da sistemare previsti, adesso, dopo lo stop deciso dal Governo, solo 1.000 verranno ristrutturati”, conferma Bruno Manganaro, segretario generale del SUNIA a Genova, e aggiunge che “La decisione del Governo arriva dopo che il passaggio dal 110% al 90%, in vigore da gennaio, già costringerà gli enti pubblici che vogliono aderire al bonus ad accollarsi il 10% dei costi”. Quanto alla diseguale distribuzione degli aiuti tra le fasce sociali per Manganaro “L’unico modo per evitare che ancora una volta piovesse sul bagnato sarebbe stato concedere il superbonus solo al di sotto di una certa soglia di reddito”.

La cessione dei crediti

In questo quadro, già problematico, il pasticciaccio della cessione dei crediti è soltanto la ciliegina sulla torta. Il meccanismo utilizzato per incentivare le ristrutturazioni è quello consueto della detrazione fiscale spalmata su più anni, cinque in questo caso, con la possibilità di cedere il proprio credito d’imposta a terzi o di ricorrere allo sconto in fattura. In questo modo lo Stato non deve anticipare i fondi ai beneficiari, ma allo stesso tempo questi possono procedere anche se non dispongono di liquidità sufficiente per pagare l’impresa che effettua i lavori e attendere cinque anni per rientrare della spesa sostenuta. In un’economia di mercato significa fare del credito d’imposta una merce scambiabile, potenziale oggetto di speculazione, soprattutto se non si fissano regole ferree, in particolare sui prezzi, sul numero di passaggi di mano e sui soggetti autorizzati a effettuarli.

Insomma se ho diritto a detrazioni fiscali pari al 50% del prezzo di un bene o un servizio da 1.000 euro, posso cedere il mio credito d’imposta oppure chiedere uno sconto in fattura al rivenditore, che recupererà la somma corrispondente detraendola a sua volta dall’imponibile nei limiti della propria capienza fiscale o rivendendo il credito, ad esempio a una banca. Poiché lo Stato ha imposto dei massimali di costo che lasciano comunque alle imprese una certa libertà di manovra, il rivenditore, ad esempio, può decidere di aumentare il prezzo a 1.200 euro. Per lui entrano 200 euro in più, l’acquirente comunque risparmia e lo Stato si accolla l’onere della differenza. In questo modo si introduce un ulteriore stimolo inflattivo. Ma c’è dell’altro. Se si può gonfiare un prezzo da 1.000 a 1 .200 euro, allora lo si può anche gonfiare da zero a n-mila. È ciò che avviene quando si dichiarano lavori che in realtà non vengono eseguiti, cioè che costano zero ma per cui si chiede una somma con parecchi zeri. In termini giuridici c’è una differenza – nel primo caso non si commette un illecito, nel secondo sì – ma in termini economici l’effetto è lo stesso: si crea dal nulla un valore fittizio.

È esattamente quello che è successo un po’ con tutti i bonus di questi anni, ma in particolare col super- e il sismabonus, dove il piatto è ancor più ricco, perché le cifre sono molto elevate e la legge prevede già in partenza un margine di guadagno del 10%, cioè la differenza tra il costo integrale della ristrutturazione e il 110% che lo Stato rimborserà. A incentivare ulteriormente i malintenzionati la formulazione iniziale del provvedimento, che in linea teorica permetteva allo stesso credito di essere ceduto n-volte, rendendo assai difficile risalire di cessione in cessione fino all’origine. Lo schema più gettonato per le truffe pare sia il seguente: prendere un’azienda compiacente, preferibilmente in cattive acque; sostituire il titolare con un prestanome; chiedere il bonus per lavori non eseguiti ma certificati da professionisti altrettanto compiacenti e, ottenuto il credito, sbarazzarsene rifilandolo a un acquirente, complice o ignaro della truffa, e ripulire o mettere al sicuro il ricavato acquistando lingotti d’oro e criptovalute o investendolo in attività immobiliari a Cipro, Malta ecc. Un anno fa un’indagine della Guardia di Finanza di Rimini ha scoperto che in questo modo un’organizzazione formata da decine di imprenditori e commercialisti ha sfruttato super- e sismabonus, bonus locazioni e facciate, ricavandone 440 milioni di euro.

La “distrazione” delle banche

Nel giugno 2022 l’ABI, Associazione delle Banche Italiane, ha diramato una circolare in cui invitava i suoi associati a esercitare “una qualificata ed elevata diligenza professionale” nel verificare l’origine dei crediti prima di acquistarli. Del resto è difficile che centinaia di truffe per un importo complessivo di 9 miliardi di euro vadano in porto se gli istituti di credito esercitano la dovuta sorveglianza. Con l’arrivo del banchiere Draghi al governo, infatti, si comincia a parlare di responsabilità in solido delle banche e l’ABI invia la circolare. Draghi sa bene che l’unico soggetto su cui lo Stato può rivalersi sono le banche, non certo aziende decotte intestate a illustri sconosciuti, né tantomeno malcapitati inquilini finiti nelle grinfie dei truffatori, per cui se vuole evitare di mandare all’aria i conti dello Stato e di far infuriare la Commissione Europea, deve toccare il tempo proprio al mondo da cui proviene. Le banche reagiscono intensificando i controlli, bloccando le pratiche e tenendo sotto scacco le imprese edili, che a loro volta fermano i cantieri inguaiando gli inquilini, a cui non resta che lamentarsi.

Già in piena crisi di governo si apre il braccio di ferro tra il M5S e Draghi, chiusosi a settembre con un compromesso che minaccia qualche severità in più, ma rassicura le banche abbastanza da convincerle a sbloccare i crediti, dà una boccata d’aria alle imprese e tranquillizza gli inquilini, ma in sostanza lascia tutto come prima: il cessionario risponderà in solido solo nei casi di concorso nelle violazioni per dolo o colpa grave. Per dimostrarle, eventualmente, servirà il tempo sufficiente a trovare una soluzione politica per sistemare tutto. La Lega rivendica di aver salvato le imprese. Il M5S esulta per aver fermato Draghi. Fratelli d’Italia rivendica che i parlamentari dell’ “opposizione patriottica” hanno garantito la presenza in aula rinunciando a un giorno di campagna elettorale. Tutto è bene quel che finisce bene… fino alla prossima volta, in questo caso il 17 febbraio.

Vincitori e vinti

Per fare un bilancio della vicenda, come accennavo all’inizio, è fondamentale capire chi siano i vincitori e i vinti. Il superbonus, in realtà, era stato presentato come un provvedimento win-win, come dicono gli americani, cioè tutti vincitori: le banche avrebbero fatto incetta di crediti e li avrebbero girati allo Stato con un bel margine garantito; le aziende di costruzioni e dell’indotto avrebbero avuto lavoro e profitti garantiti dopo anni di crisi; commercialisti, ingegneri e professionisti vari avrebbero intascato laute parcelle; i lavoratori edili avrebbero visto cadere da quel tavolo riccamente imbandito le briciole di qualche anno di lavoro garantito; infine gli inquilini avrebbero visto rivalutarsi i propri appartamenti e salvaguardato la possibilità di venderli tra qualche anno (evitando l’annunciata stretta dell’UE sulla vendita degli immobili energivori), mentre lo Stato italiano avrebbe potuto sventolare la bandiera della lotta contro il climate change. La FIEC, l’associazione delle imprese di costruzione europee, una volta tanto aveva addirittura additato l’Italia come il modello da seguire.

Oggi possiamo dire che, come era prevedibile, non è andata così. Qualcuno ha vinto. Tra questi sicuramente le banche. Solo un anno e mezzo dopo l’approvazione del Decreto Rilancio Repubblica, voce non sospettabile di fomentare l’odio di classe contro la finanza, scriveva che “le banche si sono buttate nel business dei crediti fiscali legati ai lavori di ristrutturazione incentivati dal governo. Basta acquistare tra 100 e 102 un’agevolazione che vale 100 per assicurarsi ampi margini”. Nel frattempo gli ostacoli sorti sul cammino hanno spinto gli istituti di credito (inclusa l’azienda pubblica Poste Italiane) ad abbassare i prezzi di acquisto, scendendo anche sotto i 100 euro e, così facendo, ad aumentare i propri margini. Ma c’è chi si è spinto oltre. A novembre l’ANCE, l’associazione di categoria dei costruttori, denunciava l’avanzare della speculazione, con alcuni soggetti che approfittavano dei vari intoppi per comprare i crediti addirittura all’85%.

Le imprese, dopo il recente blocco della cessione dei crediti deciso dal governo, hanno evocato lo spettro di 33.000 fallimenti. Ma nel complesso il settore delle costruzioni e l’indotto hanno registrato due anni record: sempre secondo l’ANCE gli investimenti nel settore sono cresciuti del 20% nel 2021 e del 12% nel 2022 e il superbonus ha contribuito al 40% dell’incremento, sommandosi ai fondi del PNRR per le opere pubbliche. Infine sicuramente hanno vinto anche i furbetti del 110, che come abbiamo visto sono prevalentemente imprenditori e professionisti. Soprattutto quelli che riusciranno a farla franca. Senza contare chi si è ristrutturato la villa in Sardegna e potrà “viverla in totale comfort senza dimenticare il risparmio”.

Hanno perso, invece, 150.000 lavoratori che, secondo alcune stime, dopo il blocco deciso dal governo potrebbero veder sfumare il proprio posto di lavoro, ma lo perderanno in ogni caso quando la bolla del 110 si sgonfierà, e che, a differenza di gran parte dei loro datori di lavoro, nel frattempo non avranno avuto entrate record tali da poter “passare ‘a nuttata”. Hanno perso, infine, milioni di inquilini a reddito medio-basso, che o non hanno avuto la possibilità o il senso dell’avventura sufficienti per lanciarsi nell’impresa o ci hanno provato e oggi si trovano intrappolati nelle ruote di un ingranaggio che rischia di stritolarli. Giorgia Meloni qualche giorno fa ha spiegato che su ciascuno di loro pende un debito di 2.000 euro che in qualche modo andrà pagato. Oltre al danno la beffa.

L’inchiesta è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 21 febbraio.

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