Partiti e politici
Sternhell ci spiega il nazionalismo razzista e socialista di Marine Le Pen
“Esiste una crisi profonda dell’illuminismo francese e quindi occidentale”. Zeev Sternhell, storico israeliano di origini polacche, spiega agli Stati Generali quali sono le radici storiche del Front National e in cosa consiste la crisi delle élites liberali e dei valori storici dell’illuminismo nell’Europa del 2017. Nato in Polonia nel 1935, scampato alla persecuzione nazista e cresciuto in Francia, dove ha ottenuto il suo PHD in storia all’Institut d’Études Politiques di Parigi, Zeev Sternhell ha lavorato principalmente sulle origini del fascismo – di cui è considerato uno dei massimi esperti-, indicando la radice culturale dell’idea totalitarista proprio nella Francia di fine ottocento.
Naturale quindi interrogarsi sull’origine del Front National, l’estrema destra francese di Marine Le Pen che oggi è in testa ai sondaggi per il primo turno delle elezioni presidenziali del prossimo 23 aprile. A differenza degli altri partiti populisti europei, assolutamente e costitutivamente contemporanei – tranne la Lega Nord, che però con Salvini ha completamente cambiato piattaforma ideologica – la storia del Front National coincide con tutta la storia della repubblica francese dagli anni ’40 in poi: “il partito fondato da Jean Marie Le Pen negli anni ’70 si ispirava a tre elementi fondamentali della storia del suo paese tra la seconda guerra mondiale e il dopoguerra” spiega Sternhell “il regime collaborazionista di Vichy; l’OAS, organizzazione clandestina dei combattenti dell’Algeria francese che provò ad assassinare Charles de Gaulle; il movimento poujadista, l’organizzazione sindacale e poi politica che denunciava l’inefficienza della politica parlamentare, primo esempio di populismo reazionario. Tutto ciò legato dall’antisemitismo come collante, e più in generale dall’odio verso lo straniero.”
Dal 2011, anno in cui Marine Le Pen è diventata presidente del Front National, il partito è però molto cambiato: la sua leader ha preso le distanze dall’impostazione spesso razzista e sopra le righe del padre, portando il FN ad essere oggi il primo partito di Francia. La strategia messa in atto da Marine e dai suoi fedelissimi è stata chiamata dédiabolisation, termine che indica la risposta all’immaginario comune che ha visto a lungo il Front National come un “diavolo” da contrastare con ogni mezzo.
“Si può notare un’evoluzione, è vero. Marine ha compreso che per oltrepassare il 15-20%, cioè il nucleo della “droite dure”, della destra estrema, è necessario allargare la clientela e quindi modernizzare il messaggio moderandolo. Un esempio di questa evoluzione è l’atteggiamento rispetto all’antisemitismo: Marine non si è solo sbarazzata della retorica antisemita del padre, ma ha addirittura iniziato a corteggiare i franco-israeliani inserendoli nelle varie categorie minacciate dallo straniero. La sua è una battaglia per la rispettabilità, se così si può dire, rendere rispettabile il suo partito per renderlo appetibile all’elettore della destra classica”. Eppure la trasformazione non è completa e probabilmente è solo di facciata, spiega lo studioso. La retorica violenta e razzista non esiste più, Marine Le Pen è molto attenta alle sue dichiarazioni, ogni parola è scelta con cura per non consentire alla stampa di gridare al pericolo frontista. Ma in fin dei conti, secondo Sternhell, il Front National “non è cambiato nei fondamenti. Basti notare una cosa: è vero che non è più antisemita, ma solo perché adesso lo straniero da demonizzare è arabo. Il bersaglio dell’odio è diverso, ma l’odio e la paura del diverso non sono scomparsi. Proprio in questo senso possiamo notare la grande continuità tra il movimento del padre e quello della figlia.”
La modernizzazione non basta per spiegare il 27% nei sondaggi al primo turno, il 45% delle categorie popolari che dichiarano di voler votare Front National e soprattutto i continui appelli di stampa e politica sul rischio concreto di vittoria lepenista al secondo turno. La vera novità incarnata dalla fu estrema destra francese è quella di essere diventata trasversale, proprio rinunciando alla sua posizione politica classica. Da quando ha aperto la sua campagna elettorale a Lione il 6 febbraio Marine Le Pen non ha mai utilizzato la parola “destra” per identificare il suo movimento.
“Andare oltre la destra e la sinistra rende il Front National un partito moderno. Marine Le Pen è stata sì capace di parlare alla destra classica, cioè alla parte della popolazione profondamente cattolica, borghese, antisocialista, nazionalista, ma soprattutto a chi nel passato votava a sinistra. Il Front National è il primo partito operaio di Francia perché ha ereditato dal Partito Comunista e dai socialisti la funzione tribunizia. Il ruolo di difensore del popolo è sempre stato incarnato dalla sinistra, oggi questa funzione è pienamente del Front National”.
La domanda viene quindi spontanea: stiamo assistendo all’ascesa di un’internazionale populista? Senza dubbio la tendenza storica è affascinante: prima Brexit, poi Donald Trump, Marine Le Pen e Geert Wilders, infine l’AFD in Germania e Grillo o Salvini in Italia. Un cerchio che si chiude. Lo storico israeliano comprende la suggestione, ma invita a non trarre conclusioni troppo affrettate: “è difficile si affermi un movimento coordinato tra le forze populiste, i movimenti di estrema destra nel mondo occidentale sono nazionalisti, difficilmente si iscrivono in un movimento internazionalista. Un esercizio di coordinamento di queste forze si rivelerebbe difficile, ragion per cui una vera internazionale fascista non è mai esistita nemmeno negli anni ’30. I nazionalisti possono incontrarsi per accordarsi su singoli temi, e lo fanno come abbiamo visto a Koblenz, ma la base comune è difendere gli interessi del proprio Stato ad ogni costo”.
Al successo dei partiti populisti si affianca in genere la speculare crisi delle élites liberali, incapaci di comprendere cosa sta accadendo nelle società che hanno costruito e guidato negli ultimi settant’anni. Se è vero la democrazia è in affanno e le categorie con cui si analizzano i comportamenti politici sembrano non essere più valide – come destra e sinistra – Sternhell giudica esagerato parlare di crisi irreversibile, perché dopotutto “le élites liberali sono ancora in sella, e non vedo come potrebbero essere scalzate dal governo di tutto l’occidente. Possono esserci dei casi isolati, ma non c’è nulla di nuovo. Quando mai le élites hanno rappresentato il popolo che “soffre”? E quando mai il popolo è stato in grado di governare? Non è mai successo, anche perché coloro che identifichiamo come classi popolari sono divisi e dispersi: non c’è, al momento, un’alleanza dei ceti meno abbienti per far saltare il sistema”.
È fuorviante far combaciare la crisi dell’occidente solo con la difficoltà delle sue élites, continua lo storico, visto che ad essere messo in discussione è l’essenza stessa dell’idea su cui abbiamo costruito le democrazie liberali e l’Unione Europea. In crisi è il sistema di valori affermatosi con l’età dei lumi, l’umanesimo: “la cultura europea si basa sull’universalismo dei valori, sull’idea che tutti gli uomini nascono uguali. Le nostre costituzioni parlano di determinati principi mentre si afferma la guerra all’Islam radicale o non radicale, l’odio dello straniero che sia musulmano, messicano o immigrato. Persino l’antisemitismo ritorna in forme diverse, ma non meno preoccupanti. Cito non a caso la crescente aggressività verso l’immigrazione, perché questo atteggiamento non è deprecabile solo da un punto di vista umanitario, ma anche storico e filosofico: implicitamente si rinnega l’idea che tutti gli uomini hanno gli stessi diritti. Ecco dove risiede la vera crisi: perdere i propri valori senza rendersene conto”.
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